Tra i Top 100 del ranking Atp c’è un nome che colpisce più di altri, è quello di Diego Schwartzman, 170 cm di altezza in un tennis sempre più dominato da giganti dotati di una prestanza fisica degna dei grandi giocatori usciti dal Draft NBA. Eppure l’argentino, nato a Buenos Aires il 16 agosto 1992 e tuttora residente nella capitale argentina, è riuscito ad assestarsi pur senza i requisiti suddetti al numero 54 delle classifiche ed è reduce dalla finale persa a Stoccolma contro Gasquet, frutto di un cammino che esemplifica perfettamente le qualità di combattente di questo ragazzo durante il quale ha estromesso avversari molto più quotati ed esperti come Nicolas Mahut, Pablo Cuevas e soprattutto il padrone di casa David Goffin, a cui ha annullato la bellezza di due match point quando ormai il belga già pregustava di potersi giocare il titolo dinanzi al pubblico amico.
Il suo percorso non è stato assolutamente esente da difficoltà, dettate soprattutto dalla situazione economica non sempre benestante della sua famiglia, la quale ha comunque compiuto il massimo sforzo al fine di consentire al giovane di Villa Crespo, dove è situata la sua residenza ancora oggi, di compiere il suo percorso tennistico. Prima di vincere finali il sudamericano è incappato in molte sconfitte, per sua stessa ammissione causate da una non perfetta cognizione delle proprie capacità in relazione alle sue dimensioni fisiche. Anni fa la sua altezza sarebbe stata considerata accettabile, ma oggi in una nazione che ha dato i natali al gigante Juan Martin del Potro il raffronto può apparire davvero irrisorio. Ed invece non è così, perché Diego è in grado di compensare le lacune strutturali grazie a velocità, coordinazione e abilità di risposta al servizio fuori dal comune.
Anche l’esordio tra i professionisti non è stato privo di ostacoli, per motivi paragonabili ai demoni che lo affliggevano durante la carriera junior, quando sua madre gli ha presentato la psicologa Andrea Douer che lo avrebbe aiutato nella gestione della pressione preservandolo da scelte poco ponderate. Una volta approdato in Top 100 – risultato non scontato e tale da fare invidia a molti giocatori azzurri che galleggiano intorno a quella posizione senza mai “sfondarla” – il ragazzo non è stato preso troppo sul serio, nessuno pensava che potesse insinuarsi nell’élite di questo sport ormai destinato all’esaltazione della potenza brutale dei vari Kyrgios, Raonic e Thiem. Così Schwartzman ha conquistato progressivamente la fiducia di tutti a suon di risultati roboanti, compresa una convocazione in Coppa Davis resa ancora più speciale dal fatto di aver sopravanzato nelle gerarchie del capitano argentino anche giocatori molto più dotati fisicamente all’interno di un paese che gode di ottima tradizione tennistica. L’anno scorso ha incrociato la racchetta con David Goffin con in palio un punto che sarebbe valso la finale, tuttavia non c’è stato nulla da fare vista la maggiore esperienza su quei palcoscenici del giocatore belga.
Si è già trovato ad affrontare Federer, Nadal, e Djokovic, conservando qualche rimpianto per non essere riuscito a strappare almeno un set a Re Roger nella sfida andata in scena al Roland Garros nel 2014, mentre l’incontro agli Us Open opposto al numero 1 serbo è servito a fargli capire quanto margine ci sia tra i top player e il resto della compagnia. Quest’anno le aspettative riposte sul sudamericano erano davvero alte, tant’è che Diego aveva rinvigorito il suo team grazie all’inserimento di Hernan Gumy, ex giocatore e coach di grossi calibri come Kuerten, Coria, Safin, Canas e Kuznetsova. L’inizio non è stato dei migliori complice soprattutto un crampo accusato in Australia che non gli ha consentito di partire come avrebbe desiderato. La fiducia si è inevitabilmente affievolita togliendo sicurezze all’argentino, fino ad intascare un pesantissimo 6-0 6-0 a Houston contro Marcos Baghdatis.
Proprio quando l’annata cominciava ad assumere i contorni di un fallimento su tutta la linea, la svolta operata da Schwartzman è stata a dir poco radicale, presentandosi a Istanbul dopo aver messo fine alla collaborazione con Prieto; in terra turca, inoltre, il tennista albiceleste era chiamato a difendere la semifinale raggiunta l’anno prima e persa sul fil di lana contro Federer, per cui l’ansia non poteva che essere alle stelle. Ed invece, una serie di prestazioni impressionanti gli hanno permesso di mettere in fila nell’ordine avversari quotati come Bagnis, Tomic, Dzumhur, Delbonis e Dimitrov in finale, regalando così alla sua Argentina il titolo numero 214 di una storia gloriosissima. Diego rappresenta dunque l’esempio vivente di quanto determinazione e caparbietà possano sopperire a limiti fisici ostentandone invece la straordinaria normalità. Non arriverà mai probabilmente ai 62 trionfi Guillermo Vilas e nemmeno agli 11 di David Nalbandian, ma tutto quello che riuscirà a vincere nella sua carriera sarà perfettamente guadagnato e non spinto dai favori del pronostico. L’atto conclusivo di Istanbul ha esemplificato questi concetti a discapito di un bulgaro tecnicamente molto più dotato ma spesso incapace di far fruttare quel talento, a testimonianza del fatto che la predisposizione genetica può rivelarsi davvero un’arma a doppio taglio se non provvista della giusta motivazione.