“Nooooo!!!! S’è rotto, s’è rotto di nuovo. So’ tre mesi che se trascina dietro sto’ infortunio”.
Lo spettatore alle mie spalle, che dall’accento deduco non essere decisamente autoctono, è un fedelissimo seguace di Paolo Lorenzi, se non addirittura parte del clan, e resta visibilmente amareggiato quando la testa di serie numero uno del torneo a fatica raggiunge la sua panca e invoca l’intervento del fisioterapista, dopo soli 15 minuti di gioco.
I tre minuti di time out forniscono una pausa anche al mio cervello, all’ultimo stadio di ebollizione dopo alcune ore sotto il solleone. A dir lo vero la cronaca di questa penultima giornata sui campi mestrini dovrebbe spostarsi indietro di parecchie ore, più precisamente a ieri sera, quando con un’incursione dell’ultimo secondo mi ritrovo su un regionale veloce (più simile a un treno merci), direzione avanti tutta verso la semifinale di doppio Arnaboldi/Viola contro Cipolla/Starace.
Questo golpe non era in programma, ma dopo aver seguito quasi agonizzante il live score dei quarti in cui solo un intervento divino aveva annullato un match point a sfavore del mio beniamino Arna, decido che forse è il caso di recarmi in loco. Per sdrammatizzare la situation do appuntamento a un’altra doppista della domenica, che fortunatamente asseconda quasi sempre le mie follie dell’ultimo momento.
Facciamo appena in tempo a sistemarci sugli spalti ancora roventi e a profonderci in commenti non strettamente pertinenti (“Ci sono casi in cui il giallo fluo ha il suo perché…”) che quasi mi perdo il set point con cui la coppia A/V incamera il primo parziale per 6-1.
Profetizza sibillina la mia compare: “Ho messo due ore nel parchimetro, mal che vada ghe xe un bacaro qua da drio che xe nà belessa…”. Macché bacaro, macché spriss, dopo aver lanciato a terra la sua racchetta a ogni punto sbagliato nel primo set, Starace decide che è ora di entrare in partita e a suon di servizi a saetta, coadiuvati dalle spiazzanti volèe di Cipolla che si ostinano a rimanere dentro il campo, riequilibrano il match dominando il tie break (7-4).
Eh no eh, non potete farmi questo. Invece eccome se lo fanno, Arnaboldi e Viola si fanno sfilare sotto i miei occhi un match iniziato perfettamente e concluso tragicamente, anche se con attimo di fugace illusione, 10-8. Tanto tanto diludendo per noi.
La notte e qualche bicchierino di troppo mi consentono di dimenticare questa cocente delusione e mi riportano nuovamente sul trenino ciuf ciuf in questo afosissimo sabato pomeriggio, questa volta all alone. Solo uno sparuto manipolo di temerari sfida la canicola della tribuna inondata dal sole per apprezzare la prima semifinale tutta latina. Si affrontano a duello il prestante Maximo Gonzalez e Josè Hernandez-Fernandez, il fortunello dell’ultimo secondo che a inizio settimana non appariva nemmeno in entry list.
L’argentino condivide con il suo più famoso omonimo cileno la celebre “mano de piedra”: quando il diritto di Fernando Gonzalez incontrava la palla sembrava tirarle un ceffone. Dal canto suo l’imberbe venuto da Santo Domingo, 25 anni, si difende come può, sostenendo a tratti il ritmo forsennato di quelle accelerazioni, ma il divario resta elevato, come testimoniano anche le 80 posizioni di differenza nel ranking. In un’oretta e spicci si arriva al match point Gonzalez che archivia la pratica 6-3, 6-2.
Imprescindibile sosta al bar in cerca di qualsiasi cosa mi eviti di andare incontro alle allucinazioni, ed è nuovamente sauna all’aperto sul campo centrale. Il pubblico delle grandi occasioni è arrivato e i temerari nella tribuna-solarium ora sono un piccolo esercito. Il perché si chiama Paolo Lorenzi, ed ecco che la mia mente si sveglia dal flashback ed è ora davanti al fisioterapista in un disperato tentativo di arginare i danni. La fasciatura alla coscia sinistra è vistosa ma non può sostenere il più gravoso dei pesi: la stagione sull’erba è alle porte e con essa Wimbledon. Vistosamente zoppicante, Lorenzi si ritira sull’1-0, 30-40 dopo appena 16 minuti di gioco. Così il sorprendente slovacco Jozef Kovalik giunge saltellando in finale, e avrà fresche energie per provare a neutralizzare la mano de piedra.
Nella lunga attesa della finale di doppio, gara di velocità al servizio tra i raccattapalle e musica a palla quasi fossimo al Lido. Starace e Cipolla se la vedono contro la coppia Facundo Bagnis/Sergio Galdos e il copione è lo stesso della semifinale: primo set perso, secondo vinto miracolosamente al tie break, terzo chiuso 10-4 e la rimonta è servita. Onore dunque a Potito e Flavio, che hanno dato al torneo mestrino almeno due vincitori italiani. Mi vergogno un po’ a confessare di aver seguito dal vivo solo il primo parziale, a causa di un impegno serale con una Vecchia Signora.
E ora via, di nuovo verso il treno merci che mi conduce stridendo verso casa, verso un’altra finale. Ma questo è un altro sport e un’altra storia.
Leggi anche:
- None Found