E’ l’aprile del 2012 quando mi reco presso l’A.S. ’98, il circolo tennis che stava organizzando in quei giorni il futures 15.000 di Vicenza. Il tabellone principale era appena stato sorteggiato e nei campi del circolo si stava disputando l’ultimo turno delle qualificazioni. I pronostici del main draw vedevano favoriti gli italiani Arnaboldi e Vanni, senza contare che meritavano attenzione anche l’austriaco Oswald e Bastian Knittel (che poi avrebbe vinto il torneo), mentre c’era molta curiosità nel vedere all’opera la giovane wild card Donati. Solitamente in questi tornei le qualificazioni vengono snobbate, molti tennisti infatti non hanno una classifica internazionale o faticano ad entrare nei primi 1000, quindi l’attenzione maggiore è rivolta alle teste di serie che, teoricamente, rappresentano il livello medio del torneo.
Quel pomeriggio di Aprile, però, una volta arrivato nel circolo, l’unico campo dove si stava giocando era il “Centrale”, dato che sugli altri erano appena finiti due match. Da una parte c’era Claudio Scatizzi, giovane bergamasco che non è riuscito a raccogliere molto a questi livelli, e dall’altra un certo Alex Bolt, un australiano ben messo fisicamente per la sua età (classe 1993) ed una capigliatura selvaggia.
Per una questione di banale campanilismo tifo per Scatizzi, sperando che la truppa degli italiani nel tabellone principale possa crescere di qualche unità, ma dopo i primi scambi mi rendo conto che non c’è storia: la palla di Bolt viaggia ad una velocità doppia rispetto a quella del suo avversario che comunque ha un gioco molto pulito, piatto, stilisticamente bello da vedere.
Il match lo porta a casa l’australiano per 6/2 6/3 in poco più di un’ora e guardando la tribuna del Centrale mi rendo conto che durante il match sempre più gente si era avvicinata ed era rimasta per vedere all’opera quel giovane talento, molti di questi erano tennisti impegnati nel torneo, preoccupati dal poter trovarselo contro nei primi turni. Per rendere l’idea non ricordo bene chi tra Claudio Fortuna e Alessandro Bega disse: “quella palla peserà 100 chili”.
Il giorno dopo è il primo turno, Bolt viene sorteggiato contro il tedesco Zimmerman, più esperto di lui a questi livelli e anche con una migliore classifica: i due sono separati da 500 posizioni. Dopo un primo set in apnea perso per 6/4, l’australiano prende le misure al suo avversario chiudendolo costantemente nella diagonale di rovescio: Alex Bolt è mancino e grazie al suo dritto in top spin pesantissimo costringe i suoi avversari destrorsi a difficili rincorse due metri oltre la riga di fondo campo. Il match finisce con un sonoro 6/2 al terzo set e mi fa capire che da quel giorno non sarò più indifferente nel vedere un tabellone di qualificazione, un livescore o un qualsiasi match che porti il nome di Alex Bolt.
Da quel 2012 molto importante per la sua carriera (in cui riesce a centrare ben 5 finali a livello futures vincendone due) fino ad arrivare al 2015, il ranking è costantemente migliorato fino a portarlo nei primi 200 del mondo. Qualcuno potrà chiedersi cosa deve aspettarsi dal futuro un tennista promettente che a 22 anni non è ancora riuscito a disputare un solo match nel circuito maggiore, infatti se si vedono i percorsi di molti suoi coetanei si può notare il ritardo di Bolt, ma al netto dell’ammirazione personale di chi scrive, bisogna vedere un suo match per rendersi conto di quanto potenziale non sia stato ancora espresso al meglio.
In Italia lo ricordiamo soprattutto per il match di primo turno giocato nel 2013 al challenger di Milano contro Quinzi. Nella battaglia tutta mancina ha avuto la meglio proprio Bolt nel tie-break del terzo set, costringendo la nostra promessa a mangiarsi le mani per tre match point mancati.
