di Marco Mazzoni
Toronto 2014 è stato un torneo non così esaltante dal punto di vista tecnico, ma piuttosto divertente grazie ad alcuni match interessanti ed un tennis mediamente offensivo, più di quello che il “convento” passa di solito. L’assoluto protagonista è stato Tsonga, che ha vinto con pieno merito battendo ben 4 top 10 (piccolo-grande record personale) e soprattutto ritrovando il suo miglior tennis, potente e spesso spregiudicato. Un tennis che non si vedeva così efficace e devastante da molti mesi. Qualche problema fisico, condito a mio parere anche da qualche scelta tecnica e tattica errata… Il tentativo di renderlo un giocatore più tosto e combattivo da dietro, più continuo nella fase di scambio, è stato in gran parte vano poiché Tsonga ha dei limiti di sensibilità e di timing troppo pesanti per esser cancellati; assai più interessante rafforzare i suoi punti di forza, facendolo diventare un “incompleto” più forte possibile, uno specialista fortissimo nelle sue armi. In questa direzione ha lavorato il suo nuovo team in panchina, che lo segue dallo scorso ottobre: Nicolas Escude & Thierry Ascione. Se Ascione è stato solo un buon giocatore, incapace di lasciare una traccia importante nello sport della racchetta, Escude è stato invece un tennista tutt’altro che banale, e che merita di esser ricordato.
Non ha avuto una carriera lunga, martoriato da vari infortuni (si è ritirato nel 2006 a 30 anni con la spalla a pezzi, ma aveva già diradato la sua attività da un po’ di tempo) per colpa di un fisico troppo leggero, inadatto a reggere i ritmi e la potenza che si stava imponendo al massimo livello. Però la sua racchetta era capace di produrre meraviglie tecniche, il tutto con una velocità d’esecuzione e leggerezza d’autore. E’ stato un figlio prediletto della scuola francese, quella che reputo insieme alla Ceca la migliore del mondo. Naturalmente mancino (scrive e fa le cose di tutti i giorni con la sinistra), fu impostato fin da piccolo a giocare con la destra (…che delitto!), e ci mise ben poco ad imporsi agli occhi dei tecnici federali. Quel giovane scheletrico toccava la palla con sapienza, anticipava l’arrivo della palla con un senso geometrico del campo clamoroso. Sapeva fare letteralmente tutto in ogni angolo del campo, dall’attacco alla difesa. Il potenziale per essere un grande giocatore c’era tutto.
Si lavorò molto su di lui, la federazione francese non risparmiò tecnici e risorse, sperando che madre natura ed allenamenti mirati al potenziamento potessero colmare di muscoli quella sorta talentuoso “fantasma”. Niente. Resterà per tutta la carriera nel limbo tra i grandissimi ed i giocatori medi, con frequenti punte verso l’alto (condite da un tennis stellare) ma anche verso il basso, per colpa di problemi fisici e crisi di fiducia.
