“Vorrei che la gente lo dimenticasse, ma per far sì che questo accada dovrei ottenere un risultato di un certo rilievo.”
Fu una curiosa coincidenza, quella che si celebrò a Parigi, la prima domenica di giugno di quattro anni fa. Nel giorno in cui Rafa Nadal, superando per la quarta volta nell’atto finale del Roland Garros il suo rivale di sempre, Roger Federer, eguagliava il numero di vittorie di un’altra leggenda della terra battuta, lo svedese Bjorn Borg – ben sei – nel torneo juniores, un giocatore che proprio al campione scandinavo deve il suo nome, lo statunitense Fratangelo, andava ad interrompere un’emorragia destinata altrimenti a diventare endemica: erano infatti ben trentaquattro anni che un tennista proveniente dagli Stati Uniti non si aggiudicava il torneo juniores dell’Open francese; ed a farcela, nel 1977, era stato nientemeno che John Patrick McEnroe jr. Così, tra un nome ingombrante, un improbabile testimone ricevuto a quasi quattro decenni di distanza e la logica pressione di una nazione che negli anni ha visto marginalizzarsi la sua posizione nello scacchiere delle potenze tennistiche mondiali, sarebbe scontato ed ovvio dare il la ad un profilo sul ragazzo in questione che ne tratteggi difficoltà e disillusione successiva ad un trionfo che non ha avuto un immediato seguito: la storia di Bjorn Fratangelo non è però solo questo.
Se attorno al nome la lectio facilior che lo vorrebbe ricondotto ad un’eventuale infatuazione di qualche suo familiare per lo scandinavo dominatore a fine anni ’70 è corretta, la primigenie la si deve al padre Mario, dal cui nome possiamo poi eliminare tutti i dubbi, nel caso ve ne fossero di residui, riguardanti l’origine geografica: partito dal Molise, dai pressi di Campobasso, con la famiglia quando aveva solo nove anni, Mario si è poi successivamente sposato con una ragazza statunitense, Pam, con la quale ha deciso di mettere su famiglia in Pennsylvania, nella contea di Plum: qui è nato, nell’estate del 1993, Bjorn Fratangelo. E qui è cresciuto, avvicinandosi al tennis sempre attraverso l’onnipresente padre, che ne ha seguito le orme per tutta l’adolescenza; quando era altrimenti impegnato, il piccolo di casa era solito allenarsi utilizzando un muro nel seminterrato in cui era raffigurata l’effige di Batman. Non che le esperienze dei due, e fortunatamente direi, possano definirsi accostabili, sta di fatto che crescendo matura da subito un attitudine particolare: l’amore per la terra battuta. “Ho sempre pensato che fosse la superficie più cool. Sin da piccolo il torneo che preferivo vedere alla tv era il Roland Garros, ero ossessionato dal colore, perché per me era una novità, non ero abituato a vederla negli Stati Uniti, dove tutti i campi in terra sono in har-tru. Comunque qui sono cresciuto, e non ho avvertito alcun disagio nel passare alla terra battuta tradizionale: dal mio punto di vista è più divertente giocarci.”
E su quel campo numero 2 del complesso di Bois de Boulogne, Bjorn Fratangelo compie un piccolo capolavoro. Ebbi occasione, poche settimane prima, di visionarlo durante il Trofeo Bonfiglio, e mi diede l’impressione di essere in buona forma: certo, non sarebbe stato facile pronosticarlo vincitore del successivo Roland Garros, eppure in quella settimana il ragazzo dà prova che l’agio paventato sulla terra battuta non è millantato: in finale affronta l’austriaco Dominic Thiem, al contempo già messosi in mostra tra i grandi, ed il terzo set propone un tennis d’altissima qualità, espresso da un equilibrio che pare ad un certo punto inscindibile. “Fino al 6-6 continuavo a ripetermi quanto fosse stata fantastica l’intera settimana e non comprendevo come da un momento all’altro l’intero incontro sarebbe potuto giungere a conclusione. Sembrava infinito, ed io non avevo alcuna intenzione di essere lo sconfitto.” Così sarebbe successo, e la vita di Fratangelo cambia, come è inevitabile che sia.
“E’ stato clamoroso, già al rientro all’aeroporto di Pittsburgh c’era gente che voleva fare le foto con me, mi chiedevano continuamente autografi, ero sinceramente imbarazzato, dal momento che, di carattere, sono particolarmente schivo e non mi piace la luce dei riflettori. Penso comunque di aver assorbito bene il momento, ho staccato dall’allenamento per qualche giorno, giusto per espletare tutte le interviste e le richieste che mi arrivavano, dopodiché mi sono concentrato sul mio tennis come se non fosse accaduto nulla: al rientro sul circuito ho infatti centrato la mia prima finale pro’, nel torneo di casa, a Pittsburgh”. Poco a suo agio dietro una telecamera, ma di tutt’altra pasta quando tra le mani ha una penna, seppur virtuale “Mi piace scrivere, davvero. Ho sempre scritto tanto, molto, amo, per esempio, appuntare sul mio iphone tutte le impressioni di un incontro appena giocato: non è una costrizione, è una cosa naturale, e sento di doverla fare. Se avessi fatto il college, avrei provato la carriera nel giornalismo, magari in ambito sportivo, o qualcosa di simile.” Però al college, Bjorn, ha scelto di non andare. “Mi hanno cercato in tanti, soprattutto dopo il successo francese, ed è stata una scelta dolorosa: avevo sempre sognato di diventare un professionista, sin da quando ero piccolo, però mi sarebbe piaciuto anche studiare. Dopo aver parlato con varie persone, ho capito che il mio più grande rimpianto sarebbe stato non diventare immediatamente pro’.” Per cui ad aprile del 2012, Fratangelo firma con l’agenzia CAA-Sports e il suo sogno diventa realtà.
