Giovane, talentuoso, serio, determinato. Matteo Donati non rappresenta la nuova grande speranza del tennis italiano, quanto piuttosto una solida realtà. Nato ad Alessandria il 28 febbraio 1995, «Donats» ha disputato sinora uno splendido 2015 grazie al supporto dello staff di Bra e dell’esperto coach Massimo Puci. Da inizio anno ha già scalato 248 posizioni, portandosi dalla piazza 404 sino al numero 156 del ranking Atp. Fermo ai box per un problema alla mano, è dovuto rientrare dalla tournée nord-americana per curarsi a Montecatini dal professor Francesco Parra.
La prima domanda d’obbligo è: come stai?
«Ho avvertito questo problema fisico per la prima volta al challenger di San Benedetto contro Gianluca Naso nel momento in cui ho steccato un colpo e ho sentito come una scossa nella mano. Al turno successivo contro Salvatore Caruso sono sceso in campo dopo aver preso degli antidolorifici ma non stavo affatto bene. Sono partito per il Canada nonostante il dolore per due ragioni: da una parte evitare la multa salata che mi attendeva e dall’altra la speranza che dopo 4-5 giorni il problema sarebbe passato. A Granby sono arrivato sino in semifinale, ma ogni giorni avvertivo un dolore sempre maggiore. Negli Stati Uniti ho chiesto pareri ad alcuni medici, ma ognuno mi ha dato pareri diversi e soprattuto i tempi di recupero che mi prospettavano erano lunghissimi. Ho così deciso di rientrare in Italia per farmi seguire da Parra. Il Prof. mi ha purtroppo detto che la parte dolente è molto molto infiammata. Mi sarebbe piaciuto provare le qualificazioni nel Masters 1000 di Montreal, ma sarà durissima. La speranza è quella di poter partecipare al torneo di Vancouver, così da prepararmi al meglio per le qualificazioni agli Us Open. Mi spiace molto fermarmi ora, perché stavo giocando davvero bene…».
Il tuo coach Massimo Puci è rimasto negli Stati Uniti ad attenderti…
«Si , l’ho lasciato lì (ride). Ma potrà lavorare con suoi colleghi quali Leonardo Caperchi e Giampaolo Mauti a Boca Raton, non l’ho lasciato in cattive mani. E poi spero davvero di tornare negli States il prima possibile».
Hai scalato quasi 300 posizioni da inizio anno. Qual è stato il segreto di questa crescita esponenziale?
«La preparazione invernale, durata ben 3 mesi, è stata fondamentale. Non è stato facile rimanere lontano dalle competizioni per tutto quel tempo, ma sia coach Puci e che tutto il suo staff sono stati bravissimi: non sentivo la mancanza dal match, ma in me saliva pian piano la voglia di competere. Ho iniziato la stagione in Canada a livello futures e, anche se i risultati non sono stati positivi, vedevo nel mio allenatore la soddisfazione di una crescita importante che stavo realizzandosi. Quando il tuo coach è tranquillo a prescindere dai risultati non ti innervosisci così tanto nemmeno dopo brucianti sconfitte. Da quel momento ho alternato tornei ad alcune settimane di duro allenamento e sono giunti importanti risultati come la finale nel challenger di Napoli. In Campania, soprattutto dopo aver battuto il mio amico ed ex Top-40 Andrey Golubev, ho preso tantissima fiducia spingendomi in finale dopo altri bei match contro Arnaboldi e Cecchinato. Se mi chiedi il segreto direi: la lunga preparazione invernale, che mi ha consentito di crescere moltissimo dal punto di vista fisico, e la totale assenza di fretta che mi ha permesso richiami tecnici, tattici e atletici durante tutto l’arco di questi primi 7 mesi di 2015».
Non possiamo non fare un accenno agli Internazionali BNL d’Italia, dove hai battuto Santiago Giraldo sul centrale prima di perdere, ma con onore, contro Tomas Berdych…
«A Roma ho cominciato a intravedere il mio sono. Ho capito di non essere arrivato da nessuna parte, ma di aver piuttosto posto le giuste basi per l’inizio della mia carriera professionistica».
