Per un anno circa, partendo da Brescia 2015 e finendo con Andria 2016, ho girato il circuito Challenger (con piccoli sconfinamenti nei Futures), vivendo a stretto contatto con atleti, coach e preparatori oltre che con i genitori molto spesso, che popolano l’eterogenea pattuglia dei tornei internazionali. Tutti quelli che entrano in circoli e palazzetti hanno i propri sogni, i propri punti di forza, i propri limiti e tutti cercano di ottenere il meglio dalle loro fatiche. Il ruolo sinceramente più complicato e quello che più mette in difficoltà con sé stessi è quello del genitore. Il genitore gareggia per interposta persona, deve fare tremila sacrifici, a partire da quello economico, spesso mette a repentaglio la propria attività, il rapporto con il partner, quello con gli amici, ha quasi sempre la responsabilità della scelta dello staff che deve seguire il figliolo ed è obbligato anche a fare la fatica di non mostrare troppo le proprie emozioni. Se si vince il merito è di tutti meno che il suo (solo dopo tanti anni i figli se ne renderanno conto, quando diventeranno padri o madri a loro volta, e il tempo per fortuna è galantuomo); se non si raggiungono i risultati sperati la colpa viene scaricata su di lui. Molti genitori a loro volta attribuiscono i risultati non giudicati soddisfacenti allo staff tecnico, quindi la responsabilità diventa del coach che non ha capito il ragazzo, del preparatore fisico troppo ancorato alle sue idee, e vai col tango sul modello scarica-barile tipico della politica. In mezzo alla figura del genitore e a quella del Coach c’è l’atleta. Il più delle volte giovanissimo, dotato sia tecnicamente sia atleticamente ma sballottato tra l’emotività della famiglia e la maggiore razionalità degli allenatori. Chi riesce a trovare la giusta miscela tra questi due ingredienti, entrambi fondamentali, riesce a dare il meglio di sé. Avendo avuto il privilegio di conoscere dal di dentro tutte le componenti di cui sopra, provo a dire la mia sui ragazzi che si sono affacciati nei challenger e che mirano a tornei ancora più importanti. Anche perché i tornei ATP e gli Slam sono gli unici che permettono poi di sopravvivere a livello economico. Tenete sempre presente che fare quarti di finale in un challenger equivale ad andare pari in quella settimana con le spese (avendo un coach che gira con te, che è “conditio sine qua non” per sperare di emergere. Mi sono formato le mie opinioni parlando a cuore aperto con i ragazzi, spesso dopo le partite quando l’emotività è forte, condividendo con loro anche il tempo libero, mangiando, parlando del più e del meno, delle ragazze, delle loro storie d’amore e scambiandoci riflessioni sulla vita, sul tennis e su mille altre cose. Il punto di vista dei ragazzi per me che ho 48 anni era un punto di vista che non ricordavo più e che da tempo non avevo modo di conoscere così da vicino. Il condividere una vita così dispendiosa sul piano delle energie psicofisiche mi ha aperto gli occhi su tante situazioni che prima da esterno faticavo a comprendere appieno. Contemporaneamente ho ascoltato gli stessi episodi o situazioni raccontate da genitori o staff tecnico ed è stato davvero illuminante vedere quanto distacco c’è, a volte, tra noi vecchi tori e i giovani agnellini sul piano delle percezioni degli eventi. Ma sono loro che vanno in campo, gli agnellini. E sono maledettamente soli, noi possiamo solo averli preparati più o meno bene. Noi vecchiacci siamo abituati a ragionare con i numeri. Siamo pazienti. Sappiamo che solo il tempo e l’impegno costante possono portare risultati. Per i ragazzi, per quanto abbiano già esperienza di centinaia di partite a livello anche internazionale, non è esattamente così. Chi come noi ha perso più di quanto abbia vinto sa bene che il vincente non è chi è primo in classifica e basta ma chi ha davvero dato il meglio di sé. Far passare questo ai ragazzi è durissimo: perdere 3 partite di fila equivale a perdere l’autostima. In soldoni è così e moltissimi si ritrovano, seppur a diversi livelli, a condividere questa mia riflessione.
