In una edizione degli Australian Open caratterizzata alla vigilia da polemiche che con il campo hanno ben poco a che vedere, è d’uopo tornare a concentrarsi presto su ciò che fa battere il cuore. Un dritto fulminante, la folla che applaude, un match point annullato dal nastro beffardo.
Nole si, Nole no. Abbiamo iniziato a giocare lo stesso.
Fatti i conti con i consueti (e duri) carichi di lavoro della preparazione invernale i più forti del mondo sono tornati a fare sul serio. I “ragazzi terribili” con la foglia d’acero stampata sul petto hanno messo le mani sulla loro prima ATP Cup, ad esempio, mentre quel meraviglioso concetto di geometria applicata al tennis che risponde al nome di Ashleigh Barty sembra ancora la donna da battere. Daniil Medvedev dominerà il circuito riuscendo a schivare insidie azzurre, greche o tedesche? E che ne sarà di Badosa, Swiatek, Kontaveit e le altre? Fortunatamente è già scattato il fatidico “Reday, play”.
Di coppe da assegnare, però, ce ne sono tante. Guai, allora, a dimenticare protagoniste e protagonisti che il campo hanno deciso di dividerselo. Per scelta o necessità che sia. Il doppio è divertente, anzitutto. È bello da vedere. Coinvolge, appassiona, stupisce. L’esito delle recenti competizioni a squadre, poi, dimostra che una coppia solida e ben rodata rischia di diventare spesso decisiva per fare spazio ad un nuovo trofeo in bacheca.
Il doppio è il doppio, due singolaristi capitati lì per caso sono cosa diversa. Il doppio è movimenti di coppia. Gioco di sguardi, alchimia e sinergia che si traducono sul rettangolo di gioco in qualcosa di magico. Piantare i piedi sulla riga di fondo, spingere sulla stessa diagonale e attendere con pazienza l’errore dell’avversario è qualcosa che i puristi della disciplina non riescono a mandare giù. Il doppio è un onore, non un onere. E non è soltanto questione di vocali. Ma chi è pronto a portarne il “peso” sulle spalle?
I gemelli Bryan hanno appeso la racchetta al chiodo. Cara Black, dopo aver preso la bandiera dello Zimbabwe e averla piantata dritta al cuore del problema, ha detto basta da qualche anno. Leander Paes? È entrato in politica! Sania Mirza c’è ancora ma orfana della gemella diversa Martina Hingis. Dando un’occhiata ai tabelloni principali del primo Major della stagione arrivano, ahinoi, solo conferme che di superstiti dell’era che fu ce ne sono sempre meno. Ai colombiani Cabal e Farah si può chiedere tanto, certo, ma rispondere ad un servizio di Struff o pensare di scavalcare Isner con un pallonetto millimetrico è cosa difficile per chiunque. Il rischio è che, ancora una volta, si finisca per scendere a rete con il solo fine di stringere la mano agli avversari di turno.
Nell’attesa di capire se Krejcikova/Siniakova da un lato e Mektic/Pavic dall’altro continueranno a far man bassa è ora di lanciare un disperato appello: salviamo il doppio, amici. Ne va del nostro sport preferito.
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