di Luca Brancher (articolo in partnership con Tennis.it)
Quali sono stati i protagonisti 2010 nel circuito challenger? Questo articolo risponderà a questo quesito, ma non solo..
Dopo l’analisi sugli ATP, il circuito in cui si celebrano i big del settore, la nostra attenzione si sposta in maniera totale e automatica sul rango di tornei appena inferiore, vale a dire i challenger, una costante annuale che dovrebbe regalarci – oppure questo dovrebbe essere l’intento, ormai divenuto più un augurio da romantici appassionati – i nominativi di quei giocatori che, in attesa di una fioritura completa del loro tennis, in un futuro più o meno prossimo possano diventare spendibili anche in ottica successi nelle competizioni di entità superiore. Tennisti in erba, o sulla rampa di lancio, questo quello che dovremmo, o vorremmo, attenderci, ma le 154 ghiotte tentazioni disseminate sul globo terracqueo nel corso degli 11 mesi in cui i challenger vengono sapientemente organizzati non sono soltanto alla mercé di ciò che è futuribile, ma anche di chi rappresenta il “passato” del tennis attuale. O, per essere bonari, presente, ma un presente con evidenti limitazioni. Due nomi, non propriamente a caso, ci possono aiutare a supportare questa nostra nefasta teoria: Carlos Berlocq e Ruben Ramirez-Hidalgo.
I tornei. Nessuna idiosincrasia nei confronti dei tennisti di lingua ispanica, sia ben chiaro, c’è però da sottolineare come le due figure prima menzionate non siano propriamente alle prime armi (27 gli anni dell’argentino, addirittura 32 per lo spagnolo) e soprattutto paiano aver già mostrato, nei loro diversi anni trascorsi sul circuito, quali possano essere i loro pregi e i loro limiti. Eppure Berlocq e Ramirez-Hidalgo (uno dei rari casi di tennista iberico a non aver perso il secondo cognome nello stesso momento in cui è planato negli ATP – ve lo ricordate Rafael Nadal-Parela?) sono rispettivamente primo e secondo giocatore nel ranking challenger annuale, la cui TOP-100, per i più curiosi e gli amanti dei numeri a profusione, verrà riportata proprio in fondo a questo articolo. Entrambi dediti alla terra, Carlos e Ruben sfruttano il fatto che il circuito secondario del tennis mondiale maschile sia effettivamente più alla portata degli amanti della polvere rossa, con ben 81 competizioni organizzate sulla terra all’aperto (+ Saint Brieuc, dove si gioca al coperto), mentre le restanti prove sono ripartite tra cemento outdoor (46), erba (1, l’ex ATP di Nottingham, dopo la dipartita di Surbiton), cemento indoor (18) e sintetico sotto il tetto (7). La classificazione delle manifestazioni challenger è legata al montepremi associato a ciascun torneo: le prove più ricche sono quelle dotate di 125.000$ più ospitalità (sono ben 15, visto che anche l’ex 150.000$+H di Prostejov è stato declassato a questo livello) e di lì a scendere, fino a raggiungere le 52 competizioni da 35.000$+H, le meno pregiate. 54.713 i punti complessivi assegnati, ma torniamo ai due peones.
Il dominatore… Come spesso capita, i leader dei challenger vivono di corsi e ricorsi, con andamenti sinusoidali nelle loro prestazioni: annate buone e annate negative, per intenderci, e il 2010, per Carlos Berlocq, è sicuramente stata una stagione da ricordare. Partito ben al di sotto della 200esima posizione, il ragazzo nato a Chascomus, è riuscito con largo margine a tornare a ricoprire un ruolo da top-100 nel mondo, andando ad affiancare il suo nome a quel numero che, tre anni fa, ne aveva sancito il suo best ranking: il 66. La scelta di trascorrere gli ultimi 11 mesi quasi completamente nel circuito challenger (26 contro 6 le manifestazioni disputate tra i due circuiti) ha ripagato alla grande, facendolo divenire sia il giocatore maggiormente impegnato in assoluto, con 83 match accumulati sulle gambe, sia il più vittorioso, con 60 incontri conclusi a braccia al cielo. Deve ringraziare l’Italia, Carlos, perché le quotazioni del suo tennis sono esplose nello stesso momento in cui ha posto piede nel Belpaese: il primo risultato di rilievo è giunto infatti durante la prima settimana del Roland Garros – la finale di Alessandria – seguita da una lunga serie di prestazioni convincenti, con tre titoli ottenuti proprio nella nostra nazione: Reggio Emilia, San Benedetto e Todi. Non si è fermato qua, però, Berlocq, perché la continuità mostrata a fine anno è stata fuori dal comune, visto che, da agosto in poi, nelle 10 prove challenger cui ha preso parte, è uscito soltanto due volte ai quarti di finale, conseguendo un titolo, una finale e ben sei semifinali (Rijeka, Buenos Aires, Assuncion, Medellin, Guayaquil e nuovamente Buenos Aires), che, sommate a quella di Torino del mese di giugno, lo proiettano in testa alla graduatoria dei tennisti maggiormente eliminati in semifinali – a quota 7, appunto. Berlocq, grazie alle prestazioni or ora esposte, ha chiuso l’annata a 690 punti, primato assoluto nella categoria.
