di Luca Fiorino (@LucaFiorino24) (Foto Alessandro Nizegorodcew)
“Fosse stato per me avrei giocato fino a 50 anni”. Da queste poche parole si capisce fin da subito uno dei motivi per cui Alessio Di Mauro ha giocato a buon livello sino all’età di 37 anni: la passione verso il tennis. Siciliano nel cuore e nell’animo, mancino, dotato di un buon servizio e di un ottimo rovescio bimane, negli anni si è fatto apprezzare al pubblico italiano per la sua genuinità ed il sacrificio. Doti che unite ad un grande acume tattico l’hanno portato esattamente 8 anni fa (era il 26 febbraio del 2007) a raggiungere il suo best ranking di numero 68 del mondo. Molto più a suo agio sulla terra rossa, ha al contrario centrato le uniche vittorie in tornei del Grande Slam sull’erba di Wimbledon ed a Flushing Meadows. Memorabili sono le vittorie da lui ottenute contro Guillermo Coria ad Acapulco, David Ferrer a Gstaad ed il terzo turno raggiunto a Montecarlo battendo due tennisti non propriamente simpatici (così li definisce) come Wawrinka e Stepanek. Tanti futures e ben 7 challenger in bacheca, Alessio Di Mauro si è aperto a noi di Spazio Tennis confidandoci quali sono i suoi programmi futuri, come procede la sua nuova carriera da coach, senza dimenticarsi di togliersi qualche sassolino dalla scarpa…
Molti tuoi colleghi hanno affermato in passato che avessi tutte le carte in regola per intraprendere una carriera da coach: cultura del lavoro, passione e visione tattica. Sapevamo che avevi iniziato a settembre una collaborazione con Gianluca Naso. Ti occupi ancora di lui o hai intrapreso un’altra strada?
Dopo 10-15 giorni dall’inizio del mio nuovo lavoro da coach le strade si sono divise. Dopo la parentesi a settembre al challenger di Kenitra, abbiamo maturato questa decisione condivisa sia da parte nostra, inteso come staff (Alessio Di Mauro e Fabio Rizzo), sia da parte di Gianluca. Dopo tanti anni lui era alla ricerca di nuovi stimoli e a dire il vero da ambo le parti c’erano vedute differenti su determinati aspetti. Nel tennis ci sono tanti esempi di tennisti che interrompono dopo tanto tempo il rapporto di collaborazione col proprio coach. Questo non toglie che siamo rimasti in ottimi rapporti e che non ci sia stato nessun diverbio in particolare. Al termine di questa esperienza io e Fabio abbiamo sposato un progetto al Cus di Catania che vede coinvolti sia ragazzini del vivaio sino ad arrivare ad un paio di ragazzi più grandi che stanno provando ad intraprendere la carriera del professionismo. Credevo che una volta che avrei smesso la mia vita peggiorasse ed invece mi rendo conto che mi sta piacendo parecchio, mi piace lavorare coi ragazzi più piccoli ed apprendere anche perché essere giocatore e fare il maestro sono due cose differenti.
Quando hai maturato l’idea di ritirarti? Quanto ti manca il circuito e come ti spieghi che a differenza di altri tennisti tu abbia giocato a buon livello sino a 37 anni?
Ho smesso ad aprile in realtà, poi ho fatto qualche apparizione in dei tornei challenger più che altro per salutare i tanti amici che ho conosciuto negli anni. Ho maturato questa decisione già due anni fa, mi ero prefissato di lavorare come coach a partire da settembre del 2014 e così è stato. Riguardo all’età penso che abbiamo tantissime dimostrazioni di ragazzi usciti tardi, come Paolo Lorenzi, lo stesso Luca Vanni a testimonianza che noi italiani maturiamo più tardi. Nel mio caso in particolare ho cominciato a giocare abbastanza tardi a livello alto perché ho fatto un anno di militare, ho iniziato a crederci a 24 anni, in un’età in cui molti tennisti hanno già tanti anni di carriera alle spalle. Posticipando dunque l’inizio ho chiuso anche più tardi rispetto alla media grazie alla voglia e alla passione che da sempre ho nutrito per questo sport. Finché ho giocato ho dato tutto. Un altro segreto che mi ha permesso di restare per molti anni all’interno del circuito è stata anche una certa integrità fisica, non mi sono mai infortunato gravemente. Nell’ultimo periodo giocavo con ragazzi di 15 anche 20 anni più piccoli di me ed iniziavo dunque a sentirmi un pesce fuor d’acqua. Tutti i miei coetanei avevano smesso, cosa ci facevo ancora qui in mezzo a tanti ragazzini? Poi un po’ la classifica, un po’ il fatto che comunque mi fossi sposato e volessi fare un figlio hanno fatto il resto. D’altronde non si può continuare sino a 50 anni anche se io l’avrei fatto volentieri…
Quali sono stati i successi più belli? Hai qualche rimpianto? Qual è il giocatore contro cui hai giocato che ti ha maggiormente impressionato?
