di Roberto Commentucci
Ed eccoti là. Ancora una volta.
Sei avanti 2 set a zero, tie brek del terzo, 54 e servizio.
Ancora una volta, a due punti dal match. A due piccoli punti dal grande exploit, dalla grande affermazione, dalla vittoria contro un grande giocatore.
Quella vittoria che tante volte, in passato, ti era sfuggita di un soffio, ti era scivolata tra le dita, per indecisione, sfortuna, recupero pazzesco dell’avversario, limiti di reattività…
Davidenko a Miami. Roddick a Roma. Djokovic a Cincinnnati. Llodra a Parigi. Blake a Bercy. Gasquet a Dubai. Verdasco a Roma. E tante altre.
Quante partite, quanti pensieri negativi, quanti brutti ricordi, quanti fantasmi Simone, tutti in un piccolo istante?
Ma tu adesso sei un altro.
Hai percorso tutte le stazioni della via crucis, hai costeggiato il precipizio, lambito le fiamme dell’inferno. Ma non sei stato crocifisso, non sei caduto nel dirupo, non ti sei dannato per l’eternità, dissipando il tuo talento.
Tu adesso sei un altro.
Hai fatto un bel respiro profondo, alzato la testa, e cercato la prima vincente. Fuori di poco.
Sospiro. Seconda in kick da sinistra, sul maledetto, sontuoso rovescio dell’odioso svizzero.
La risposta è una rasoiata in cross, a cercare il tuo angolo sinistro, da sempre il più vulnerabile.
Ma tu adesso sei un altro.
I piedi sono diventati più veloci, e riesci lo stesso a girare intorno alla palla. Trovi in un attimo la coordinazione, e spari un magnifico lungolinea di diritto, di quelli che i tecnici chiamano inside-in. Vuoi essere tu a spingere, tenere tu il pallino.
Lo svizzero maledetto sprinta, arriva in corsa sul suo diritto, e gioca un cross profondo, difensivo.
Ecco, anche questa ha preso, il bastardo.
Ma tu adesso sei un altro.
Cerchi bene la palla con i piedi, vai giù con le ginocchia, e spari un tracciante lungolinea.
Ma tanto quello, trincerato laggiù, fra i teloni, prenderà anche questa, e ti toccherà tentare un’altra accelerazione, prendere un altro rischio, con la tensione che sale a mille.
Ma tu adesso sei un altro.
E dietro quel magnifico diritto lungolinea, ecco che finalmente ti scatta dentro qualcosa, ecco che finalmente fai la cosa giusta, finalmente applichi lo schema tante volte provato in allenamento, con l’operoso Renzo, e mai rischiato in partita.
Fai tre passi avanti e segui a rete, se Dio vuole coi tempi giusti, e chiudi l’angolo alla tua destra.
Lo svizzero maledetto arriva come può, vede con terrore che stavolta sei venuto avanti, e tenta un passante di rovescio impossibile, un lungolinea disperato. E’ il suo colpo migliore, ma nemmeno lui può fare miracoli, è a un centimetro dal telone di fondo campo.
Ed ecco, magicamente la tua racchetta calamita la palla, la accarezza, la trasforma in una magnifica voleè smorzata di diritto, che illumina il campo avverso, rimasto vuoto.
Che illumina il nostro entusiasmo, e ci dà nuove certezze.
Manca ancora un punto. Stavolta metti la prima, è una fucilata al centro da destra, piatta e precisa come un laser.
L’altro, il maledetto, con un balzo felino la tocca per miracolo e la butta di qua, e ne esce una specie di palla corta casuale e involontaria, una traiettoria insidiosa, di quelle che in genere ti fanno impazzire, di quelle che non hai mai saputo gestire.
Ma tu adesso sei un altro.
Arrivi sulla palla, leggero, e la accarezzi ancora, con un tocco vellutato. Ne esce un perfetto drop shot, cortissimo.
Il maledetto scatta e ci arriva ancora, la tocca, incredibilmente, ma non può far altro che appoggiartela sulla racchetta.
Mentre la metti di là, sereno, con il sorriso di chi già sa che stavolta non tornerà indietro, ecco che il maledetto, con un ultimo sussulto, lancia in aria la racchetta, vanamente.
E’ la sua resa.
E’ la tua apoteosi.
Perché tu, adesso, sei un altro.
Ed oggi su quello stesso campo 18 di Church Road, dove 3 anni fa toccasti il tuo zenit, con quel gran match contro Fernando Gonzales, inizia la tua seconda carriera.
Che sia lunga e fruttuosa, Simone. Ti vogliamo bene.
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