di Luca Fiorino
“Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere mai l’entusiasmo”. Questa celebre frase di Winston Churchill rispecchia appieno il credo del personaggio di questa intervista. Enrico Becuzzi, tennista classe ’73, è una di quelle storie che dovrebbero essere raccontate e tramandate poiché rappresentano veri e propri insegnamenti di vita. Molto probabilmente solo qualche decennio fa nessuno l’avrebbe più di tanto preso in considerazione, ma oggi con l’avvento di Internet e dei social network è inevitabile non parlare di lui. Ha iniziato a giocare relativamente tardi all’età di 9 anni quando il padre gli regalò una racchetta di legno e lo portò al “muro del tennis” dietro casa sua. Da quel momento nacque una passione smisurata verso questo sport che decise di non abbandonare mai, per qualsiasi motivo al mondo. All’età di 41 anni, ancora oggi, Enrico è alla ricerca di un punto ATP in singolare, seppur già nel 2003 (quando anche uscire al primo turno permetteva di ottenere punti) raggiunse la posizione numero 1400, suo best ranking. C’è chi lo definisce un perdente e lo deride, c’è chi come me pensa che, nonostante tutto, Enrico Becuzzi rappresenti l’emblema di ciò che più di ogni altra cosa sta svanendo in questo mondo, la volontà e la caparbietà di credere in sé stessi e nei propri sogni. Poco importa dunque se si insegue qualcosa di utopico, basta partire da questo presupposto: i sogni non sempre si realizzano ma non perché siano troppo grandi o impossibili, ma perché smettiamo semplicemente di crederci. “Becu” è una di quelle persone che potrà alzarsi ogni mattina senza mai smettere di alzare la testa al cielo e pensare: chissà…
Ci racconti brevemente chi sei e come inizia la tua storia con il tennis?
E’ molto difficile autodefinirsi ma ciò che amo maggiormente sono lo sport, la musica rock e metal, i cani e gli animali in generale. Sono una persona testarda ma allo stesso tempo molto riflessiva. Ho iniziato a giocare a tennis all’età di 9 anni dopo che mio padre mi regalò una racchetta di legno e mi portò al “muro del tennis” che c’era dietro casa mia. Sono cresciuto col mito dei quattro moschettieri degli anni 80: Lendl, McEnroe, Wilander e Connors anche se a dire il vero il mio idolo sportivo è sempre stato Larry Bird (cestista dei Boston Celtics, NBA).
Il tuo obiettivo è abbastanza noto: conquistare un punto ATP. Pensi che ci riuscirai? Cosa ti spinge a continuare ad inseguire questo sogno?
Innanzitutto ho già avuto ranking in singolare in due circostanze quando però ancora si ottenevano punti perdendo al primo turno in un torneo challenger. Dopo la prima occasione, nel 2003 a Sofia, andai vicino un altro paio di volte nel main draw dei futures dopo aver passato le qualificazioni. Successivamente nel 2005 fui abbastanza disastroso. Se non pensassi di poterci arrivare non mi sacrificherei e non mi sbatterei così a lungo nel difficile cammino del circuito Atp. Penso che sia doveroso nei miei confronti continuare a provarci finché riterrò di avere le forze e la voglia.
Sei riuscito a giocare le qualificazioni di alcuni tornei Atp 250, anche quest’anno. Pensi che tra te e i tuoi avversari ci sia tanta differenza tecnica oppure c’è anche un ulteriore aspetto fisico o mentale?
Quest’anno ho giocato le qualificazioni a Sao Paulo e sono entrato anche per la seconda volta a s’Hertogenbosch pagando però il fatto di essere arrivato all’ultimo momento. La differenza tecnica con gli altri la vedo più che altro sul servizio, colpo sul quale avrei dovuto e voluto lavorare maggiormente in quanto non è automatizzato e sicuro come dovrebbe. Dal punto di vista fisico con l’allenamento specifico non mi sento lontano da una condizione decente per un livello medio. Mentalmente invece ci sono momenti in cui ho buone sensazioni in campo ed altri in cui non trovo i riferimenti necessari per avere un atteggiamento positivo.
Il tennis dà l’opportunità di girare per il mondo e tu specialmente negli ultimi due anni hai viaggiato tanto anche se il prize money non aiuta. Quali sono i posti e i ricordi che porti con te? Ci racconti qualche episodio particolare?
Hai detto bene, il prize money non aiuta per niente. Questo non toglie che io non stia attento a molti dettagli e ti assicuro che raramente faccio scelte avventate. Ricordo con grande piacere le occasioni in cui grazie allo scalare delle liste entrai in main draw per alcuni challenger. Non sempre purtroppo riuscii a partire ma fu comunque una bella esperienza. Il posto che porto maggiormente nel cuore è il Brasile ma mi è piaciuta molto anche l’Australia. Riguardo l’episodio posso dirvi, sempre a riguardo delle sensazioni positive, che quest’anno durante il primo allenamento a Chitre entrò di corsa un cane (era quello del circolo). Capii subito che era di buon auspicio, giocai infatti bene un paio di partite.
Viaggi con Paolo Lorenzi e spesso giocate il doppio assieme ottenendo anche qualche buon risultato. Che persona è Paolo? Come è nata questa amicizia?
Conosco Paolo da circa 20 anni. Ad un certo punto non ci siamo incrociati più ma ci riavvicinammo qualche anno fa quando venne ad allenarsi a Livorno. E’ una grande persona, corretta ed esemplare, un professionista unico nel tennis e con pochissimi riscontri negli altri sport oltre ad essere un giocatore di livello molto alto. Amo giocare il doppio, è divertente, aiuta a migliorare il servizio, la risposta e il gioco al volo. Spesso rappresenta anche un modo per riscattarsi dal singolare. Ovviamente è molto più facile coprire metà campo e verrebbe spontaneo affermare che col passare del tempo sarebbe forse più appropriato ma se devo scegliere opto per il singolo. Poi diciamocela tutta con Paolino è più facile giocarlo…
Riuscisti ad entrare alle qualificazioni del Master 1000 di Shanghai ma… cosa successe?
Potevo ancora iscrivermi ai Grand Prix ed ai challenger col ranking di doppio, oggi purtroppo non è più possibile. La lista scalò vertiginosamente, il giovedì mattina ero pronto a partire per Hong Kong per cercare di ottenere un visto rapido ma venni bloccato perché non era sicuro che avrei fatto lo stesso in tempo. Il giorno seguente ero a Roma al consolato cinese con lettera d’invito dell’ATP e volo già prenotato per Shanghai ma mi venne ripetutamente negato il visto anche dall’ambasciata.
Come vedi il tuo futuro? Hai dei rimpianti? Per quanti anni ancora credi di volerci provare?
Ho sempre avuto grande voglia di migliorarmi ma la vita non ti concede sempre quello che vorresti in quel momento e a volte ti dà delle chance quando hai fatto determinati percorsi o quando non te l’aspetti. Ho guadagnato i miei primi punti Atp (in doppio) a 30 anni suonati, non sono mai stato un prevaricatore dei tempi. Non ho rimpianti, cerco sempre di guardare avanti senza però dimenticare i miei vecchi insegnamenti. Al momento il futuro lo vedo in chiaroscuro, fatto di luci ed ombre. Può variare improvvisamente ed essere imprevedibile ma in un modo o nell’altro devo farmi trovare pronto. Giocare è importante, mi prepara ad affrontarlo nel migliore dei modi.
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