Diciamo la verità: al di là dei gesti tecnici, uno degli aspetti più affascinanti del mondo del tennis è il fatto che esista una graduatoria che, da oltre quaranta anni a questa parte, classifica tutti i giocatori che abbiano messo mezzo piede in un campo su cui si svolgesse una competizione professionistica. Per chi, come noi, è arrivato al tennis dopo essersi avvicinato al calcio, una scoperta stratosferica: niente Serie A, Serie B, Premier League, un’unica classifica, altro che quei ranking FIFA e UEFA che, giunti successivamente, hanno lo stesso valore di quelle manifestazioni create quando i buoi sono ormai scappati. Il paginone “Top 100 ATP” che riempiva, su due colonne, una delle pagine del Tennis Italiano di fine anni ’80 per me era una sorta di Calendario dell’Avvento – quello coi cioccolatini: stavo ore a rimirarlo, anche perché, per tanti di quei nomi, la storia la potevo solo immaginare. Ora è tutto diverso, tante cose sono cambiate, i canali di fruizione del tennis sono mutati radicalmente, moltiplicandosi, e per qualsiasi tennista compreso nella top-100 è quasi raro che ci manchino particolari fondamentali. Dai social, per dire, possiamo anche scoprire dettagli sulle vacanze, e se tanti risvolti sono mutati, quella graduatoria, quella che ti permette di sapere che il numero 92 è John Millman, australiano, è sempre lì, dettagliatissima. Però…
Però la classifica, per quanto sia tesa e determinata a rappresentare nel modo più oggettivo le tendenze del mondo del tennis, scaturisce da alcuni ragionamenti che il board ATP effettua, dai punteggi attribuiti ai vari tornei, al peso che ciascun giocatore può dare alla propria programmazione. Insomma, ogni paio d’anni chi di dovere si interroga se il sistema in essere è corretto, oppure possano essere apportate delle migliorie. E così, da quando il ranking è stato creato, in maniera sistematica e inevitabile sono state effettuate delle modifiche che ci hanno condotto fino al sistema “Best 18” attualmente in auge. E’ il metodo migliore?
Best 18 ATP
Il sistema che l’ATP utilizza in quest’ultimo periodo prevede che a ciascun giocatore siano conteggiati esclusivamente i migliori 18 risultati ottenuti nel corso delle ultime 52 settimane, chiaramente con dei distinguo, ovvero in base alla classifica conclusiva dell’anno precedente ciascun tennista ha degli obblighi – ovvero dei tornei il cui risultato rientra a prescindere nel novero dei tornei da calcolare, i 4 Grande Slam e i Master 1000 escluso Monte-Carlo. Da qualche stagione anche vincere partite in Davis Cup conferisce punti validi per la classifica.
Per effettuare alcune valutazioni, ho proceduto con la sostituzione dell’attuale sistema, con quello che era in vigore nel 1996. Perché quella stagione? Ho voluto individuare un’annata in cui i fossero ancora attivi i bonus point, che sono stati definitivamente abbandonati a partire dal 2000.
In quella stagione veniva corrisposto un punteggio aggiuntivo a quello del torneo, seguendo questa scala e a prescindere da quella che era la posizione in classifica del giocatore che otteneva lo “scalpo”.
Nella prima colonna c’è il riferimento alla classifica dell’avversario che, battuto, ti darebbe diritto ai punteggi che compaiono nella seconda. Per esempio battere Andy Murray, numero 2 – oppure Rafa Nadal, 5 – avrebbe fruttato altri 45 punti rispetto a quelli derivanti dalla prestazione nel torneo, punti che sarebbero raddoppiati qualora la partita fosse stata al meglio dei 5 set (quindi nei tornei dello Slam e nelle finali dei vecchi Super 9). Chiaramente ora la colonna “Doppi” farebbe riferimento solo ai quattro major, dal momento che tutte le finali ATP sono state ridotte di durata e la Davis Cup, all’epoca, non dava diritto a punti per il ranking mondiale. I bonus point, in quella stagione, venivano erogati per tutti i match di tabellone principale, non nelle qualificazioni e nelle sfide disputate durante le Finals.
Inoltre non è da sottovalutare quanto siano cambiati i punteggi per i tornei, e anche i rapporti tra punteggi all’interno degli stessi: ora abbiamo quattro categorie (Slam, 1000, 500, 250), che, a scapito di qualche differenza di tabellone (Indian Wells e Miami hanno un tabellone più grande), danno punteggi sistematicamente uguali:
A salire, ogni torneo porta il punteggio doppio per turno raggiunto, e quindi l’incidenza di punti vinti tra un turno e l’altro viene mantenuta (un finalista prende il 60% di punti rispetto al vincitore, il semifinalista il 60% rispetto al finalista, e via discorrendo). Un tempo, in verità, per quanto le categorie fossero immutate – gli Slam chiaramente già esistevano, i Master Series altro non erano che i Super 9, mentre le due categorie più basse rientravano nel novero dei Championship Series e dei Worlds Series – i punteggi, nei CS e nei WS variavano a seconda del montepremi che il torneo attribuiva.
