di Luca Fiorino
Un’idea suggestiva e affascinante ma solo, al momento, per il futuro. Davide Sanguinetti non si nasconde e oggi, come in passato, ci conferma nuovamente il proprio desiderio di allenare un giorno la nazionale italiana. L’azzurro nel cuore e anche nella testa. Sono passati 16 anni da quando Davide Sanguinetti annichilì Todd Martin in quel di Milwaukee, contribuendo alla qualificazione dell’Italia in finale di Coppa Davis contro gli svedesi. L’ex Davisman si è raccontato a noi di Spazio Tennis ripercorrendo la propria carriera da giocatore sino all’attuale attività di coach. Fra progetti presenti, sogni futuri e ricordi del passato, “Dado” ci ha parlato a cuore aperto svelandoci anche interessanti retroscena.
Ripercorriamo la tua carriera da tennista: hai ottenuto tante belle vittorie e raggiunto traguardi importanti. Quali sono le partite e i momenti che porti dentro al cuore?
Ho vissuto nel corso della mia carriera emozioni uniche ed indescrivibili. Una delle partite che ricordo con maggior piacere è stata la finale vinta a Milano contro Roger Federer nel 2002. Aggiudicarsi il torneo dopo ben 10 anni dall’ultimo trionfo di un italiano (Omar Camporese nel ’92) è sicuramente un motivo d’orgoglio. Ad impreziosire quell’incredibile settimana oltre alla vittoria in sé fu il nome dell’avversario battuto a suscitare in me una gioia enorme. In pochi possono vantarsi di essere riusciti nell’impresa di battere Federer in finale. Devo ammettere che anche il successo contro Francisco Clavet negli ottavi di finale a Wimbledon del ’98 fu un match che non dimenticherò mai. Mi consentì di approdare per la mia prima volta in un quarto di finale di uno Slam. Per non parlare delle belle esperienze avute con la nazionale, seppur, ad onor del vero, non manchino i brutti ricordi. La Coppa Davis rievoca in me tanti bei momenti, sia di squadra che personali. La vittoria ai danni di Todd Martin a Milwaukee contro gli Stati Uniti, in un match in cui ero dato per spacciato, fu un punto inaspettato (per gli altri) e fondamentale per il raggiungimento della finale. Ero consapevole che in una partita secca me la sarei potuta giocare contro chiunque. Peccato poi per la successiva partita contro la Svezia, se Gaudenzi non si fosse fatto male al tendine avremmo potuto dire la nostra. Siamo stati sfortunati in quella occasione.
Sei stato un ottimo tennista e ti stai rivelando anche un bravissimo coach. Qual è la differenza principale che hai notato nel passaggio da giocatore ad allenatore?
La differenza sostanziale risiede nelle pressioni. Quando giocavo, la tensione la distribuivo nei colpi ed ero sicuramente meno nervoso rispetto ad oggi. Non giocando, è tutta un’altra storia. Svolgere l’attività di coach non è facile ed è difficile gestire la pressione stando lì seduti con la sola possibilità di assistere al match dalle tribune. Non sai quante volte mi viene voglia di scendere in campo e prendere la racchetta (ride, ndr). Questo perché vi sono degli aspetti tattici che dal di fuori è più facile notare mentre quando si è in campo si corre il rischio di essere troppo concentrati sul proprio gioco e di non leggere quello dell’avversario.
La tua carriera da coach è iniziata con Vince Spadea. Dopodiché hai allenato seppur per poco tempo anche Dinara Safina. Ci racconti come sono andate queste esperienze?
La mia prima esperienza da coach, durata circa un anno e mezzo, è stata con Vince Spadea. A detta di tanti era un giocatore un po’ strano, non tanto in campo quanto fuori. Ad essere sincero ho scoperto un ottimo ragazzo. Ciò che si diceva su di lui erano soltanto fandonie, non ho mai capito perché avesse questo tipo di nomea. Ascoltava i miei consigli, era sempre desideroso di imparare nonostante avesse già 33 anni, e si confrontava costantemente col sottoscritto. Dinara Safina invece rappresenta il mio più grande rammarico. Ricordo come se fosse ieri quando la russa disperata dopo aver perso 6-0 6-0 contro Kim Clijsters agli Australian Open venne da me piangendo chiedendomi se potevo allenarla. Ero fermamente convinto di averla potuta portare fra le prime cinque al mondo. Peccato che quando iniziammo a lavorare assieme fosse già infortunata, il dolore causato dall’infortunio alla schiena purtroppo non le permetteva più di servire e di giocare il rovescio come era in grado di fare. L’allenai per circa tre mesi, stava tornando a vincere, poi ebbe ulteriori problemi e di lì a poco decise di ritirarsi definitivamente dall’attività agonistica. Se la schiena le avesse retto ci saremmo divertiti anche perché disponeva di una potenza di palla di gran lunga superiore alla media.