Soprannominato “Picasso” per gli angoli acuti del suo volto, esibiva spesso espressioni sofferenti, con quell’inquietudine propria degli animi sensibili e creativi, di chi sa di aver tanto da dire e da dare ma che si sente “ingabbiato”, impossibilitato a far esplodere tutta la propria creatività. Proveniva da una famiglia di sportivi, con il fratello calciatore che ha militato nella nazionale U21 e poi a buon livello in vari campionati. Nicolas ha deliziato per anni gli appassionati con un tennis di altissima qualità tecnica, fatto di accelerazioni con entrambi i fondamentali, discese a rete sapienti, tocchi di classe. Pur giocando in un tour sempre più infestato da “palestrati senz’anima”, vinceva i suoi match con sapienza tattica ed un tennis a tutto campo. Completo in ogni settore del gioco, non aveva lacune tecniche di rilievo, e questo gli permetteva di giocar bene su ogni superficie, anche se l’erba ed indoor erano le sue preferite, quelle che esaltavano la fluidità dei suoi colpi e la capacità di giocare al meglio sui rimbalzi bassi. Infatti il suo marchio di fabbrica era proprio la leggerezza con cui andava sulla palla, si abbassava e lasciava partire degli swing veloci, stretti, composti, ideali ad impattare la palla e ricavarne meraviglie balistiche. Tutti i suoi colpi erano tecnicamente sopraffini, ma su tutto spiccava il rovescio, un movimento davvero fluido, bimane, con cui disegnava il campo e lasciava partire colpi definitivi, nascondendo benissimo la traiettoria ai rivali. E’ stato uno dei pochi tennisti bimani della nuova generazione a possedere anche un colpo d’approccio ad una mano eccellente, perché la sensibilità era ai massimi livelli, come dimostrava anche con smorzate e tocchi sotto rete. Dotato di un servizio interessante, seguiva spesso a rete le sue aperture di campo, e nei pressi del net chiudeva volée sia di tocco che di forza. Sentiva il campo, la palla, l’avversario. Era un tipo sveglio, acuto e per nulla banale, cosa che ha dimostrato anche una volta appesa la racchetta al chiodo con (poche) dichiarazioni molto sottili.
Il fisico è sempre stato il suo tallone d’Achille. Il suo corpo troppo fragile non gli ha mai permesso di disputare una stagione intera senza patire qualche problema, soffrendo infortuni di ogni tipo e molti mesi di stop. A volte ci scherzava sopra, rilasciando battute sibilline di un humor nero che mal celava la sua delusione, ed il suo un animo profondo. Senza la dovuta continuità non è mai riuscito a far fruttare il suo grande talento tecnico.
Da junior ne parlavano un gran bene, era una delle punte di diamante della sua generazione. Pagò carissime queste aspettative esagerate il 24 maggio 1993, quando a soli 17 gli fu concessa una wild card per il Roland Garros. Grande occasione, ma anche potenziale arma a doppio taglio… Il fato maligno parlava tedesco, con le poderose sembianze di Boris Becker, che lo sconfisse sul centrale in modo così traumatico (6-0 6-3 6-0) che passarono mesi prima che il “piccolo” Escude riuscisse a superare un impatto così duro con il mondo dei campioni della racchetta e riproporsi competitivo. La sua carriera è sempre stata in altalena, con qualche ottimo risultato alternato a momenti bui. Così la sua classifica non è mai stata stabile, con punte a ridosso dei top 15 e momenti sconfortanti, nel limbo dei giocatori mediocri. Ha vinto in carriera 4 titoli, il primo a Tolosa nel 1999, poi due edizioni di Rotterdam e l’ultimo a Doha nel 2004. Oltre ai tornei vinti, il suo miglior risultato è la stupenda semifinale agli Australian Open ’98, che resterà anche il suo miglior piazzamento in un torneo dello Slam. Un torneo pazzesco, in cui fu capace per tre volte di rimontare da due set sotto (vs. Larson, Reneberg e Kiefer, stabilendo per un primato assoluto a quell’epoca).
Da buon trasalpino, non ha mai snobbato la Coppa Davis, dove ha dato il meglio sé, inclusa l’impresa di una vita: le due vittorie in singolare nella storica finale 2001, quando sull’erba australiana sconfisse in cinque set bellissimi il n.1 del mondo (e fresco vincitore del Masters) Hewitt, bissando poi il successo contro Arthurs e regalando un insperato successo alla Francia. Eccellente anche il suo bilancio generale in Davis, con un bilancio in singolare di 13 vittorie e solo 3 sconfitte. Persona sveglia ed acuta, attento osservatore del campo di gioco e non solo, ha davvero tutto quel che serve per diventare un grande allenatore. I primi risultati con uno Tsonga che pareva in netto declino stanno a dimostrarlo.
In un tennis sempre più dominato da atleti muscolari e ben poco creativi, ricordare il tennis leggero, vario e divertente di Escude è stato piacevolissimo ritorno al passato.
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