Hai raggiunto recentemente i primi quarti di finale in un torneo ATP della tua carriera, a Buenos Aires: partiamo da lì.
E’ stata una splendida settimana, è il mio secondo anno da professionista, quindi tutto è una novità; sono davvero contento, anche se ho accusato un infortunio che mi ha costretto a rinunciare ai Masters 1000 americani, ma non posso che essere felice. Ho battuto Vesely, che a gennaio aveva ottenuto il suo primo trofeo in carriera, quindi è una grossa soddisfazione.
Ti piace giocare sulla terra, o preferisci le superfici rapide?
Domanda non facile, non lo so con precisione; sono cresciuto sul rosso, prima del college non avevo mai giocato sul cemento e poi tre anni consecutivi solo sul duro, dove comunque ho fatto bene. Sono indeciso, forse per questioni affettive sceglierei la terra.
A proposito di college, Spazio Tennis tratta spesso questo argomento; parlaci della tua esperienza, da quando sei arrivato ad Ohio State fino al titolo NCAA.
E’ stata un’esperienza incredibile; le persone che ho incontrato lì, il calore della mia squadra, le vittorie e i miglioramenti che ho conseguito sono davvero difficili da descrivere. Ho preso la decisione di partire a diciannove anni, e ne sono stato convinto da subito perché in Europa l’università mi avrebbe impedito di continuare con il tennis, mentre io volevo essere un professionista; lo rifarei mille volte, se dovessi.
Sei spesso considerato come uno dei migliori giovani in circolazione: come gestisci la pressione?
All’inizio non ne sentivo assolutamente; non avevo nulla da perdere, il ranking era praticamente sempre in favore dei miei avversari e tutto era qualcosa di guadagnato. Da quest’anno la situazione è un po’ cambiata, a volte quasi invertita; mi sto facendo un nome, quindi i miei avversari scendono in campo con l’aggressività che magari in precedenza non avevano, perché non mi conoscevano. Sto iniziando ad essere testa di serie, anche numero uno nei Challenger, quindi gli altri vogliono battermi con motivazioni ancora maggiori. Penso di star gestendo la pressione abbastanza bene, anche se non quanto potrei; cerco di fare il meglio che posso ogni giorno, e poi si vede.
Da un punto di vista tecnico, su cosa stai lavorando e quali pensi siano i lati che devono ancora svilupparsi nel tuo gioco?
Il servizio, senz’altro: sono un metro e novanta, mancino, quindi il servizio dev’essere la mia arma principale, assolutamente e credo non lo sia stata finora. Ho perso molti incontri a causa della mia battuta, troppi break subiti e poca sicurezza; da fondocampo direi il rovescio, perché dall’altra parte sento la palla molto di più. Se riuscissi a migliorare in questi due fondamentali, credo la mia classifica ne gioverebbe.
Come affronterai la stagione europea?
La mia classifica è molto al limite (numero 100, ndr), quindi credo rimarrò fuori da qualche evento maggiore; continuerò con i Challenger, poi proverò le quali a Montecarlo e ancora non sono sicuro se andrò a Roma.
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