Denis Istomin, cuore d’avventura

Istomin Nottingham

di Alessandro Mastroluca

Un cuore d’avventura. Un destino di viaggi, miraggi e seconde occasioni, di città di frontiera e frontiere che cominciano a cadere dopo un milione di città. Cresciuto dalle donne, allenato dalla mamma come Jimmy Connors e Donald Young, per battere gli uomini, Denis Istomin inizia un nuovo percorso. Il primo titolo ATP segna una seconda partenza in una storia che di svolte ne ha attraversate parecchie, con una sola, fondamentale, costante: mamma Klaudiya.

Denis è il primo giocatore uzbeko a vincere un torneo ATP, ma la definizione dell’appartenenza geografica richiede orizzonti più vasti. Perché Denis in realtà è nato in Russia, a Orenburg, che dovrebbe significare Fortezza sul fiume Ur: ma quel primo avanposto dei coloni che avanzavano verso la Siberia, quella prima fortezza del 1735, diventerà Orsk. Orenburg è il terzo avanposto che sarà creato negli anni e dal 1920 al 1925 farà parte del territorio del Kazakistan, prima di rientrare nell’URSS ed essere intitolata, tra il 1938 e il ’57 a un pioniere dell’aviazione sovietica, Valerij Čkalov. Una geografia che scrive la storia e la biografia del giovane Denis, che a 3 mesi il padre riporta a Tashkent. E da lì comincia il suo volo, senza pensieri pesanti e con la normalità di un ménage familiare che sul circuito attraversato dalle controversie per Amelie Mauresmo all’angolo di Murray e di Gala Leon capitano della nazionale spagnola di Davis assume caratteri di eccezionalità: la mamma lo allena, e spesso divide con lui anche la camera in hotel.

Magari, a qualche spettatore inglese che ha visto anche giocare Connors, in Klaudiya che guida gli allenamenti, scambia e dà istruzioni tecniche e tattiche al figlio sarà tornata in mente la Cherie Lunghi protagonista di Manageress, una serie andata in onda Channel 4 della fine degli anni ’80 su una donna che diventa allenatrice di una squadra di calcio maschile. Una serie tanto poco probabile allora, nella Premier Division di John Fashanu, primo calciatore omosessuale dichiarato che si impiccherà a Shoreditch nel 1998, quanto adesso.

Per Denis, invece, avere la mamma sul campo come coach, è normale routine. Ha i suoi lati positivi, non deve pagare per un allenatore, e le sue controindicazioni, meglio non portare ragazze in camera. Funziona così da sempre, è praticamente cresciuto su un campo da tennis. “Mia madre seguiva i giovani tennisti nel club a Tashkent” ha raccontato Denis, e quando ha iniziato a mostrare una certa propensione e un buon potenziale l’ha naturalmente iniziato ad allenare.

Ma questa storia avrebbe potuto fermarsi nel 2001, avrebbe potuto non cominciare. Mentre sta andando a un Future in Uzbekistan, Istomin è coinvolto in un grave incidente stradale. Ha una gamba rotta e deve rimanere in ospedale tre mesi: per suturare la ferita dopo l’operazione, gli applicano 80 punti. Per due anni e mezzo, non prende in mano una racchetta. I medici gli dicono che non potrà giocare mai più.

Mamma Klaudiya, che proprio in quel periodo ha un altro figlio (più piccolo di Denis di 14 anni), lo riporta sul campo nella primavera del 2003. Scambia con lui per ore, e non smette di incitarlo. “Dai, andiamo, ce la possiamo fare”. Denis, che per due anni avrà un coach diverso mentre mamma Klaudiya svezza il fratellino, ci crede davvero: ce la può fare. E ce la fa. “Se sono qui” ha ammesso, “lo devo a mia madre perché ha creduto che potessi tornare a giocare”.

Diventa un perfetto esempio di resilienza, di quella capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà che per Susanna Kobasa, sicologa dell’università di Chicago, richiede la compresenza di tre distinti tratti della personalità: l’impegno, che vuol dire avere obiettivi da raggiungere, per cui lottare e in cui credere; il controllo, la convinzione di non essere in balia degli eventi; e il gusto per le sfide. Il profilo psicologico gli si attaglia come una fotografia

Da quel momento, Istomin ha portato, di fatto da solo, l’Uzbekistan nella geografia mondiale del tennis maschile. Nel 2010 diventa il primo uzbeko a finire la stagione da top-50 (secondo miglior giocatore d’Asia dietro Hsun-Lu quell’anno) e il primo a giocare una finale (New Haven). Allo Us Open, perde al secondo turno contro Rafa Nadal, che come lui tifa per il Real Madrid, ma si prende l’ovazione dell’Arthur Ashe per una controsmorzata stretta, vincente, in diagonale e in scivolata. Tornato in patria, la federazione lo omaggia… con un frigorifero personalizzato: l’iscrizione, tradotta, recita “Miglior colpo”.

Laureato in “physical culture”, un percorso che unisce l’educazione fisica a una serie di programmi per diventare coach, fisioterapista, giornalista, studioso di scienze sociali applicate allo sport, all’Università di Physical Culture e Sport, è il quinto giocatore ad aver festeggiato quest’anno il primo titolo ATP. Sull’erba inglesedi Nottingham ha battuto Querrey in finale e salvato un match point nei quarti a Leonardo Mayer anche se, dice, non si era nemmeno accorto di trovarsi a un punto dalla sconfitta. “E’ molto positivo rappresentare la mia nazione” ha spiegato al sito dell’ATP dopo la vittoria. “In tanti mi hanno sostenuto dall’Uzbekistan e credo che questa vittoria sia un passo importante per i giovani tennisti uzbeki: ora pensano che ce la possono fare anche loro. Questo successo conta davvero molto, e non solo per me”

Sull’erba, dove ha raggiunto per la prima volta gli ottavi in uno Slam, a Wimbledon nel 2012, riparte la strada verso la top-40, verso il best ranking di numero 33 toccato nell’agosto di due anni fa, e chissà verso la top-20. Non ci sono limiti per chi è cresciuto senza confini, non esistono barriere per i cuori d’avventura.

Leggi anche:

    None Found