E se permettete questa cautela era a mio modo di vedere sensata, perché non ha alcun senso che tornei come Doha, con montepremi superiore al 1.000.000 di dollari, Stoccarda, oltre 600.000€, e Chennai, poco più di 400.000 dollari, attribuiscano lo stesso punteggio, dal momento che le entry list riflettono anche il compenso in denaro. Probabilmente un tempo c’era anche troppa varietà, come potete constatare nella tabella qui sotto
13 tipologie di punteggio diverso solo per i World Series semplicemente in base al montepremi, con vincitori che potevano avere doti che variavano dai 130 ai 250 (una cosa analoga esisteva per i Championships Series, mentre per i Super9 proprio in quell’anno, era stato inserito un punteggio medio, valido per tutti): probabilmente più giusto, certamente più dispersivo. Ed anche il rapporto tra punti per turno superato è cambiato
Come si può notare, un tempo il finalista prendeva almeno il 70% dei punti rispetto al vincitore, il che in un certo qual senso aiutava chi si piazzava. L’elevamento dei punti, avvenuto con la “rivoluzione del 2009”, quando i punti sono stati raddoppiati (nel 2008 il vincitore di Slam prendeva 1000 punti, non 750), non pare però prendere in considerazione chi si ferma in precedenza, perché un semifinalista e un quartodifinalista prende esattamente gli stessi punti di quanti ne avrebbe ottenuti nel 1996 (per CS e WS è stato preso un valore medio), ma quello che balza agli occhi è anche come, Slam a parte, gli altri tornei non abbiamo una distinzione così marcata di punteggio come ora (un vincitore di un 250 prende ¼ dei punti dei 1000, all’epoca un World Series conferiva al vincitore la metà, se non di più, dei punti rispetto a un Super-9). Ne deduciamo che vincere, anche una manifestazione di basso lignaggio, nel 1996 aveva sicuramente più valore, in termini di classifica, rispetto ad oggi.
E poi c’è la distinzione, da un certo punto di vista, più fondamentale, all’epoca il sistema di classificazione non era il BEST18, bensì il BEST14, puro, senza tornei obbligatori, senza alcun vincolo: i migliori 14 punteggi costituivano la classifica. Non era infatti insolito che gli specialisti del rosso evitassero Wimbledon, consapevoli che a tanto non potevano ambire, mentre ora, avendoli loro malvoglia nel computo, si presentano al via in ogni caso, sperando magari in un sorteggio benevolo (e poi, si sa, che l’erba non è più verde come un tempo).
Nell’effettuare quest’analisi, uno degli aspetti che maggiormente mi ha deluso, ma non sorpreso, è una certa ritrosia dell’ATP nell’agevolare, chi interessato, a scoprire, passo dopo passo, la storia di come si è calcolato il ranking nelle varie epoche. Un mini-riassunto sull’evoluzione c’è, ma resta molto in superficie e non si addentra nei meandri di una delle tematiche che più mi affascinano: peraltro, come già ho avuto modo di dire, ma qui posso comprendere che le strumentazioni tecnologiche non fossero a tal punto efficienti, molte classifiche sono andate perdute, e anche quelle rimaste presentano i punteggi solo a partire dalla stagione 1996. E non solo, ho inoltre notato che i punteggi di riferimento sono sballati rispetto a quelli reali. Per intenderci, a fine di quella stagione numero 1 sarebbe risultato Pete Sampras con 3.760 punti, quando in verità ne aveva accumulati poco meno di 5.000: abbastanza inspiegabile, ma tant’è.
Come si trasforma una classifica.