Stefano Napolitano 21 anni (1995) (172 ATP, best ranking)
Tornando al discorso di prima, quello della miscela tra emotività e razionalità delle scelte, il ragazzo che più di tutti ha fatto il salto di qualità è Stefano Napolitano. Da Junior è stato numero 9 al mondo nel 2012 ma tra i quattro moschettieri (Quinzi, Baldi, Donati e Napolitano) era appunto sempre quello messo più in ombra da addetti ai lavori, almeno da alcuni. Se questo forse al momento poteva destare qualche rancore, al netto delle difficoltà che porta ai ragazzi stare sotto la luce dei riflettori, si è rivelato invece qualcosa di estremamente positivo, sebbene Stefano sia per natura un ragazzo assai equilibrato. Nato e cresciuto ai Faggi di Biella, circolo magnifico dove si svolge un importante Challenger e gestito dal papà di Stefano, Cosimo Napolitano, il ragazzo per diverso tempo è stato allenato direttamente dal papà appunto, il quale poi ha deciso di fare un mezzo passo indietro, affidando il figlio alle cure del team di Piatti, in particolar modo a Cristian Brandi che a livello tecnico lo ha reso più consistente con il diritto e ha migliorato ancora di più il già super rovescio di Stefano. Ora pare che si sia aggiunto allo staff direttamente anche Ivan Ljubicic. Stefano è migliorato anche sul servizio, e l’esperienza del croato in questo senso potrebbe portarlo a sviluppare ancora di più il colpo d’apertura e quello successivo. Ora è 172 del ranking, è quello che ha fatto il percorso più “coerente”, ha una famiglia che gli ha dato valori importanti sul piano umano e a mio umile modo di vedere è quello che è più pronto, direi da subito, al grande salto. Nella scorsa stagione ha vinto Ortisei senza perdere un set e battendo Arnaboldi e Basic oltre che Giannessi ma i grandi progressi li aveva già fatti vedere, in particolare nel torneo casalingo di Biella che ha rappresentato a mio modo di vedere il punto più alto del suo rendimento, superando sulla terra battuta de I Faggi Elias Ymer, Khachanov e Lajovic per giocarsela alla pari con Bellucci che sul mattone tritato vale ampiamente i primi 30 del mondo. In doppio Stefano è una garanzia e secondo noi la coppia Davis del futuro potrebbe essere proprio Napolitano/Gaio, visto che i due si trovano benissimo dentro e fuori dal campo ed hanno un gioco complementare. L’anno nuovo è cominciato senza exploit ma con un buon secondo turno sul veloce a Quimper e un momento importante sarà il prossimo Challenger di Bergamo. Fino a Marzo difende solo i quarti di un challenger messicano, quindi salire è possibile. A mio parere sarebbe importante per questa stagione rinforzare la propria posizione portandola entro la 150esima ATP, in modo da essere in tutti i tabelloni challenger, qualche volta anche testa di serie, e provare qualche avventura in quali degli ATP 250 (ha appena provato le quali a Montpellier dove si è fermato al turno decisivo) oltre a tutte le quali slam. Avvicinare la Top100 a fine anno significherebbe aver acquisito esperienza tale da volare nella stagione successiva, Stefano è un 95, è ancora giovanissimo e non deve assolutamente bruciare le tappe. Conquistare consapevolezza deve essere uno degli obiettivi del ragazzo. Ha da difendere nel corso della stagione una semifinale challenger ad aprile (Ostrava), una finale, un quarto ed una semi a Luglio (Todi, San Benedetto e Biella, il torneo casalingo) poi la vittoria di Ortisei a Novembre. Proprio per questo Stefano deve solo pensare ad aumentare le proprie skills e a giocare con serenità. Nei primi articoli che scrissi attribuii a Stefano una mancanza di personalità, scambiando la sua tranquillità anche fuori dal campo per mancanza di grinta, mi sbagliavo. Me ne sono accorto nel corso del tempo e la sua forza sta proprio in questo connubio tra grande voglia di emergere e pazienza necessaria affinché avvenga.