…e i suoi seguaci. 90 punti in più di quanto ottenuto da Ruben Ramirez Hidalgo, che nonostante abbia seguito a grandi linee la programmazione decretata dal suo rivale argentino, ha avuto un andamento più regolare, con un picco nel primo autunno, a dire il vero, sebbene i tre titoli stagionali siano stati vinti in primavera (Rabat), nel mese di giugno (Kosice) e in quello successivo (Pozoblanco Cordoba). Fondamentale, anche per lui, una continuità di rendimento che giustifica così il suo reintegro nella top-100 ATP, all’attuale posizione di numero 77. Regolarità senza picchi, quella di Ruben, che ha chiuso l’anno con un record di vittorie sconfitte di 47-20, ma non ha saputo aggiudicarsi il primo posto in nessuna classifica specifica; differentemente da Robin Haase, che, smentendo il terzo posto nella graduatoria a punti (543), può fregiarsi di un primato ancora più indicativo per quanto riguarda la qualità delle sue performances, vale a dire il numero di prove vinte, ovvero ben 5, con un numero più limitato di tentativi apportati (13). Chiaramente non stiamo facendo altro che scoprire dell’acqua calda, perché l’olandese di L’Aja era un giocatore su cui erano in pochi ad avere dubbi rispetto ad un roseo futuro, prima che il doppio intervento chirurgico lo mettesse ai box per più di un anno. Ora che i guai sono definitivamente alle spalle, Robin ha fatto saggiare ai contendenti le sue capacità, partendo proprio dai challenger, dove ha ottenuto il titolo alla prima presenza (Caltanissetta) e poi nel periodo estivo (Furth, San Marino, Manerbio e Como), quando ha compreso di poter riprendere a pieno titolo quel rapporto col circuito ATP, interrottosi nel bel mezzo della stagione 2008.
La top-10 e i vari record. Seguono l’olandese, Pere Riba-Madrid, Rui Machado, Michal Przysiezny – primo tennista nel ranking ad aver costruito la propria classifica sui campi rapidi, che sottolinea una volta di più quanto le manifestazioni challenger siano maggiormente munifiche coi terraioli – Marcos Daniel, Karol Beck, Denis Gremelmayr e il nostro Filippo Volandri. Per soddisfare, però, la curiosità su questo ranking ottenuto considerando solo i punti conquistati nei challenger – totali, senza scartare nulla – vi rimando alla parte finale di questo articolo, mentre passerei a valutare qualche record più interessante, che faccia emergere figure un pochino più pittoresche.
E, perché no, anche qualche nostro connazionale. Ad esempio Gianluca Naso, che, dopo i problemi di fine 2009, quest’anno partiva con una classifica decisamente inferiore al suo potenziale, per cui il trapanese ha dovuto pazientemente ricominciare dal basso e questo ha automaticamente comportato la sua presenza nelle qualificazioni dei tornei challenger, dove è comunque stato in grado di uscire indenne in 9 occasioni sulle 20 volte in cui si era iscritto. Anche così, soprattutto così Naso ha conquistato i 142 punti accumulati a fine stagione, e la persistenza con cui ha provato a sfondare le resistenze degli avversari lo ha portato ad avere un buon bottino di match giocati a fine stagione (ben 74, dietro solo a Berlocq), con un numero di partite vinte in assoluto pari a quelle di Ramirez-Hidalgo. Solo in un caso, inoltre, Gianluca è stato beneficiato del ripescaggio, non molto se paragonato a quanto capitato al ventenne australiano Dayne Kelly, comparso 13 volte nei draw secondari, con all’attivo 3 qualificazioni dirette e ben 3 accessi da lucky loser (Sarasota, Carson e Binghamton): a ribadire la buona sorte che ha arriso a Kelly, anche la situazione creatasi a fine maggio, quando è riuscito ad accedere al main draw da sconfitto in due settimane consecutive. Non si possono tuttavia lamentare, da questo punto di vista, nemmeno Conor Niland, Leonardo Tavares, Andrea Arnaboldi, Rameez Junaid e Marc Sieber baciati dalla Dea Bendata in due casi. 92 le volte in cui nel tabellone principale è comparso l’acronimo “L.L.”, con due semifinali all’attivo, figlie degli sforzi di Marc Gicquel (Mons) e Fitz Wolfmarans (Knoxville). 601 invece sono state le wild card assegnate, con diversi tentativi andati a buon fine, pari a 11. Il primo portava la nobile firma decaduta di Gaston Gaudio (Sanremo), seguito da alcuni tennisti piuttosto famosi, come Stanislas Wawrinka (Lugano), Bobby Reynolds (Ojai), Fabio Fognini (Napoli), Marcel Granollers (Tarragona), Yen-Hsun Lu (Seoul), Michal Przysiezny (Ortisei) e Kei Nishikori (Binghamton), mentre sorprese sono stati i successi di Martin Klizan a Bratislava, per quanto lo slovacco giocasse in casa e fosse reduce da un 2010 da pollice rivolto verso l’alto, di Yong-Kyu Lim a Busan e soprattutto di Robert Farah a Bogotà, il tennista colombiano che nella prima parte dell’estate ebbe un momento di forte notorietà dovuta ai suoi buoni risultati venuti un pochino dal nulla, prima di subire il classico ridimensionamento successivo allo sgonfiamento dell’effetto sorpresa. Un 2011 di conferme lo attende.
