Dustin Brown-Albert Ramos Vinolas è il classico match che probabilmente verrebbe programmato su un campo secondario, e quindi lontano dalle telecamere, in ogni angolo del globo. Ma non ad Halle, dove i due hanno avuto il mastodontico Centrale tutto per loro, per giunta nel tardo pomeriggio: del resto anche l’app ufficiale dell’Atp lo ha definito “Match of the day”. Possibile che il terraiolo Ramos Vinolas fosse una prelibatezza, soprattutto su erba? Ovviamente no, infatti era il dinoccolato Dustin il destinatario di cotanta attenzione (e non solo perché sul passaporto c’è scritto “tedesco”).
Diciamolo senza giri di parole: scrivere l’ennesimo articolo su Brown può essere un rischio. Perché nel noioso e ovattato circuito Atp dei giorni nostri, sempre più privo di personaggi fuori dagli schemi, uno così fa ovviamente gola e infatti diversi esperti di tennis hanno già speso del tempo e delle righe per lui. In effetti sappiamo quasi tutto: padre giamaicano (di cui sfoggia un grande tatuaggio sul fianco) e madre teutonica, quasi cinque anni di vita trascorsi su un camper per raggiungere i vari tornei e risparmiare sulle spese di viaggio e alloggio (camper che proprio mamma Inge gli regalò), un gioco effervescente e a tratti sconclusionato che però può creare terremoti, in particolare sui campi ultrarapidi, l’atteggiamento di chi sembra infischiarsene di tutto per godersi ogni momento della vita.
Chi vi scrive lo ha visto giocare dal vivo in più occasioni, al challenger di Bergamo. La prima volta fu nel 2010 e fu una sorta di amore a prima vista: del resto come non infatuarsi di un tipo del genere? Scarpe dalle stringhe bicolore, look da cantante reggae (anche per questo fanno sempre strano le sue autoincitazioni in tedesco), tennis iperoffensivo, zero tattica ma soprattutto tanta improvvisazione, che spesso genera perle di rara bellezza (Youtube è pieno di video dedicati a lui). Quando nel 2015 zimbellò Rafael Nadal sui campi di Wimbledon nessuno, in terra bergamasca, fu colto di sorpresa: tutti conoscevano a memoria il suo gioco d’attacco e la sua capacità di esaltarsi su terreni veloci (sempre più rari, ahimè). Il suo modo di fare, poi, lo ha reso fin da subito la star del PalaNorda: nel 2014 perse in semifinale contro Simone Bolelli, ma alla fine il pubblico lo riempì di applausi (anche quella fu una partita stupenda).
Non è un campione, non lo sarà mai e paradossalmente ci appassiona anche per questo: i numeri non sono dalla sua parte, l’unico titolo Atp lo ha vinto in doppio (Metz 2010, in coppia con Rogier Wassen), mentre in singolare ha collezionato sei Challenger e quattro Futures. Best ranking? 78, raggiunto nel 2014, mentre al momento è 87. E allora, perché un altro pezzo su di lui? Perché è iniziata la stagione su erba e in questa porzione di anno Dustin è sempre una scheggia impazzita, un giocatore da monitorare con attenzione. La recente affermazione al Challenger di Manchester è la conferma che il nostro ha il braccio caldo: a nessuno piacerebbe trovarselo davanti al primo turno di Wimbledon, nemmeno ai cosiddetti big. Perché la bestia marrone fa sempre un po’ paura, solo uno come lui può mettere un po’ di pepe sulla prima settimana solitamente loffia.
Leggi anche:
- None Found