Matteo Donati. 21 anni (1995), 215 ATP (best ranking 159)
L’ultima volta che è stato veramente bene, o almeno all’80% Matteo Donati, piemontese anche lui (Alessandria) ha fatto semi a Manerbio e nel corso della stagione 2016 ha collezionato troppi infortuni, più o meno lievi ma comunque devastanti sia per una programmazione del lavoro sul campo sia delle trasferte. Il coach Massimo Puci è comunque fiducioso ma la vera incognita risiede proprio nelle condizioni fisiche di Matteo, che tra i nostri giovani è tra quelli che più incarnano il giocatore moderno. Le sue accelerazioni sono stupefacenti e anche l’atteggiamento in campo e le scelte tattiche, seppur da migliorare, descrivono un giocatore completo. Vero che Matteo si può definire un contrattaccante da fondo, buono ma ancora da migliorare in difesa secondo noi con un lavoro specifico che Puci sta senz’altro facendo, con i due lati entrambi positivi con una leggera preferenza per il rovescio ed un servizio reso sicuro e con molte varianti. La scorsa stagione pur costellata di infortuni alla fine è stata discreta, con molti quarti di finale, una costanza di risultati che fa ben sperare e la finale di Caltanissetta persa al tie break decisivo con Lorenzi, picco più alto delle prestazioni di Matteo. Certo il nuovo anno è iniziato all’insegna della fragilità con due ritiri (a Brest e nelle quali degli Aus Open), ma il lavoro paga sempre e vale lo stesso discorso fatto per Stefano Napolitano. Senza dubbio il numero 150 ATP è ampiamente alla portata tecnico-tattica-mentale di Matteo, ora dovrà cercare di valere questa posizione anche sul piano della tenuta fisica. Non sappiamo ancora la data del rientro ma ha 3 “zeri” da riempire (cioè i punti ottenuti in 3 tornei si vanno automaticamente a sommare a quelli che già possiede a livello ATP) e poco da scartare fino ad Aprile (24 punti frutto di 3 secondi turni a livello challenger).
Lorenzo Sonego, 21 anni (1995), 307 ATP (best ranking 259)
Piemontese anche lui di Torino, sebbene una parte della famiglia provenga dal veneto, Lorenzo Sonego è sempre stato allenato da Gipo Arbino e lo è ancora dimostrando tanta fedeltà anche a livello umano, oltre che per stima tecnica e sportiva che il Maestro Arbino merita in maniera incondizionata. Diciamo subito una cosa: Lorenzo non ha avuto esperienze significative da Junior. Questo da una parte lo ha aiutato togliendogli pressioni particolari e lasciandolo vivere il tennis come una passione, dall’altro lo ha privato di esperienze importanti a livello internazionale. Nella stagione appena conclusa ha cercato di comare questo gap. Il momento topico del 2016 è stata la WC al Foro Italico conquistata sul campo (nell’estenuante torneino di qualificazione) e onorata benissimo con un match stratosferico per impegno e grinta contro il forte portoghese Sousa (numero 30 ATP). Lorenzo ha una grande dote naturale: dimentica presto gli errori o le sconfitte. E’ solare, non è uno che si piange addosso. E questa è un punto di partenza importante, direi decisivo. Per questo è un vero fighter, difficile vederlo “sciogliere”. Certo è che, nonostante questa sua forza mentale, dopo il grande exploit di Roma ha avuto un momento delicato, presto comunque superato con buoni risultati. L’obiettivo di questa preparazione, svolta al Green Park di Rivoli e a Tirrenia è stato mettere su kili per aumentare la forza senza nel contempo perdere la sua elasticità e resistenza: è migliorato, ci conferma il coach Gipo Arbino, così come nel fondamentale del servizio e nella risposta oltre che nel gioco al volo. Importante anche la sua alternanza al centro tecnico federale di Tirrenia dove Lorenzo ha la possibilità di confrontarsi con altri grandi tennisti oltre che a poter usufruire della grande competenza professionale ed umana di Umberto Rianna, stimatissimo da Coach Arbino e valore aggiunto per molti di questi ragazzi. Nel finale di stagione ha perso una infinità di partite al terzo set, e certo non per una mancanza di buona preparazione atletica né mentale, ma perché manca ancora di qualche colpo vincente e ha bisogno di molti scambi per portare a casa il punto. Dovrà trovare il modo in questo 2017 di fare più punti direttamente col servizio, e di velocizzare gli scambi non perdendo campo. Con Janowicz al Challenger di Genova Sonny si trovava a condurre 5-2 al terzo una partita che aveva recuperato con grande grinta: il polacco, poi vincitore del torneo, ed ex 13 del mondo, recupera fino a 5-5 e succede che diventa una guerra di nervi; Sonego si carica con dei “forza!” e Janowicz urla ancora di più. Alza la voce, e diventa una si fa come tra due animali che si gonfiano per spaventare l’altro. E’ vicino Sonego a salire quel gradino che lo separa dai grandi. Basta poco. Fino ad Aprile difende pochi punti, l’obiettivo deve essere rientrare (probabilmente a Bergamo) subito con la convinzione giusta. Anche per lui una posizione nei 150 è possibilissima, soprattutto se la risposta al servizio diventerà un’arma più convincente.
