(Juan Martin Del Potro)
di Federico Mariani
Dieci mesi di assenza, dieci mesi di esilio forzato, dieci mesi per ammirarlo di nuovo mentre carica il suo dirittone. Tanto il circuito ha dovuto attendere per rivedere all’opera uno dei migliori protagonisti dell’era contemporanea. Juan Martin Del Potro torna dopo un altro infortunio serio, il secondo, con annesso intervento chirurgico sempre al polso, stavolta il sinistro.
Due stop lunghi, due operazioni, due riabilitazioni e recuperi difficili. Il tutto per un atleta di soli venticinque anni che, conti alla mano, ha di fatto saltato complessivamente quasi due anni di competizioni. Nonostante questo, come è noto, il gigante di Tandil ha già saputo scrivere indelebilmente il suo nome nella storia del tennis andando a vincere clamorosamente gli Us Open nel 2009, prima umiliando Nadal (triplo 6-2) e poi rimontando un Federer d’annata. Prima degli exploit targati 2014 di Wawrinka e Cilic, la possibilità di vincere una prova dello Slam per tennisti non inclusi nell’élite dei cosiddetti fab four si avvicinava terribilmente al campo dell’irrealtà. Per tutti, tranne uno.
Palito, negli anni in cui era costretto a convivere con un Nadal pressoché infallibile, un Federer ancora iper-competitivo anche negli Slam, un Djokovic già al top ed un Murray in rampa di lancio, è riuscito a distinguersi, ad ergersi a diversivo come unica alternativa ai dominatori. Durante la sua assenza forzata, molte cose sul circuito sono mutate: Nadal non domina più, Murray (risultati alla mano) non può essere incluso nella lista dei primissimi, Djokovic resta ovviamente il più forte ma non pare uno schiacciasassi. Insomma, ci sono più varchi in cui infilarsi, più possibilità di imporsi anche nei migliori tornei del mondo. Il gap tra superstar ed i cosiddetti comprimari si è assottigliato notevolmente. In un contesto del genere, la torre di Tandil potrebbe veramente essere in grado di spaccare gli equilibri e regalare al pubblico un’annata straordinaria.
Per tornare l’argentino ha scelto Sydney, torneo a ridosso degli Open d’Australia dove dodici mesi fa alzò al cielo l’unico trofeo del travagliato 2014. Prima dell’esordio Delpo ha detto ai suoi fan tramite Facebook di aver deciso di prendere parte al 250 australiano solo per provare le sensazioni di giocare nuovamente un match ufficiale contro professionisti senza pretendere molto in termini di risultati. Poi, invece, è arrivata prima la vittoria su Stakhovsky, avversario non banale, con una prestazione monumentale al servizio (0 palle break concesse e 90% di realizzazione con la prima) e poi il successo in rimonta contro Fabio Fognini, prima testa di serie del seeding. Ai microfoni dei giornalisti, Del Potro si è detto molto soddisfatto di quanto fatto sia col servizio che col diritto, mentre fisiologica era qualche insufficienza nel rovescio e nella mobilità. Il suo volto è il ritratto della felicità in questo momento, la felicità di chi finalmente intravede la luce alla fine del tunnel, un tunnel imboccato e superato per la seconda (e speriamo ultima) volta.
Privarsi di uno come Del Potro è un lusso che il circuito maschile non può permettersi. Questi dieci mesi sembrano essere durati una vita, per l’argentino, ma soprattutto per il tennis. Bentornato Delpo!
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