Le vittorie più belle sono state con Coria ad Acapulco nel 2006, con Ferrer allora numero 13 del mondo e il torneo di Montecarlo in generale dove partii dalle qualificazioni e riuscii a battere due ragazzi non propriamente simpatici come Wawrinka e Stepanek. Giocare per un italiano lì è quasi come giocare a Roma. Lo stesso torneo di Buenos Aires è stato un risultato incredibile, anche se ad onor del vero lì ho avuto fortuna nello sfruttare il round robin. Non ho dei veri e propri rimpianti, semmai mi accorgo oggi di aver fatto delle scelte errate in termini di programmazione. Una volta entrai a Bangkok a fine anno e non andai perché stanco di tutta una stagione. Oggi a ripensarci mi sembra una pazzia. Così come ho scoperto troppo tardi di potermela cavare bene anche sul cemento all’aperto. Dei giocatori che ho affrontato nel corso della mia carriera quello che mi ha impressionato maggiormente fu Murray. Lo incontrai a New York nel 2006 al secondo turno dopo che battei Jurgen Melzer. Racimolai appena due game in tre set, non vedevo l’ora di uscire dal campo. Disinnescò tutti i miei punti di forza, rallentavo il gioco ma lui riusciva ugualmente ad essere aggressivo, quando al contrario provavo io ad essere più propositivo si difendeva in maniera incredibile. In poche parole mi ha letteralmente massacrato. L’aspetto curioso è che l’anno prima lo affrontai in un challenger a Barletta e vinsi facile 6-2 6-1. Direi che in poco tempo fece dei progressi notevoli e oggi i risultati e la classificano dimostrano tutto il suo bagaglio tecnico.
Parliamo del Round Robin. Grazie a questa formula arrivasti in finale nel 2007 a Buenos Aires. Cosa ne pensi oggi?
Per quanto mi riguarda è stata una bella esperienza, arrivai in finale contro Monaco ed è uno dei ricordi più belli che conservo ancora oggi. La verità è che con questa formula si sono disputati pochissimi tornei, testimonianza del fatto che l’esperimento non sia riuscito. La maggior parte dei giocatori non era d’accordo ed io mi schiero per certi versi con loro. Nel tennis chi perde dovrebbe uscire dal torneo senza aver la possibilità di proseguire. Si potrebbe riproporre forse rivedendo bene qualche regola, come quella di non far partecipare giocatori della medesima nazionalità all’interno dello stesso girone o nel caso di ritiro in una delle due partite di rivedere il regolamento. In linea di massima è una formula di difficile attuazione perché il rischio di vedere partite falsate si farebbe sempre più concreto.
In che maniera pensi che evolverà negli anni il tennis?
Il tennis varia tantissimo negli anni, spesso anche in breve tempo, è uno sport dunque in continua evoluzione. Nel corso della mia carriera ho visto diverse generazioni di tennisti, a partire da “Boom Boom Becker” che disponeva di un fisico imponente e di una palla pesante, per arrivare ai Kuerten e ai Ferrero che erano più magrolini e che erano molto costanti sino ad oggi che si è tornati nuovamente alla forza pura. Credo che si studieranno delle soluzioni per progredire sempre di più, è possibile che entro pochi anni usciranno fuori tennisti che avranno meno kg addosso perché ormai la vecchia vera palestra è stata quasi abbandonata a discapito di esercizi a corpo libero e di stabilizzazione.
Che consigli ti sentiresti di dare a Quinzi? Per caratteristiche di gioco tue e sue è possibile fare un piccolo accostamento? Ti piacerebbe un giorno allenarlo?