Gianluca Mager, 22 anni (1994), 336 ATP (best ranking 290)
Il 2016 di Gianluca Mager, sanremese ora di stanza a Tirrenia dove si allena sotto la guida tecnica di Gabrio Castrichella, è stato condizionato senza dubbio dalla fine del rapporto di collaborazione tecnica con Coach Diego Nargiso che lo aveva adottato qualche anno fa facendolo tornare a praticare un gran bel tennis. Poi come capita in alcuni rapporti professionali, il feeling si è interrotto ed ora “Gianlu” si allena nell’enclave FIT. Gianluca è dotato di un servizio devastante, nella scorsa stagione ha affrontato tanti tornei a livello Challenger raggiungendo più volte i quarti di finale ed anche lui come Sonego deve lavorare molto sulla risposta al servizio e riuscire a mettere sempre il 100% dentro ad ogni match. Intendiamoci, il ragazzo, come del resto anche gli altri azzurri, è un lavoratore, è uno che in allenamento si sacrifica, si dà da fare, non lesina energie: ciò cui bisogna mirare tuttavia è avere una forte determinazione continua e costante, senza quegli alti e bassi nell’intensità che, pur presenti in ogni attività umana, finiscono per limitare un atleta. Aggiungo poi un argomento che vale per tutti gli atleti del mondo: si è prima uomini poi sportivi, e quindi c’è sempre da tener conto del “vissuto” di ogni ragazzo. Negli ultimi mesi in cui ho potuto condividere del tempo con Gianluca, l’ho visto più sereno, più rilassato e questo è determinante perché le prestazioni siano buone. Il trovare una stabilità emotiva può davvero far emergere definitivamente le grandi qualità di questo ragazzo, anche lui come Sonego senza grosso background da Junior e recuperato al tennis che conta da pochi anni. In questo sarà determinante il lavoro quotidiano di un Coach come Gabrio Castrichella, che allena già da 2 anni Andrea Pellegrino, e l’esperienza di Umberto Rianna che finalmente può davvero plasmare gesti tecnici e tenuta mentale di Mager. La preparazione preseason doveva durare 12 settimane, un piccolo problema alla mano sinistra ha fermato un pochino Gianluca in particolare nel giocare il rovescio a due mani, ma è stata davvero accurata. Obiettivo deve essere un ingresso in pianta stabile nei top 200, cercando qualche scalpo eccellente e una crescita di consapevolezza sotto tutti i punti di vista. Presumibilmente rientrerà nelle competizioni al Challenger di Bergamo a fine febbraio magari solo per trovare il ritmo del match, poi carica massima nella trasferta cinese di Marzo. Ha diversi “zeri” da riempire per il ranking, e quasi nulla da difendere fino ad Aprile. C’è molto da puntare anche su questo ragazzo giovane e che sta crescendo in maniera esponenziale: l’apporto di Coach Rianna è di quelli che fa la differenza.
