di Fabio Colangelo
Dicono che dietro a un grande uomo ci sia sempre una grande donna. Sembra quasi scontato quindi dire che dietro a un grande tennista c’è sempre un grande coach. E’ quello di cui si è reso conto anche Roger Federer, quando ha capito che per tornare sui “suoi” livelli aveva bisogno di una guida tecnica consistente. Lo svizzero, dopo aver dominato per lungo tempo per manifesta superiorità, aveva deciso di non avvalersi più di un coach vero e proprio a tempo pieno. Alcune collaborazioni più o meno redditizie sotto il profilo dei risultati (Roche, Higueras) non sembravano avergli dato quel qualcosa in più che si è visto da quando lavora con Paul Annacone.
Esclusi i match contro Nadal sulla terra battuta, Federer si sentiva – e a ragione – padrone del suo destino in ogni match che disputava. Anche quando perdeva, era consapevole di avere a disposizione le armi per far sua la partita appena persa. Non deve essere facile cercare di cambiare qualcosa e migliorarsi, quando con quello che si ha si sono raggiunti dei risultati a dir poco straordinari. “Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia, ma non sa quel che trova”. Questo deve essere stato il pensiero dello svizzero in questi ultimi anni, che, mantenendo sempre un ottimo livello atletico, ha macinato successi con una continuità esemplare.
Quest’anno però, subito dopo aver vinto il sedicesimo titolo dello Slam, sono arrivate delle sconfitte che devono aver scosso l’orgoglio del campione elvetico, e lo hanno spinto verso una decisa ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo a migliorare ancora. Federer infatti ha iniziato a perdere contro dei giocatori coi quali non aveva praticamente mai perso (Davydenko, Berdych, Soderling, Hewitt), e soprattutto è uscito dopo anni prima delle semifinali in due tornei dello Slam. Poi la scelta è ricaduta su Paul Annacone, colui che ha guidato per oltre sei anni un certo Pete Sampras. La collaborazione, iniziata dopo Wimbledon, ha iniziato a dare subito buoni frutti. Finale a Toronto, vittoria a Cincinnati e una semifinale persa immeritatamente agli Us Open. L’impressione che Roger cercasse di seguire degli input diversi dal solito si è avvertita subito, ma è stato dopo le quattro settimane passate con il nuovo coach a prepararsi per il finale di stagione che si è visto “il nuovo” Federer.
Una maggiore aggressività generale e una ricerca della rete più accentuata, unite all’utilizzo straordinario del servizio a uscire da destra, sono le novità che si sono viste in questi ultimi tornei dove sono arrivati tre titoli, una finale, e una semifinale che ancora oggi non si capisce come possa essergli sfuggita. Federer in questo Master ha sconfitto, cedendo un solo set, cinque dei primi sette giocatori del mondo, aggredendoli dall’inizio alla fine, rischiando anche di incappare in numerosi errori, ma tutti dettati dalla ricerca di tenere l’iniziativa e di accorciare gli scambi. Non sarà facile riuscire a riprodurre questo livello di gioco in partite al meglio dei cinque set (vedi i due set “regalati” a Djokovic a New York), ma è indubbio che se Federer dovesse tornare sul trono di uno Slam, il merito sarebbe anche della sua nuova guida tecnica. Perché anche lo svizzero ha capito che chi trova un (gran) coach, trova un tesoro…
Leggi anche:
- None Found