La crescita si mostra regolare, non esponenziale, ma quantomeno continua: nel corso del 2013 giungono i primi successi a livello futures, ben tre, stagione che viene suggellata dalla prima semifinale challenger in carriera, in Brasile, a Campinas, sull’amata terra battuta. Nei propositi e nell’ambizione la stagione successiva sarebbe dovuta essere quella del lancio definitivo nel circuito ATP, attraverso appunto il circuito inferiore. Qualcosa, però, non va per il verso giusto e, a gennaio, Bjorn subisce il primo infortunio di un certo rilievo della sua carriera, che lo costringe ad uno stop di due mesi. Nel frattempo, a Boca Raton, dove si era trasferito da qualche tempo seguendo il programma di sviluppo della USTA, si deve limitare al nuoto e a tirare qualche colpo, rigorosamente seduto su una sedia. La classifica, che faticosamente è scesa sotto quota 300, si sgretola sotto i suoi occhi, ed è un colpo duro da assorbire “Per quanto sia uso dire che non si guardi, il ranking è la tua carta d’identità da tennista, e vedere quante posizioni perdevo era davvero triste.” Al rientro le sensazioni non sono molto buone, ma non c’è tempo per pensare, a fine maggio bisogna tornare là dove il padre era partito: per Fratangelo ci sono sette settimane da passare in Italia.
L’attività è prevalentemente ITF, col solo torneo di Milano a fungere da vetrina challenger: se nei piani della USTA questa trasferta sarebbe dovuta essere un rilancio di Fratangelo in un paese a lui molto vicino – è solito infatti autodefinirsi italian – il risultato è un conclamato fallimento. Nelle prime quattro competizioni sono più le sconfitte racimolate delle vittorie: mai un quarto di finale, un vero disastro. In Federazione, in particolare l’allenatore che è solito seguirlo, Stanford Buster, inizia a pensare che Bjorn deve ancora maturare una statura mentale e fisica tale per esprimersi con continuità a questo livello. Il padre, che nel momento in cui Bjorn aveva optato per il professionismo aveva deciso di fare un passo indietro così da permettere alla USTA di attuare il proprio programma, è invece di parere opposto: il ragazzo ha bisogno di lui. Così, con la moglie, prende il primo aereo per raggiungerlo nel Belpaese: la prima tappa è nella Lombardia sud-orientale, a Mantova, dove tutte le perplessità di Mario si mostrano assolutamente fondate. Al primo turno Fratangelo affronta la seconda testa di serie, nonché dominatore ITF, Luca Vanni, e dopo aver vinto il primo set, subisce la rimonta del suo avversario, fornendo uno spettacolo poco edificante: continui lanci di palle oltre la recinzione, insulti, racchette scagliate a terra. Il padre non riesce a seguire l’incontro fino al termine e capisce che c’è davvero qualcosa che si è irrimediabilmente corrotto.
Dopo quell’incontro prende da parte il figlio e cerca di parlargli nel tentativo, non vano, di rifondere una fiducia andata perduta dal giorno di quell’infortunio. Bjorn pare confuso, vorrebbe prendere il primo aereo per rientrare a casa – quella partita è stata la peggiore della mia vita, e non parlo del livello di gioco – ma Buster lo convince a completare il tour italiano e giocarsi l’ultima manifestazione a cui era iscritto, quella di Sassuolo. Dopo un primo turno thriller vinto contro Andrea Basso, il giovane statunitense assume un nuovo atteggiamento, che si mostra da subito vincente: in provincia di Modena giunge il titolo sia in singolo sia in doppio. Ed il sole torna a splendere sulla sua vita. Rientrato negli Stati Uniti con tutt’altra consapevolezza, coglie altri tre titoli ITF, ed una finale, in soli sei tentativi, il giusto viatico per tentare nuovamente l’approdo nei challenger. E questa volta il risultato è differente: due quarti di finale in California, a novembre, poi, col nuovo anno, è l’emisfero australe a regalare le giuste soddisfazioni: secondo turno dopo qualificazione a Noumea, quarti di finale a Burnie ed infine la vittoria a Launceston: la barriera dei top 200 è stata definitivamente abbattuta, raggiungendo la posizione numero 171.
“Sono fiducioso, il mio tennis c’è, e vedo che i ragazzi con cui me la giocavo qualche anno fa sono riusciti a fare il salto (ogni riferimento a Thiem è assolutamente voluto), per cui mi aspetto di farlo anche io. L’obiettivo sarebbe essere almeno top-100 quando avrò compiuto i 23 anni – ovvero nel luglio 2016”. Terra o non terra, perché dopo la parentesi italiana Bjorn ha calcato soltanto due volte la superficie amata, in uno dei due casi rimediando appena tre giochi contro Paolo Lorenzi. “Sto migliorando nei punti deboli, ad esempio il servizio, per cui riesco ad esprimermi con più continuità sulle superfici più rapide.” Verso quei successi che gli permetteranno di dimenticare quello di quattro anni fa, ma che non lo faranno dimenticare tanto facilmente agli occhi degli appassionati a stelle e strisce.
Fonte: Triblive.com, Tennisnerds.com, Mstennisblog.com
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