Se dovessi scegliere, oggi, la superficie sulla quale giocare il match della vita…
«Nonostante non ci abbia giocato molto, non ho dubbi: cemento all’aperto. Non a caso la programmazione di questo periodo avrebbe previsto, prima dell’infortunio, tutta la stagione nord americana su cemento outdoor e, più avanti, una lunga trasferta in Asia. L’idea era di giocare quasi 3 mesi su questa superficie. Il problema è che per farlo bisogna andare negli States o in Asia, perché in Europa ci si gioca pochissimo.
E sull’erba come ti sei trovato?
«Devo dire la verità: non benissimo. Facevo fatica a muovermi e il diritto a tratti non era inciviso. Avevo però preparato bene la stagione erbivora, lavorando soprattutto su servizio e rovescio, e per poco non mi sono qualificato a Wimbledon. Credo che un vantaggio del mio tennis sia quello di avere un diritto più da terra e un rovescio invece da veloce. Sul «rosso» il mio diritto è findamentale, mentre sul veloce il rovescio assume un ruolo decisivo».
Hai disputato tanti challenger e alcune qualificazioni Atp oltre ai match del Foro Italico. Quali giocatori affrontati ti hanno maggiormente impressionato?
«Sarebbe banale dire Berdych ma dico: Berdych! Non c’è bisogno che ne spieghi i motivi. Mi è piaciuto lo statunitense Bjorn Fratangelo, contro cui io ho giocato un match mediocre ma che comunque ha lasciato intravedere un gran tennis. È migliorato tantissimo Marco Cecchinato, che non a caso è appena entrate nei Top-100 grazie a una continuita di risultati straordinaria. E poi i giapponesi sull’erba, in particolar modo Moriya: io sul verde sembravo un orso che non riusciva a muoversi, loro sembrava giocassero a ping pong!».
La tua ragazza, Verena Meliss, è una promettente tennista di 18 anni. A prescindere dal fatto che sicuramente è più semplice un rapporto sentimentale con chi fa il tuo stesso lavoro e capisce le esigenze e le difficoltà della vita da tennista, mi piacerebbe conoscere quelle che secondo sono te le potenzialità di questa «Camila Giorgi in miniatura»…
«Verena gioca un bellissimo tennis, molto brillante, anche se deve diventare sicuramente più solida. Purtroppo ha avuto tanti piccoli problemi fisici, anche se non gravi, che ne hanno limitato la continuità. È una ragazza molto tranquilla che ha bisogno di grande fiducia. A volte pretende troppo da se stessa, ma le potenzialità sono ottime».
Hai parlato della tranquillità che tramette il tuo coach Massimo Puci. Quanto è importante il rapporto con l’allenatore in una fase di crescita importante come quella che stai attraversando?
«Max è un coach molto particolare. Quando deve dirti qualcosa te la dice, ma sempre trasmettendo serenità e tranquillità. Che sia presente ai tornei o meno mi trasmette le giuste sensazioni. Se vinco 7-6 al terzo e lo chiamo lui è tranquillissimo, come non fosse accaduto nulla di speciale. A volte quando ci sentiamo scherza e fa finta di non aver seguito lo streaming o il livescore: «Hai già giocato?» mi dice… Mi trovo benissimo anche con Chicco Porro e tutto lo staff di Massimo, perché tutti lavorano per un obiettivo comune e hanno le stesse idee da portare avanti».
Da alcune settimane è giunto a Bra anche Filippo Baldi, altra grande promessa del tennis italiano che, a causa di alcuni infortuni, è rimasto un po’ indietro…
«Filippo è arrivato da noi un mesetto fa e abbiamo svolto una bella settimana di allenamenti insieme. Speriamo che l’aria di Bra faccia bene anche a lui. Mi piacerebbe in futuro girare i tornei con Filippo, sarebbe davvero bello. Per quanto riguardo il suo ritardo in classifica il discorso in realtà è molto semplice: se io avessi pensato a inizio anno, partendo dai futures, di fare 300 punti in 7 mesi l’avrei ritenuto quasi impossibile e inarrivabile. È tutta una catena, perché quando giochi i futures 10 punti son tanti, mentre nei challenger se ne realizzi 40 sei soddisfatto. Poi giochi Roma, vinci un match e ne ottieni 45… senza nemmeno accorgertene. Se ti fissi sul ranking e sui punti ti auto-distruggi. Non bisogna pensarci, anche se capisco che non sia facile».
