di Federico Mariani
La off-season è senza dubbio il periodo più difficile da sopportare per l’appassionato di qualsiasi sport. Nel tennis, fortunatamente, questa fase è assai più risicata rispetto ad altre discipline con sostanzialmente solo cinque/sei settimane di buio assoluto tra Atp, Wta e Challenger. Nonostante il breve periodo tra la fine di una stagione e l’inizio della successiva, la tendenza che si sta prepotentemente manifestando negli ultimi anni è quella orientata a riempire il vuoto delle competizioni con le più disparate esibizioni che col tempo si sono evolute da partite singole, a mini-tornei, fino addirittura ad arrivare ad una sorta di competizioni a squadre divise in tappe (ogni riferimento all’IPTL è chiaramente voluto!).
Proprio la ricchissima kermesse asiatica in pieno svolgimento ora vanta, oltre a molti campionissimi di ieri, pressoché tutti i pezzi pregiati del circuito maschile e femminile. La lista dei nomi è, di fatto, completa ed annovera tutti i più forti giocatori del mondo da Federer a Serena Williams, da Djokovic a Sharapova, da Murray ad Ivanovic e molti altri ancora. Questa sorta di campionato a squadre ha suscitato più di qualche perplessità tra appassionati ed addetti ai lavori sulla necessità ed utilità di tali “passerelle”. Perplessità che riguardano non solo chi assiste, ma soprattutto i giocatori stessi che decidono di partecipare.
Dal punto di vista dello spettatore le esibizioni non potranno mai considerarsi esaltanti. Possono magari divertire, intrattenere, ma un appassionato non le riterrà un appuntamento appagante per due ragioni principali: innanzitutto alle esibizioni manca il pathos e la suggestione che deriva dall’importanza di vincere il match. Quello che, in fondo, è la brutale anima del tennis. Difficile, molto difficile, appassionarsi ad un incontro in cui poco importa chi vince e chi perde. In secondo luogo, da un punto di vista prettamente tecnico, è chiaro che il livello di gioco messo in campo è quasi sempre tutt’altro che celestiale, ed è normale e fisiologico che sia così perché i giocatori, a ragione, non si preparano fisicamente e mentalmente con l’intensità di un match vero.
L’aspetto più interessante da analizzare, però, è quello riguardante i giocatori che si rendono protagonisti delle esibizioni durante la off-season. Qui è necessario fare subito una distinzione: un conto sono i match d’esibizione singoli che occupano un solo giorno, un conto sono le tournee (stile Federer in Sudamerica per intenderci) o una serie di impegni che si prolungano in un arco di tempo considerevole. Per presenziare tali appuntamenti, i tennisti compiono una scelta che va inevitabilmente a sacrificare (o comunque danneggiare) parte della preparazione atletica, fase più che fondamentale specie nel tennis odierno. L’esempio di Federer e della tournee disputata a cavallo tra il 2012 ed il 2013 è lampante ed esplicativo. Lo svizzero, dopo aver ceduto alle lusinghe a tanti zeri per volare oltreoceano ed intrattenere in più tappe il pubblico sudamericano, ha finito per compromettere l’imminente stagione, l’annata più buia della sua carriera. In uno sport come il tennis, dove si è impegnati undici mesi l’anno e dove si è sempre o quasi in giro per il mondo senza potersi mai fermare per un periodo di tempo ragionevole, la preparazione invernale è troppo importante per essere trascurata. Come quasi la totalità dei giocatori ammette, gran parte dei risultati dell’anno sono figli di quanto e di come si lavora a dicembre.
Sull’altro piatto della bilancia, però, c’è da considerare il peso economico che inevitabilmente va a condizionare le scelte di un giocatore. Purtroppo a volte la tentazione è troppo seducente per resistervi, anche se il conto in banca è già bello gonfio come quello dei top player. Facendo un esempio recente, i beneinformati parlano di un cachet offerto a Nadal dagli organizzatori della Lega asiatica superiore al milione di dollari per partita (e lì per partita si intende un set). Volendo fare un paragone provocatorio, una mezz’ora di partita a ritmo blando e senza l’affanno del risultato porterebbe un guadagno simile alla vittoria del Roland Garros. Con ogni probabilità nessuno rifiuterebbe un’offerta simile. Risulta, quindi, difficile giudicare le decisioni dei giocatori quando scelgono di aderire a manifestazioni del genere.
La triste realtà è che il tennis, così come lo sport globalmente inteso, si sta sempre più uniformando ai diktat imposti dal dio denaro. E’ per questo, ad esempio, che il circuito (soprattutto quello femminile) sta strizzando l’occhio verso est e la crescita esponenziale di tornei in quella parte del mondo ne è la prova tangibile. La tradizione nel tennis fortunatamente pare avere ancora un posto privilegiato, ma in un mondo dove le società sportive accettano di sostituire il nome storico del proprio stadio con quello dello sponsor o, forse anche peggio, di taroccare il proprio stemma perché non gradito agli investitori, per quanto ancora durerà?
Oltre a quanto detto sin qui, c’è da registrare che anche gli appassionati più maniaci hanno bisogno di un periodo di stop per resettare e ricaricare le batterie in vista della prossima stagione (sì, proprio come fanno i giocatori). Ed anche l’attesa, che in prossimità delle festività natalizie inizia a farsi insostenibile, è un momento a suo modo bello ed affascinante. Questo disperato tentativo di riempire il buco stagionale senza tornei con esibizioni tutto sommato fini a se stesse, potrebbe paradossalmente produrre l’effetto contrario ed incentivare l’astinenza da tennis, quello vero!
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