di Francesco Cerminara
I berberi sono un’etnia non latina che ha familiarità linguistiche con l’arabo e l’antico egizio. La conoscenza della lingua berbera aiuta anche a comprendere l’etimologia del nome Casablanca, città del Marocco nella quale nacque, il 4 gennaio del 1965, il tennista poi cittadino francese Guy Forget. Mancino armonioso, giocatore di serve and volley che proprio ora che è ricominciato il Masters 1000 di Cincinnati, vale la pena recuperarne le gesta agonistiche.
L’uomo che in tanti considerano il discepolo di René Lacoste, e giocò pure con l’ultima racchetta progettata dallo stilista-tennista francese, questo torneo di cemento americano lo vinse nel 1991. 24 anni fa, in una finale che lo vide avverso a Pete Sampras, non un tennista qualunque. Guy Forget sentenziò la sconfitta dell’americano in quattro set: 2-6, 7-6(4), 6-4. Prima, aveva comunque mandato a casa Derrick Rostagno (quarti di finale) e il tedesco tutto servizio e volée Boris Becker.
Quella stagione fu il suo coronamento. Poco più in là del podio, alla quarta posizione, ci era arrivato il 25 Marzo. Dopo aver vinto anche sul cemento di Sidney (6-3, 6-4 al tedesco Stich) e sul sintetico di Bruxelles (6-3, 7-5, 3-6, 7-6 al russo Cerkasov), brindò a Bordeaux (contro Delaitre), Tolosa (contro Mansdorf) e al Masters di Parigi. Sul sintetico della capitale francese, aveva inflitto un nuovo dispiacere a Sampras, ma in cinque set. Quel 1991 fu indimenticabile per Forget poiché vide trionfare la sua nazionale in Davis. 3 a 1 agli Stati Uniti e lasciamo perdere chi, fra gli americani, fu battuto.
Il bis con l’Insalatiera giunse nel 1996, 3 a 2 alla Svezia di Stefan Edberg e Thomas Enqvist, con un doppio vincente giocato al fianco di Raoux. Nel 1997 la sua carriera da giocatore si interruppe. Il ritiro lo investì di una grande responsabilità: essere il capitano della nazionale dal 1992 al 2012. In 14 stagioni di battaglie, la Francia accumulò quattro finali di Davis (1999, 2001, 2002 e 2010) e tre sconfitte (3 a 2 da Australia, Russia e Serbia). L’unico trionfo, datato 2001, rappresentò una vendetta ai danni degli australiani. Il tennista di Casablanca ha inoltre guidato le connazionali Mauresmo e Pierce fino alla vittoria della Fed Cup 2003, ad appannaggio degli Stati Uniti. Suo malgrado, non ha mai messo in bacheca una prova dello Slam, né come singolarista e né come doppista (due volte in finale a Parigi, nel 1987 e nel 1986). Sui libri di storia dei suoi uno vs uno, c’è scritto che per due volte ha perso ai quarti degli Australian Open (1991, a vantaggio del poi vincitore Becker e 1993 da Stich) e per tre volte (1991, 1992 e 1994) ha abbandonato (non per ritiro) Wimbledon al turno precedente le semi-finali. La prima volta perdendo (ancora?) da Becker, la seconda dall’incontenibile McEnroe e la terza e ultima dallo scaramantico Ivanisevic.
Come tifoso emotivamente coinvolto, ha seguito l’ultima finale tra la Francia e la Svizzera di Federer e Wawrinka. Il malumore e le critiche piovute ai danni della squadra di Clément, anche ad opera di Yannick Noah, hanno registrato il suo intervento pacificatore e qualche altra cosa. Sicuramente, il ricordo di quando lui, da capitano francese, schierò contro ogni puntata Llodra in finale contro Troicki e Mathieu contro Youzhny. Due scelte cesellate dalla gioia serbo-russa e dalle lacrime dei patriottici transalpini.
Tanti cultori del tennis però vogliono anche trasmetterne il senso del rischio, l’eleganza e l’offensivismo sui campi da gioco, sottolineato anche in doppio (28 titoli) e in compagnia del fantasioso Leconte. Laura Guidobaldi, firma interessante del tennis, lo ritrae come una persona “cordiale, sorridente, calma e pacata”, soprattutto ora che Guy Forget dirige il torneo di Parigi-Bercy e commenta per Canal Plus il suo sport prediletto.
Insomma, una carriera bella, incompleta e rischiosa. Il fil rouge che lega tanti fantasisti della racchetta.
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