Ma la domanda più importante resta: come mai non riesce ad esplodere?
Per intenderci Bolt non ha le caratteristiche di Kyrgios o Tomic, tutti e due capaci di dare uno strappo alla loro carriera ed affermarsi prepotentemente nel circuito dei più forti, ma è un tennista capace di crescere grazie ad un percorso graduale, in cui alle esperienze fatte nei tornei prova ad aggiungere sempre qualche dettaglio.
Da fondo campo, sia per velocità di palla che per variazioni, dritto e rovescio sono già quelli di un top 100, ma tanto lavoro ancora deve essere fatto nei colpi di difesa e transizione. Pur non essendo molto alto riesce a dare molta forza al suo servizio, aiutato anche dalla rotazione mancina, mentre le sue lacune più evidenti erano sicuramente la risposta e il gioco di volo. Proprio per questo, insieme al suo compagno/amico Whittington, ha deciso di cimentarsi nel doppio e i risultati sono stati molto interessanti: negli ultimi due Australian Open la coppia ha raggiunto i quarti nel 2014 e gli ottavi nell’ultima edizione, battendo specialisti della competizione e top 100 affermati. I benefici di questa scelta dimostrano come il Bolt del periodo futures sia un lontano parente del Bolt di oggi, molto più completo dal punto di vista tattico e tecnico.
Manca, forse, un po’ più di convinzione nei propri mezzi anche se i segnali che vengono dall’ultimo anno e mezzo sono molto interessanti. Nel 2014 ha vinto il suo terzo future in Australia ad inizio stagione, per poi dedicarsi esclusivamente ai tornei ATP (partendo dalle qualificazioni) e ai challenger. Seppur nei primi non abbia avuto ancora troppa fortuna, negli altri è riuscito a portare a casa risultati importanti che hanno contribuito al raggiungimento del suo best ranking: 188 nel gennaio 2015. Tra tutti questi, spicca la vittoria di un challenger cinese dove in semifinale è riuscito ad eliminare per 6/4 7/6 il prodigio croato Coric. Da segnalare anche il raggiungimento del turno finale nelle qualificazioni di Wimbledon, perso contro Kravchuck.
A fine stagione, poi, la federazione australiana organizza un torneo interno per assegnare le wild card del main draw degli Australian Open in match giocati al meglio dei cinque set. Questo è stato uno dei pochi scivoloni dell’ultima fase tennistica di Bolt. Infatti nel primo turno ha perso con il giovane 1997 Marc Polmans, altro elemento molto interessante in prospettiva, per 7/6 7/6 2/6 7/6.
Ma i segnali più importanti sono arrivati dai primi challenger giocati quest’anno, il terreno migliore dove costruire una classifica per un futuro ingresso nei 100: ad Happey Valley ha raggiunto la semifinale, fermato da Ryan Harrison, mentre nel torneo di Burnie giocato questa settimana è riuscito a raggiungere la sua seconda finale a livello challenger. Nonostante la sconfitta contro il coreano Chung, in questi giorni ha piazzato il risultato più importante della sua carriera battendo il suo primo top 100, Mathieu, per 7/5 7/5.
La popolarità che in patria ha investito prima Tomic e poi i vari Kyrgios e Kokkinakis, ha di fatto calato un’ombra su Bolt e altri giovani prodotti del florido vivaio australiano. Un aspetto che non necessariamente deve essere visto con un occhio negativo, considerando che in molti casi ci sono tennisti che esplodono nel momento in cui nessuno parla di loro.
Bolt, inoltre, ha un due esempi in casa: Matosevic e Groth, entrambi arrivati silenziosamente nel tennis che conta dopo una dura gavetta fatta di futures e challenger.
Il paradosso è solo nel suo cognome, diventato ormai simbolo della velocità e della potenza, che difficilmente si sposa con un percorso a tappe che con un po’ di ritardo può portarlo molto presto tra i più forti.
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