Il primo consiglio che gli posso dare è quello di andare avanti per la sua strada perché quello che ha fatto a livello giovanile è una cosa, passare tra i pro un’altra. E’ un mondo difficile, l’importante è che lui pensi a lavorare per crescere ed intraprendere questa nuova avventura senza badare troppo ai commenti. Certo, nel giro di pochi anni è stato scavalcato da Zverev, Kokkinakis, Kyrgios e via discorrendo, ragazzi che qualche anno fa erano più deboli di lui almeno a livello di risultati. Ognuno ha i propri tempi, la carriera è la sua, non deve fare corsa contro nessuno ma solamente affidarsi al suo staff. La vittoria di Wimbledon anche se a livello junior forse ha creato un po’ troppe aspettative su di lui e spesso essere al centro dell’attenzione e della critica non aiuta. Come tipo di giocatore lui sta un po’ più coi piedi dentro al campo, il dritto è più costruito rispetto al rovescio però sì, un pochino potrei dire che mi somiglia. Riguardo alla domanda se mi piacerebbe allenarlo o meno ti dico che per adesso sto bene così, voglio fare la mia carriera e continuare il lavoro che ho intrapreso anche se in futuro non escludo nulla.
Caso scommesse: l’idea che mi feci io in passato è che si sia fatto un uso strumentale della situazione. A distanza di anni come credi che sia cambiata la situazione? Pensi di essere stato preso in giro?
Direi di sì, ad oggi mi sento un po’ preso in giro seppur ammetto tutte le mie colpe. L’errore l’ho commesso anche se ero in buona fede. Avevo scommesso con la mia carta e a mio nome ma ti assicuro che non ero l’unico giocatore a possedere un conto intestato. Ancora oggi non mi hanno detto chi sia stato a fare il mio nome, per motivi di riservatezza non me l’hanno potuto dire. Giocai 52 scommesse sul tennis tutte perdenti, già per questo mi avrebbero dovuto discolpare o comunque avrebbero dovuto infliggermi una squalifica meno severa di quella che ricevetti. Di queste 52 solo una quarantina erano sul Master di Shanghai su scommesse del tipo chi faceva più ace o cose simili e parliamo sempre di cifre irrisorie. Per me era più che altro un passatempo, niente di più. Fui ingenuo, mi capitò di scommettere qualcosa anche in players lounge sotto gli occhi di tutti pensando che fosse una cosa possibile e non grave. Inizialmente volevano squalificarmi per 3 anni e darmi una squalifica di 100 mila dollari, alla fine dopo che feci ricorso al Tas di Losanna mi è stata ridotta a 7 mesi ed ho dovuto pagare 25 mila dollari di multa all’Atp e 25 mila all’Itf oltre le varie spese legali. Dopo questa squalifica non sono mai più rientrato fra i 100 (numero 107 del mondo prima di questo avvenimento), penso che mi abbiano causato un danno non da poco. Ci sono state e ancora tuttoggi ci sono un po’ di cose strane. Ricordo come più o meno in concomitanza con la mia squalifica ci fu il clamoroso episodio del match tra Davydenko e Vassallo Arguello, partita letteralmente indirizzata (come le quote lasciavano presupporre durante il live di quell’incontro) verso il tennista sudamericano. Non trovarono alcune prove a riguardo e giustamente non presero provvedimenti. Io dico solo che furono scommessi milioni e milioni di euro su quel match e che la quasi totalità di questi soldi furono puntati sull’argentino. Inoltre credo ci sia una grandissima differenza tra il giocare contro sé stessi o combinare i match piuttosto che scommettere qualche euro su tennisti impegnati in altri tornei. Ripeto, mi assumo tutte le colpe perché ho sbagliato ed ho pagato, anche in maniera eccessiva. Credo a questo punto di essere stato un vero e proprio capro espiatorio anche perché oggi leggo e sento tante cose ma non si fa nulla per evitarle. Spiattellato in prima pagina come primo caso al mondo di scommesse nel tennis, credo che la cosa sia stata strumentalizzata. In compenso ho reagito bene, forse perché mi sono sempre divertito giocando a tennis. Avrei potuto ritirarmi invece mi sono ripreso una mia piccola rivincita ripartendo da zero perché il tennis prima che un lavoro, per me è stata e sarà sempre la mia più grande passione.
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