Il mondo del tennis offre svariati incroci, a volte non facili da cogliere immediatamente. Per esempio, cosa può avere in comune l’impresa fatta dalla Russia nello scorso weekend di Coppa Davis con l’ingresso nella top 100 di Marco Cecchinato?
Andiamo per gradi e partiamo da un nome ben preciso: Evgeny Donskoy.
È stato indubbiamente l’eroe dello spareggio contro la Spagna, capace di vincere il suo primo doppio in Davis insieme a Kravchuk per 6-4 al quinto contro la coppia Lopez/Marrero e, non contento, nel giorno successivo ha pareggiato i conti portando lo spareggio al quinto match: a farne le spese è stato addirittura Tommy Robredo, 6-3 5-7 6-2 7-6 il risultato.
Al di là della differenza in classifica tra i due di oltre 150 posti, questa sorpresa è dovuta soprattutto agli ultimi mesi del tennista russo (classe 1990) che si avviava ad essere una delle meteore di questo sport. Donskoy, infatti, dopo una crescita costante che lo ha portato a macinare vittorie nel circuito challenger e raggiungere la 65esima posizione due anni fa, è attualmente in caduta libera. Una crisi che non ha niente a che vedere con qualche infortunio, ma che è stata maturata solo sul campo.
Eppure, come solo la Davis sa fare, questo weekend potrebbe essere l’iniezione di fiducia necessaria per riportare l’ex promessa russa nel tennis che conta. Questo perché sembra essere proprio la fiducia il vero pezzo mancante delle sue ultime prestazioni, dato che in quanto a qualità tecniche e atleticche siamo abbondantemente ai livelli dei primi 50.
La crescita di Donskoy, avvenuta soprattutto in un magico 2012, ricorda tanto quello che sta vivendo Cecchinato in questa stagione. Il russo riuscì a piazzare un record di 44-17 nei challenger riuscendo a vincere ben 5 tornei, una continuità che gli ha permesso di competere su qualsiasi superficie e in diversi periodi dell’anno. Nella stagione successiva, poi, le attese non furono tradite con il salto di qualità nei tornei che contano: terzo turno agli Australian Open e nello Us Open e vittorie contro top 25 del calibro di Youzhny, Melzer e Isner. Prestazioni che lo hanno portano ad essere singolarista in Davis e membro abituale dei vari tornei del circuito, ma sempre nel limbo 80-100 del ranking, uno stallo da imputare all’assenza di una fiammata che nel circuito dei grandi ancora non è arrivata.
Questa situazione precaria lo ha costretto a giocarsi i tornei che contano partendo dalle qualificazioni per tutto il 2014, una condizione che, se perpetrata, rischia di scivolare in cali di rendimento e difficoltà nella programmazione. Ecco perché, di fronte a tanti stop avvenuti prima ancora che il torneo entri nel vivo, la classifica di Donskoy è stata sempre più in discesa e negli ultimi mesi le sue tracce erano praticamente scomparse prima della grande impresa siglata contro Robredo.
Molti diranno che è la magia della Davis (la sua ultima vittoria contro un top 50, Joao Sousa, risaliva in un altro spareggio giocato nel settembre dello scorso anno) e in parte è vero, ma ciò non toglie nulla alle possibilità che ha Donskoy contro avversari di questo livello. Inciampare nella giungla delle qualificazioni a causa di qualche mese sottotono è deleterio per la propria crescita, ma ripartire dalle retrovie può essere una strada più avvincente, soprattutto con la consapevolezza di poter far partita con avversari ostici come Robredo.
In questa storia però, dopo aver parlato di fiducia alimentata grazie alle prestazioni, un capitolo importante deve essere aperto sulla fiducia ricevuta dall’ambiente che hai intorno. Se si prendono i risultati degli ultimi due mesi, sembra che Donskoy si sia trovato catapultato in campo senza meriti particolari. Archiviate le rinunce alle convocazioni di Gabashvili, Youzhny e Andreiy Kuznetsov, la Russia si è ritrovata con le seconde linee ad evitare la retrocessione in serie B e Donskoy, con il solo quarto di finale in un challenger di Mosca, arrivava davvero con poco alla sfida con la Spagna. Nonostante questo, sotto 2-0, il capitano Tarpischev ha deciso di rischiare tutto e lanciarlo nell’arena. Quanti avrebbero fatto altrettanto? Quanti si sarebbero affidati ad un ragazzo di 25 anni in crisi per ribaltare il risultato in una competizione pesante come la Davis?
Domande che possono trovare una risposta se estendiamo il contesto alla compagine russa. Con la generazone dei nati nella decade ’80 ormai al tramonto (Safin, Davydenko, Tursunov, Youzhny, Andreev), la federazione ha intelligentemente puntato sulla linea verde e questo è testimoniato dalle convocazioni di Rublev (1997) e Khachanov (1996). Ma anche Donskoy può essere considerato ancora come una grande risorsa per il semplice fatto di aver bloccato la sua ascesa nel primo vero passaggio a vuoto della sua carriera. Nella crisi ha ritrovato il suo pubblico e l’impresa contro la Spagna potrebbe rappresentare il suo vero “anno zero”, una lezione che in patria dobbiamo imparare.
L’esempio di Donskoy ci è utile per capire come sia impensabile considerare un tennista di 25 anni “finito” solo per una stagione sbagliata o per qualche difficoltà nell’emergere.
Una pratica molto diffusa tra il “tifo” italiano è proprio quella di processare la crescita di molte promesse al primo stop, senza avere la pazienza di aspettare il momento giusto che per ogni tennista è soggettivo. Negli ultimi anni ci sono passati Matteo Viola, Naso, Arnaboldi, Trevisan, Fabbiano, Giannessi, Gaio, Travaglia, Cecchinato e adesso questo sterile copione sembra riproporsi anche con Quinzi, che dall’età di 12 anni ha i riflettori di una nazione addosso.
Cecchinato ha raggiunto la top 100 questa settimana grazie ad un lavoro eccellente, ma negli ultimi due anni molti erano scoraggiati dal vederlo sempre intorno alla 150esima posizione, ignorando che per fare il salto di qualità, soprattutto nel mondo dei challenger, è molto più d’aiuto l’esperienza che un miglioramento tecnico. La recente finale giocata da Giannessi a San Benedetto è un’altra spia di come un ragazzo in crisi, capace di arrivare alle porte dei primi 100, si stia riprendendo. Inoltre ci sono anche le diverse qualificazioni nei main draw del circuito Atp raggiunte da Arnaboldi e Fabbiano che sono degli ottimi segnali.
Chiaramente non dev’essere per forza una convocazione in Davis a far accendere una miccia, ma può essere una grande prestazione in un torneo (vedi la storica finale a San Paolo raggiunta da Vanni a inizio anno) oppure una stagione di straordinaria continuità. Per questo prima di fare la radiografia ai momenti di crisi di alcune promesse del nostro movimento, è bene trarre spunto da storie normalissime come quella di Donskoy e contribuire meglio alla crescita di nuovi tennisti con una base di fiducia diversa.
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