di Gianfilippo Maiga
Era il 2008. Mi era capitato di incontrare Simone Bolelli al Forum di Roma, dove lavorava sotto la guida di Claudio Pistolesi, e di assistere a un suo allenamento.
Avevo conosciuto un ragazzo tranquillo, semplice, contento delle sue scelte: una bella ragazza sudamericana che era venuta a trovarlo, il lavoro che gli piaceva e nel quale riusciva meravigliosamente, visto che, a soli 23 anni, era vicino alla trentesima posizione mondiale e sembrava destinato a non fermarsi.
Nell’osservare da vicino il suo tennis, non avevo potuto impedirmi di considerare come Simone apparisse, fra gli italiani di punta, il giocatore più moderno e più completo, senza un particolare limite visibile quanto meno nei gesti, nell’esecuzione dei colpi e quindi, dato che ho la debolezza di essere tennisticamente anche un po’ esteta, di ritenerlo in fondo quello con il maggiore potenziale.
Poi: il contrasto con la Federazione, l’allontanamento dall’ospitale Forum, la separazione dal suo coach e numerosi cambi di guida tecnica sembravano averlo disorientato, destabilizzato, distolto dal suo percorso così lineare.
Il suo ranking era sceso rapidamente ben oltre la 100^ posizione mondiale e ad ogni tentativo di risalita sembrava sempre più complicato.
Quest’anno però avevo avuto occasione di vedere qualche sua partita, non necessariamente vittoriosa e, parziale risalita in classifica a parte, avevo avuto la sensazione epidermica che il suo tennis avesse di nuovo smalto, quella perentorietà di colpi, quella nettezza con cui la palla gli usciva dalla racchetta proprie dei tempi migliori. Anche la sua attività dava riscontri incoraggianti: a parte il Roland Garros (dove aveva comunque passato le quali e perso da Ferrer, mica un prospero) aveva vinto 2 Challenger consecutivi, il che può sembrare poco, se non si conosce l’attuale livello dei Challenger…
Simone può giocare dappertutto, intendiamoci, però il suo modo di colpire la palla, l’anticipo, che resta a mio parere una sua dote essenziale, creano in me una particolare attesa quando gioca su superfici che premiano meno i grandi rimbalzi: lo aspettavo a Wimbledon, insomma. La mia attesa non è stata certo delusa: dopo aver superato con fortuna (ripescato come lucky loser dopo aver perso all’ultimo round contro Samuel Groth) le qualificazioni, Bolelli ha piegato al primo turno il giapponese Ito e, soprattutto, oggi in 5 set il tedesco Kohlschreiber 46 64 63 26 75.
Simone ha giocato magistralmente, trovando nella risposta al servizio un arma vincente che gli ha permesso di portare a casa la partita. Certo un’impressione diversa da quella regalataci proprio contro Kohlshreiber a Montecarlo, sulla terra, dove il tedesco si era imposto in 2 set.
Per carità, tutto quadrava per permettere a Simone di fare la figura che merita: un’erba che sembra tornata amica degli attaccanti, (ma anche Kohlschreiber lo è) e la tranquillità che ha un giocatore che sa che non gli scadranno punti fino a fine anno; io ritengo questa una vittoria molto probante. In fondo Kohlschreiber, che naviga entro i primi 30 al mondo, ha appena disputato le semifinali a Halle: non c’è che dire, un bel cliente sull’erba!
Con questa vittoria Bolelli è 49esimo nella “race” che considera i risultati dell’anno, mentre nella classifica ATP è a ridosso dei 100. Io credo che il posto giusto, il ranking che gli compete, sia tra i 2 senz’altro il primo e quindi spero che questo risultato gli infonda a 28 anni quella fiducia, quella convinzione che a volte, vedendolo da lontano, sono sembrate mancargli.
Forza Simone, facci sognare.
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