Edoardo Eremin, 23 anni, 1993, 344 ATP (best ranking 292)
Proveniente da Cassine in provincia di Alessandria, di papà russo e madre italiana, Edo è stato formato tennisticamente dal padre Igor, che ha fatto un ottimo lavoro visto che il ragazzo tecnicamente non ha lacune. Fisicamente è una “bestia”, alto e potente, deve stare attento a mantenere il peso ideale per non perdere in rapidità. Il servizio raggiunge (come nel caso di Mager) punte di 220 orari e “Dodo” sa anche variare molto bene in Kick. Il rovescio a due mani è un colpo naturale, giocato spessissimo in spinta e il diritto è comunque altra arma sicura. Ok, questo è il profilo di un top player, perché allora veleggia intorno alla 300esima posizione mondiale? Innanzitutto il ragazzo ha bisogno di stare al top fisicamente per poter dare il meglio e non sempre questo è possibile in ottica programmazione tornei. E poi c’è un discorso sull’aspetto psicologico e tattico da affrontare. Sia il suo precedente coach Mauro Balestra che l’attuale Massimo Puci (già allenatore di Donati e che conosce benissimo Edo avendolo già seguito attorno ai 18 anni), così come Umberto Rianna che lo ha seguito in molti tornei challenger 2016, concordano nel sostenere che le potenzialità di Dodo sono infinite: il lavoro sulla “testa” del ragazzo sarà determinante; è allegro e positivo di natura, un entusiasta, un ragazzo di cuore, piace subito ai bambini ed è sempre pronto a tirare il gruppo in allegria. Eppure c’è qualcosa che ancora lo ha frenato in alcuni momenti in campo e fuori. Se si troverà il bandolo della matassa in questo senso…ci sarà da divertirsi. In assoluto è uno dei giovani azzurri che ha più margini di miglioramento pur avendo già solide basi: è un ragazzo che quando riesce a mettere il 70% di prime di servizio diventa praticamente ingiocabile e si assicura il tie break come minimo. Io sono convinto che Dodo più degli altri ha bisogno di una maturazione sul piano umano per poter dare il 100%, un po’ come è successo a Lorenzi che fino a 26 anni era 400 del mondo. Il suo essere così prestante fisicamente non deve più far credere, come ho sentito a volte in giro nei tornei, che il rischio infortuni è più elevato o che la carriera non sarà necessariamente lunga perché ormai è assodato a livello scientifico che con una preparazione atletica mirata principalmente alla prevenzione si raggiungono picchi di perfomance anche oltre i 35 anni. Fino ad Aprile anche lui non ha molto da difendere, il suo picco l’ha raggiunto al Challenger di Vicenza dove ha messo in fila Monteiro (uno di cui sentiremo parlare e già vicino ai top100), lo svizzero Laaksonen e il talento Kozlov (altro tra i miei preferiti) tutti in 3 set. Può giocare bene sia su terra che su veloce, dove negli ultimi 3 tornei dell’anno ( Futures in Francia e Qatar) ha conquistato una finale e due semi. insomma le premesse ci sono tutte. E’ appena rientrato in un 25mila in Svizzera, dove al secondo turno affronterà il tedesco Reinwein. Come ci ha confermato anche Dodo la preparazione è stata straordinaria, conosceva già il suo Coach Puci e ne ha apprezzato ancora di più la capacità di far lavorare il gruppo in armonia e con divertimento: per un professionista è qualcosa di determinante, un po’ come per tutti i mestieri. Riuscire a provare piacere mentre si fa anche tanta fatica o magari si ripetono molte volte gli stessi movimenti è qualcosa che può incidere profondamente nella testa e nei muscoli del ragazzo. Nel gruppo di stanza a Bra oltre a Dodo e Matteo Donati ci sono anche Longo, Maccari, Ocleppo e il russo Kivattsev. Si è lavorato molto sulla corsa, sulla resistenza e poi ovviamente su tutti i fondamentali, in particolare volee e diritto per quel che concerne Dodo, oltre che sul miglioramento del già ottimo servizio.