Un passo importante è stato identificare le categorie World Series e Championship Series da attribuire ai tornei 500 e 250, per avere un corrispettivo montepremi-punti più rispondente al vero possibile. Il torneo 500 di Pechino, per esempio, ha il montepremi più alto
per cui lo si associa facilmente al più alto sistema di punteggio, quello che un tempo veniva dato ai tornei con montepremi da 2 milioni di dollari (che per inciso è la metà rispetto all’attuale di Pechino): 360-258-ecc. Il 500 di Tokyo, di contro, è invece quello meno ricco, per cui viene comodo associarlo all’ultima riga -250-175-ecc. – ed è interessante questo risvolto perché le due manifestazioni sono in calendario nella stessa settimana, e darebbero oggi gli stessi punti, solo che in Cina, nel 2015, sono stati presenti ben 5 top ten (tra cui il numero 1, e poi vincitore, Novak Djokovic), mentre a Tokyo, oltre al locale Nishikori, difficile negli anni trovare qualcuno – quest’anno era presente Wawrinka. Ho proseguito così ad un’attribuzione che ha una grande impronta di soggettività, purtroppo, altrimenti era difficile proseguire, se ragioniamo come i Championships Series erano tutti a tabellone a 64, mentre oggi 500 e 250 con tabellone oltre i 32 posti si contano sulla punta delle dita. Ricordiamo infine che all’epoca la sola partecipazione ad un tabellone principale garantiva un punto (ora è 0, tranne per Slam e 1000 che ne danno 10), abitudine abolita per evitare, soprattutto ai livelli bassi, tipo challenger, che troppe persone danarose si comprassero una wild card al fine di apparire nel ranking mondiale per un anno. Well done.
Alcuni casi pratici: ricalcoliamo la classifica di Murray e Istomin
Il britannico Andy Murray ha chiuso la stagione 2015 al secondo posto con 8.945 punti, frutto dell’unica vittoria nelle Finals perpetrata ai danni di David Ferrer (Il Master esula ovviamente dai 18 obbligatori e vale come torneo in più)
Dagli 8 1000 obbligatori, ovvero tutti tranne MonteCarlo (4.370), a cui non ha preso parte
I restanti 6 risultati derivano dai 4 tornei in cui meglio si è comportato, oltre allo 0 di Basilea per la tardiva cancellazione, più l’en-plein della Davis Cup, con gli 8 singolari vinti che hanno portato i 500, aumentati fino ai 625 col bonus.
L’unico altro risultato giocato, a non rientrare nel novero, è quello di Washington, dove peraltro ha accumulato uno 0 a causa della prematura uscita contro Teymuraz Gabashvili. Si raggiunge così la quota di punti che gli hanno permesso di chiudere la stagione sul secondo gradino.
Riadattando il tutto, ecco quale prospetto invece otterremmo: in viola i punti considerati per la nuova classifica.
Non essendoci alcuna obbligatorietà – in realtà ho dei dubbi su Basilea, perché anche allora la cancellazione tardiva portava a calcolare come un’eliminazione al primo turno quella manifestazione, ma su altri basi di cui non ho certezza, per cui ho evitato di arrovellarmi troppo – capita che il torneo 1000 di Roma, da cui Murray si era ritirato dopo la fatiche madrilene, non rientri nei tornei conteggiati: come potete notare, le ultime tre colonne determinano i punti che rientrano nel computo dei BEST 14, mentre nelle precedenti c’è la distinzione tra quelli derivanti da torneo e quelli derivanti da bonus.
Chiaramente la manifestazione che gli ha permesso di guadagnare più punti è la finale dell’Australian Open, a cui bisogna aggiungere i bonus point (doppi, poiché si tratta di partita al meglio dei 5 set).
Ecco così che maturano i 687 punti, e via discorrendo. L’incidenza dei bonus point (1.281) rispetto ai punti totali (4.873) è di circa il 26%, una percentuale piuttosto comune ai migliori giocatori del ranking. Ecco, quindi, quale sarebbe la nuova top ten se tenessimo buono il sistema BEST14
Il primato di Novak Djokovic resta fuor di discussione, ma giusto un sistema malato potrebbe non attestarlo, mentre balza agli occhi il salto in avanti di Federer, dovuto non tanto al fatto di aver battuto per 3 volte il numero 1, contro l’unica volta di Murray, quanto dalla mancata considerazione dei punti derivanti dalla Davis Cup e al fatto di poter scartare due primi turni nei 1000 (Shanghai e Madrid).
Cambia anche il numero 6, con Ferrer che con questo sistema può mitigare i punti persi per infortunio e superare Berdych, e Anderson che trova così l’abbrivio giusto per occupare la decima posizione originariamente appannaggio di Tsonga. Per comprendere bene quanto può variare un ranking di un giocatore più indietro in classifica prendiamo ad esempio l’uzbeko Denis Istomin, che ha chiuso l’anno al numero 61 con questi risultati.
Notate da voi come l’uzbeko abbia negli Slam obbligatori risultati molto bassi e, per quanto non abbia ricambi di chissà quale valore, l’idea di poter avere a disposizione 14 risultati e non 18 dovrebbe essere un discreto aiuto. Oltre a questo ricordiamo che il sistema di punteggi è più benevolo con chi porta a casa vittorie in tornei minori (Nottingham) e in generale risultati di piazzamento (Denis ha ben tre quarti di finale). Il prospetto diventerebbe così:
Il buon Denis racimolerebbe un numero di punti (746) non troppo distante dai 781 attualmente in classifica. Insomma, nonostante il raddoppio, giocatori di questo livello avrebbero un ruolino simile: tuttavia Istomin con la nuova graduatoria sarebbe al numero 49, guadagnando 12 caselle. Per gioco, ho provato a simulare quali sarebbero le posizioni reali col sistema di tutta la top-100, ottenendo risultati vari
Chi scende e chi sale?
