di Claudio Maglieri
Probabilmente, sono la persona più adatta a parlare di Roger Federer. Perché io, a differenza di milioni di persone sparse per il globo, non sono mai stato un suo fan sfegatato: le ragioni sono moltissime e spiegarle tutte qui, in questo articolo riflessione, sarebbe inutile e inopportuno.
C’è però una motivazione principale che mi ha portato negli anni a non stracciarmi le vesti per le sue numerose vittorie: l’amore spesso eccessivo e stucchevole dei suoi tifosi. Ne ho lette davvero troppe nell’ultimo decennio: “lui è il tennis”, “il re di tutti i tempi” e altre amenità simili, declinate in più versioni sbrodolate. Frasi, a mio modesto parere, senza senso. Ma non è di questo che voglio parlare: pochi giorni fa lo svizzero, attraverso Facebook, ha comunicato la propria decisione di chiudere qui il 2016, in modo da dare al suo corpo il tempo di recuperare pienamente dopo alcuni problemi fisici. Salterà l’Olimpiade, gli Us Open, gli ultimi Masters 1000 della stagione, il Master di Londra: mai, nella sua carriera, si era fermato per così tanti mesi. Un’assenza che al 100% lo sbatterà fuori dalla top ten, per la prima volta dal 2002.
Fiumi di lacrime sparsi per il web, i soliti commenti nauseanti (“per questo 2016 il tennis è finito”, “quando si ritirerà il tennis non sarà più come prima”): vorrei ricordare a tal proposito che il tennis, quando Roger appenderà la racchetta al chiodo (momento sempre più vicino, ormai) andrà avanti lo stesso e ci saranno altri campioni da sostenere. Nell’era Open ci hanno lasciati mostri sacri come Jimmy Connors, Bjorn Borg, John McEnroe, Ivan Lendl, Andre Agassi, Pete Sampras, Boris Becker, Stefan Edberg (giusto per citarne alcuni): il mondo non è finito, il tennis men che meno e sarà così anche quando sarà il campione renano a dire basta.
Insomma, il solito teatrino. Teatrino, però, del quale voglio fare parte anche io questa volta (seppure in piccolissime dosi): in fondo la notizia del lungo stop di Roger, antipasto di un ritiro definitivo ormai non troppo distante, ha segnato anche me. Io, che come detto non sono mai stato un suo tifoso. Non essere un suo fan, tuttavia, non fa di me automaticamente un pazzo incompetente: dividere il cuore dalla ragione, soprattutto per chi scrive, deve essere una regola assoluta. E allora, so benissimo anche io che uno come lui, in futuro, sarà quasi impossibile rivederlo. Federer è sicuramente uno dei tennisti più bravi di ogni epoca: non il più forte, non il migliore, perché sarebbe irrispettoso verso tutti gli altri campioni affermare un concetto del genere (e poi: vogliamo paragonare le diverse epoche?). Ma uno dei più bravi senza ombra di dubbio: questo nessuno lo può mettere in discussione.
Dirò di più: Federer, lasciando perdere discorsi come Goat e affini, è il migliore di tutti i tempi in un altro aspetto, ovvero il suo amore sconfinato per questo sport. Non posso averne la certezza, ma credo che nessun giocatore abbia mai amato il tennis come lui: in carriera ha vinto tutto, eppure ancora oggi (quando molti suoi coetanei hanno già smesso) scende in campo contro i ragazzini solo per il gusto di giocare, divertirsi. E vincere, perché a quasi 35 anni è ancora fortissimo e senza Novak Djokovic avrebbe già superato quota 20 Slam.
Posso solo immaginare quanto sia stato difficile per lui rinunciare all’Olimpiade e al resto della stagione, quanto sarà complicato restare lontano dal tour per così tanti mesi. Tornerà, di questo sono sicuro, perché un campione come lui non può chiudere bottega in modo così tanto mesto: riprenderà la racchetta, riempirà ancora stadi e palazzetti ma soprattutto regalerà ancora scampoli della sua classe. E poi, un giorno, giocherà la sua ultima partita, in un’atmosfera di lacrime e disperazione che occuperà per settimane pagine dei giornali, siti web, social e televisioni.
Per una volta, anche i “non tifosi” saranno tristi: io lo sono già ora al pensiero che si rifarà vivo a gennaio, figuriamoci quel giorno. Perché Roger Federer, al di là dei gusti personali, ha segnato un’epoca e quando lascerà si porterà con sé anche un pezzetto delle nostre vite.
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