Quali sono le maggiori differenze nell’allenare una donna rispetto un uomo? Quali sono gli aspetti da curare maggiormente?
Vi sono delle belle differenze, soprattutto nell’approccio. Con le donne si riveste più un ruolo da psicologo, è necessario dare loro sicurezze anche nei momenti in cui tutto va per il verso giusto. L’aspetto mentale risulta dunque essere fondamentale. Detto questo sono del parere che le donne giochino in maniera più tecnica rispetto gli uomini, agevolate dal fatto che non tirando così forte possono giostrarsela in maniera diversa. E’ raro infatti vedere fra le donne scambi brevi mentre per l’altro sesso è esattamente l’opposto. Con gli uomini si lavora molto di più sull’aspetto fisico e sui colpi di inizio gioco, necessari per un tennis come quello moderno, fatto di colpi potenti e veloci.
Abbiamo letto che negli ultimi tempi hai seguito Louk Sorensen. Al contempo hai allenato negli ultimi anni Go Soeda ottenendo buonissimi risultati. Ci puoi chiarire la tua attuale posizione?
In questo momento non sono ancora coach di nessuno. Sono in contatto con alcuni giocatori ma ancora non c’è niente di definito. Louk Sorensen l’ho seguito per due tornei a partire dal mese di novembre ma posso affermare che quasi sicuramente il nostro rapporto di collaborazione terminerà qui. Ci siamo trovati bene su tutto e siamo rimasti in ottimi rapporti, tanto da chiedermi se fossi stato libero durante gli allenamenti invernali. Il problema principale è che lui, essendo sempre stato abituato a girare senza allenatore, ha voluto proseguire su questa strada. E’ una scelta che rispetto ma non condivido. Al giorno d’oggi senza coach è davvero dura. Per quanto riguarda Go Soeda dopo ben quattro anni di lavoro insieme, sentivo la necessità di avere nuovi stimoli. Lui, dal canto suo, credeva di aver appreso tutto il possibile da me, tant’è che ha deciso di rimanere anche lui senza coach. Considero ottimo il lavoro svolto con lui visto che sono riuscito a portarlo al suo best ranking di numero 47 del mondo dopo averlo rilevato attorno alla 250esima. Fu una grande soddisfazione professionale ma anche personale.
Ti piacerebbe un giorno allenare la nazionale?
Certo, ne sarei lusingato. Ad oggi posso affermare che come allenatore mi sentirei pronto ma non dipende da me. Ho accumulato negli ultimi anni un buon bagaglio di esperienza con diversi giocatori. Quando sarà il momento e smetterà Corrado Barazzutti, ma soprattutto se me lo chiederanno, non potrei mai dire di no. Già diversi anni fa diedi la mia disponibilità a Binaghi ma ritengo che l’attuale CT della nazionale azzurra stia facendo benissimo ed è giusto che lavori ancora lui. Sono ancora un coach giovane, ho ancora tempo per accumulare altra esperienza e poi un domani chissà…
Riguardo la prossima stagione, cosa ti aspetti dal tennis azzurro maschile?
Mi aspetto sempre che emerga qualche buon giovane di talento. Ad Ortisei ho potuto ammirare Matteo Berrettini e devo ammettere che mi è piaciuto parecchio. Un ragazzone di più di 190 cm con tutte le potenzialità per sfondare in futuro. Fra i più noti mi auguro che Fabio Fognini si riprenda presto. Credo che abbia il talento per entrare fra i primi 10 al mondo ma che ancora non abbia mostrato il suo meglio. Simone Bolelli mi auguro che continui a scalare posizioni su posizioni nel ranking perché è il tennista italiano che gioca meglio a tennis. I tornei a livello challenger uno come lui dovrebbe vincerli sempre a mani basse. Mi aspetto che torni protagonista anche nel tennis che conta. Potenzialmente, nonostante gli infortuni e l’età non più giovanissima, è da top 25. Andreas Seppi è un esempio di costanza, sono anni che si ritrova attorno alla 50esima posizione mondiale per cui credo che disputerà un’altra ottima stagione a questi livelli.
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