di Gianfilippo Maiga
Pur sostenendoli con un tifo rassegnato quanto viscerale, non mi riesce ormai da secoli di esaltarmi per i tennisti italiani.
Ne apprezzo sovente le capacità agonistiche, che permettono loro di raggiungere risultati ottimi e forse persino superiori alla loro cifra tecnica, non mi stanco di osservare come il loro comportamento in campo sia sempre più professionale e improntato a quella sobrietà che in passato non è stata certo la nostra principale virtù, ma non me ne innamoro.
Mi è stato sin qui difficile farlo, anche perché ho avuto raramente la sensazione che competessero con gli altri ad armi pari, che potessero, come si dice, “fare scuola”. Li vedevo spesso, nel modo di colpire la palla, nella posizione in campo, atipici, vorrei quasi dire antistorici, figli di un modo di giocare a tennis superato ed emersi solo grazie al loro talento; in qualche caso, era visibile che nella loro formazione tennistica qualche colpo era stato gravemente trascurato, danneggiandoli inevitabilmente in carriera.
Oggi, dopo tanto tempo, ho rischiato il colpo di fulmine, assistendo al match tra Tsonga e Cipolla a Doha.
Avevo visto giocare poco sin qui Cipolla.
Ricordo un atroce match (perso) contro Wawrinka nel 2008 agli US Open, da cui ero uscito stremato come dopo un bombardamento: l’impressione era che Flavio avesse potuto sopperire a quella che mi sembrava una evidente inferiorità soprattutto con le armi della sagacia tattica e – sì, anche, lo concedo – una certa mano, irretendo lo svizzero con una ragnatela di palleggini, tiretti, backettini, smorzatine, fino a fargli saltare i nervi, (Wawrinka d’altronde non passa per un simpaticone) seppur perdendo ma solamente al quinto set.
Insomma, ci risiamo: l’ennesimo tennista in guerra con grande cuore, ma armi un po’ spuntate.
Oggi a Doha era Davide contro Golia: il 75 al mondo contro il n. 6, un ometto che serve a 170 km all’ora da 1m70 contro un energumeno di 90 kg che, ne sono certo, spezza le catene con il petto.
Ebbene, il migliore dei due – udite – per me era Flavio: migliore in tutto, nel piazzare la palla con il servizio e il dritto, nel costringere l’avversario a profondi inchini sul suo back magistrale, alternato però a sontuosi rovesci spin, nel variare il gioco, nel coprire il campo con velocissimi allunghi e andare a punto con voleé in corsa, non certo semplici “battesimi” alla palla e, infine, perché no, nel sorprenderlo con improvvise accelerazioni che nulla avevano da invidiare a quelle del francese.
Cipolla era, anche, un fenomeno di compostezza e naturalezza stilistica, mentre il suo avversario doveva costringere il suo corpaccione a pose scomposte, come impietosamente ha messo più volte in evidenza il “ralenti”.
Ha perso Flavio, e questo forse rende un po’ comica la mia esaltazione. Ma il tennis che ho visto sul campo oggi era vero, non era l’arte di arrangiarsi.
I colpi erano di fattura rara: Cipolla ha giocato male il game del 5-4 e servizio nel primo set e non ha chiuso un tie break in cui era a set point dopo aver rimontato da 1-4, se ricordo bene. Nel secondo set un passaggio a vuoto iniziale, forse figlio di tanta occasione mancata, gli è costato la partita e l’incontro.
Qualcuno mi dirà che un grande campione si vede proprio in quei momenti e, forse, avrà anche ragione. Per me un grande campione è anche un giocatore che riesce a sciorinare il repertorio che oggi ho visto mettere in mostra da Flavio.
Mi piace pensare che oggi un medio abbia perso contro un massimo, piuttosto che a una diversa capacità dell’uno e dell’altro di essere vincente. Mi piace avere la speranza e la sensazione che Cipolla abbia trovato la maturità che gli consenta di ripetersi a questi livelli anche nel prosieguo della stagione, dandomi modo di vedere nuovamente in azione e di esaltarmene la sua mano fatata: appunto, quella di un Piccolo Mago.
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