Troppe sconfitte proprio lì. Quelle che non ci attendiamo da Robert Kendrick, che difficilmente potrà aggiungere molto a quanto le sue qualità tennistiche non abbiano già saputo svelarci in questi anni in cui lo abbiamo imparato a conoscere. Nel 2008 aveva chiuso nei top-100, nel 2009 era finito abbondantemente fuori, ma nel 2010 avrebbe potuto rifarvi accesso, avesse mostrato un po’ più di cattiveria nel corso delle finali. Stagione in discesa, quella di Robert, con chiusura da prim’attore, che però gli ha concesso la sola corona di Charlottesville, mentre Carson, Binghamton, Sacramento e Knoxville gli hanno riservato la piazza d’onore. Insormontabili invece sono parsi i quarti di finale per Ilia Bozoljac, che in ben 9 palcoscenici differenti vi è giunto, superandoli indenni solo nella sua Belgrado e capitolando invece a Bergamo, Orleans, Noumea, Rabat, Marrakech, Athens, Aptos e Eckental. Kevin Kim e Dusan Lojda, infine, si spartiscono il non confortante primato delle sconfitte all’esordio, con un totale di 15, ma tra i due preferiamo citare il ceco: un po’ per dovere d’età, dato che Kim è 10 anni più anziano (32 vs 22), un po’ perché il record è stato conquistato con quattro prove a disposizione in meno (21 vs 25). Non è una condizione trascurabile. L’iper-attivo Carlos Berlocq cede lo scettro delle presenze in tabellone al connazionale Diego Junqueira, unico a raggiungere la considerevole quota di 30 partecipazioni, quattro in più rispetto al giocatore prima citato, agli azzurri Andrea Arnaboldi e Gianluca Naso, al teutonico Denis Gremelmayr e all’altro argentino Martin Alund. Per lui, infine, la soddisfazione di aver colto il titolo proprio nella settimana che ha chiuso i battenti, nella sua capitale – Buenos Aires.
Italia e 1987. Ovvero, rispettivamente, la nazione con più prove all’attivo disputate e la classe con più successi riportati. L’Italia chiude l’anno con ben 28 manifestazioni organizzate, escludendo la tappa di San Marino, mentre 20 sono state la tappe celebratesi negli Stati Uniti – che con le 3 canadesi hanno così creato quel circuito alternativo che spesso permette ai tennisti di media classifica nordamericani di non muoversi dal proprio continente. Staccate le altre nazioni, con Brasile a quota 8 e Colombia e Germania fermatesi a 7 a guidare il plotone che definisce in 45 il numero di nazioni ad aver ospitato almeno un torneo del circuito. Ben 23, invece, i vincitori che nel corso di quest’anno hanno compiuto 23 anni: il segreto, come avrete avuto ben modo di prevedere, si chiama Robin Haase, ma anche Fabio Fognini (Genova, Napoli e Santiago) e Blaz Kavcic (Karshi, Lubiana e Rijeka) hanno contribuito a questo risultato, con tre vittorie ciascuno, doppietta invece per il kazako Mikhail Kukushkin (Braunschweig e Penza). E poi Ryan Sweeting, Franco Skugor, Igor Sijsling, Evgeny Kirillov, Marsel Ilhan, Santiago Giraldo, Robert Farah, Daniel Brands, Carsten Ball e Matthias Bachinger hanno completato l’opera. 18 i titoli della classe 1983, per ricollegarci con quanto affermato all’inizio, ovvero la non giovanissima età dei trionfatori nei challenger, 16 quelli del 1984, 15 per il 1988, 14 per il 1981 e 13 per il 1985, per citare solo le classi in cifra doppia. Bernard Tomic, 21 ottobre 1992, il più giovane a celebrare un successo (Burnie), Marc Gicquel, nato a Tunisi il 30 marzo 1977 ma francese, col titolo di Rennes si è meritato l’etichetta di trionfatore più anziano.
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