Hai potuto calcare il «rosso» del centrale del Foro Italico. Qual è il prossimo Centre Court che sogni?
«Il mio primo sogno era Roma e l’ho realizzato. Ricordo ancora quando vidi in tv il match di Filippo Volandri contro Roger Federer… All’epoca pensarmi sul quel campo era una chimera. L’esordio sul centrale per me è stato strano: fuori dal campo avevo i brividi, poi una volta entrato mi sono sentito tranquillo e stupito di esserlo. Appena iniziato il match la tensione si è fatta sentire, ma pian piano mi sono sbloccato e, sul 5-4 al terzo per me, ho servito per il match come se stessi giocando il secondo turno di un challenger. Dove sogno di giocare il prossimo grande match? Forse dovrei dire Wimbledon, ma perché è il tempio del tennis non certamente per l’erba. In realtà il sogno numero 1 è Parigi e il campo centrale del Roland Garros».
Mentre Matteo Donati sale in classifica e si avvicina al gotha del tennis c’è un Gianluigi Quinzi, osannata da stampa e addetti ai lavori in passato, che sta facendo tanta fatica. Che consiglio ti senti di mandargli?
«È da tanto ormai che non vedo Gian, non conosco i suoi pensieri. Però il consiglio che gli darei è quello di circondarsi di un team di cui si fidi, al quale appogiarsi totalmente nei momenti difficili. Tutti i giocatori attraversano fasi complicate in cui le sconfitte sono tante e le vittorie pochissime e in quei casi è il team a indirizzarti. Lo scorso anno ho attraversato dei momenti durissimi, ma Massimo ed Enrico mi hanno aiutato tanto dandomi certezze e tranquillità».
A fine 2014, come detto, ti sei fermato 3 mesi per la preparazione invernale. Sai già come svolgerai la prossima pre-temporada?
«Sicuramente faremo uno stop abbastanza lungo, magari di un paio di mesi, ma per adesso stiamo parlando più del luogo che della durata. Bisogna considerare che andremo a Melbourne per gli Australian Open e che a fine 2015 giocherà la serie A1 per il circolo di Crema. Sicuramente dovrò puntare tanto ancora sul rafforzamento fisico, assolutamente fondamentale per il circuito Atp. Sarà un ciclo lungo anni, ma io sono pronto».
Hai vissuto l’esperienza in Coppa Davis a Napoli contro la Gran Bretagna quando, insieme a Quinzi, eri aggregato alla prima squadra. La convocazione in nazionale è un tuo obiettivo?
«È uno dei miei sogni. Già da junior ero felicissimo quando venivo convocato per manifestazioni anche poco importanti, ma che mi davano grande gioia. A Napoli ho vissuto una bellissima esperienza accanto ai grandi giocatori azzurri. Si, la maglia della nazionale è un obiettivo chiarissimo della mia carriera che spero di realizzare presto».
Qual è il rapporto con i nazionali azzurri?
«Quello che conosco meglio è Paolino Lorenzi, con cui ho giocato la coppa a squadre, ma con tutti ho un ottimo rapporto e parlano tanto con noi giovani. Ricordo che Fabio Fognini mi ha riempito di consigli prima del match di doppio che, insieme a Stefano Napolitano, avrei giocato al Foro Italico contro Dodig-Melo. Oppure Filippo Volandri, che mi ha catechizzato nel tunnel prima della sfida contro Tomas Berdych. Quando mi è possibile cerco sempre di avvicinarmi a loro, così come a Seppi e Bolelli, sperando ovviamente di farlo anche in classifica».
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