Il giocatore che maggiormente godrebbe di questo cambio di metodologia sarebbe il cinese di Taipei Yen-Hsun Lu, che risalirebbe ben 18 posizioni rispetto all’originario numero 77, che può scartare così le cattive prestazioni nei tornei “obbligatori” – quasi sempre eliminato al primo turno – rimpiazzandoli con migliori risultati in tornei minori
Tra i maggiori beneficiari ci sarebbe anche Simone Bolelli, che ha ottenuto una bella fetta di “bonus point” (circa il 35% del totale), ma tolto questo la spiegazione la si deve a quanto prima detto: i 14 migliori tornei puri aiutano chi si è ben comportato in maniera non eccellente nei big event e vanta invece svariate buone performance nelle restanti manifestazioni.
Delbonis è il giocatore che perde più posizioni, e si spiega così: i risultati su cui può giostrare la propria classifica non sono moltissimi, e non ha tanti bonus point rispetto a quella che è la sua posizione originaria. Il motivo è comune per gli altri, anche se Darcis e Goffin aggiungono a ciò la perdita dei pesanti punti Davis.
Quanto incidono i bonus point?
Un altro aspetto da analizzare è quanto possano incidere i punti derivanti dai più pesanti upset. L’australiano Nick Kyrgios, per esempio, è un giocatore che trarrebbe giovamento dalla reintroduzione di questa particolare variabile, dal momento che nel suo computo totale ben il 37% sarebbe costituito da ciò – il ragazzo non migliorerebbe di molto la sua graduatoria poiché ha pochi tornei nel suo listino – per i top-10 battuti (3) nel corso della stagione e in generale per le diverse partite vinte negli Slam, non ultimo il quarto di finale a Melbourne.
Mentre tra quelli che meno ne usufruirebbero troviamo principalmente tennisti impegnati nel circuito challenger, dove è più facile trovare avversarsi classificati in posizioni che non regalano punti.
Piuttosto curioso il caso dell’iberico Daniel Munoz de La Nava, risalito fino alla 75esima posizione grazie alle ATP Challenger Finals: l’iberico, prima della kermesse finale, aveva incontrato nel corso della stagione, che per la prima volta in carriera gli aveva permesso di attraversare l’agognato traguardo della top-100, 4 giocatori con la classifica a due cifre, sconfiggendo soltanto Marcel Granollers nei quarti di finale del challenger di Mosca. Si può, però, constatare che, nonostante questa mancanza di avversari di livello, Munoz de La Nava avrebbe comunque tratto vantaggio dal cambio di sistema, poiché si ritroverebbe a scartare risultati di bassissima levatura. E medesima situazione vivrebbero Cecchinato e Cervantes, altri giocatori che hanno costruito la propria graduatoria nel circuito secondario – l’italiano ha battuto soltanto Ramos a Genova, tra i top-100, mentre l’iberico non ne aveva battuto alcuno fino al 15 novembre.
Conclusioni
Per valutare quali siano stati le mosse che hanno portato l’ATP ad attuare queste modifiche nel corso degli anni, dobbiamo prendere in considerazione vari aspetti: più che una migliore identificazione del valore dei giocatori stessi, l’organo internazionale ha voluto tutelare maggiormente i tornei più importanti (i 1000). Ecco perché si è deciso di distribuire più punti in proporzione, ecco perché li si è resi obbligatori e si sono tolti, di conseguenza, tornei programmati nello stesso periodo. Per quanto concerne i bonus point, si sostiene che siano stati cancellati per rendere la classifica maggiormente comprensibile e di più facile previsione.
Posto che sul primo punto si può essere d’accordo – creare eventi con tutti i migliori in più occasioni, e non solo durante gli Slam – sulla seconda parte siamo assolutamente contrari: dal momento che i tornei sono stati allineati con i punteggi, avere un diversivo in più che permette di premiare quei giocatori capaci di sconfiggere tennisti di un certo livello non ci sembra sbagliato. Con questo non crei grandissimi scompensi in classifica, ma al tempo stesso premi davvero chi vince partite importanti (magari può capitare di battere un big svogliato, ma ci sta): si potrebbe, magari, studiare un sistema che premia soltanto chi batte giocatori top-30, però al tempo stesso qualcosa andrebbe studiato. Anche perché non si paventa alcun “malus”, che avrebbe a logica il senso contrario.
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