Gianluigi Quinzi, 21 anni (1996), 296 ATP (best ranking 289)
Il più celebrato e atteso tennista italiano degli ultimi 10 anni è senz’altro Gianluigi Quinzi. Vincendo Wimbledon Junior nel 2013 aveva fatto sognare milioni di appassionati che aspettano il nuovo Panatta. Purtroppo noi italiani abbiamo (parlo in generale) una cultura sportiva non eccezionale, e tendiamo a sopravvalutare le vittorie così come ad affossarci nelle sconfitte: contano così tanto i risultati da accecarci nei giudizi. Questo succede in tutti gli sport. E bisogna dire anche che Gianluigi ci ha messo del suo ad illuderci un po’ tutti quanti, perchè onestamente quando io lo vidi giocare da Junior mi pareva un ragazzo davvero predestinato, con una grandissima personalità e sicurezza e con un tipo di tennis adatto a fare “classifica”. Vero che qualche limite tecnico si poteva notare ma questo lo valutavo come un vantaggio, della serie “ci sono ampi margini di miglioramenti tecnici”. Mi piaceva la sua rabbia agonistica e i pochi unforced che gli vedevo fare. In più se la cavava in quasi tutti i fondamentali, a rete in particolare, ed era sicuro da entrambi i lati (vale il discorso di prima, il diritto era ampiamente migliorabile ma la cosa mi dava fiducia) anche se io amavo di più il suo rovescio. Piano piano però un po’ gli infortuni un po’ l’affacciarsi nel circuito maggiore, un po’ alcune scelte di conduzione tecnica, la fiamma che animava Quinzi si è andata spegnendo ed è rimasto impantanato intorno alla trecentesima posizione mondiale. E la cosa che preoccupava di più era il suo vederlo nervoso, insoddisfatto, insicuro. Poi l’incontro con quello che è un vero Guru, Ronnie Leitgeb. Quando li ho visti insieme la prima volta nel Challenger di Perugia mi sembrava che tra i due non fosse scattata la molla giusta, ma mi sbagliavo: man mano che passavano i mesi Quinzi era sempre più convinto e determinato, fino a quello che è stato il primo torneo in cui è visto il ritorno del guerriero marchigiano, San Benedetto del Tronto dove si è spinto fino ai quarti di finale, perdendo da Lestienne in semifinale ma giocando un’ottima partita. Il connubio con il coach austriaco Leitgeb, uomo con molte luci ma anche molte ombre, il creatore di Muster, di Gaudenzi, business-man, mental coach, e chi più ne ha più ne metta, appariva un po’ freddo fuori dal campo, dove Ronnie Leitgeb ha fama di essere molto duro, ma stava già dando i suoi frutti. Ciò che unisce Coach Leitgeb e Quinzi è il fatto che entrambi sono due personaggi controversi, sebbene per motivi differenti, e potrebbe essere scattata anche l’alchimia giusta. Alcuni dei più grossi motivatori della storia dello sport, penso a Velasco nel volley e a Mourinho nel calcio per esempio, hanno sempre sfruttato il concetto del “soli contro tutti” per tirare fuori il meglio dai propri atleti, e questo ci appare stia facendo Ronnie, oltre a curare gli aspetti tecnico-tattici del ragazzo: senza ombra di dubbio sia Gianluigi stesso, sia la famiglia, hanno sofferto critiche, a volte severe e crudeli, dai parte dei media, dalla critica specializzata ma anche dai semplici appassionati nei forum. E Ronnie, da vecchia volpe, sta forse facendo leva sull’orgoglio del ragazzo per strappargli motivazioni profonde, come fece con Muster dopo il clamoroso incidente a Miami e con Davydenko che tornò a crederci dopo che le accuse di combine nel match di Sopot con Vassallo Arguello lo avevano messo mentalmente ko. In più ad ogni incontro di Quinzi ci sono centinaia di persone pronte ad esaltarsi per un vincente e a fischiare per un unforced. Quinzi poi, dopo aver fatto semi a Cordenons, ha terminato il 2016 con due buoni futures in Norvegia con una vittoria e una finale che lo han fatto risalire in classifica. E’ appena rientrato qualificandosi come lucky loser al Challenger di Budapest dove ha superato al primo turno il redivivo talento ungherese Balazs e si confronta al secondo turno col russo Vatutin. L’obiettivo deve essere ambizioso, le qualità ci sono, la programmazione verterà principalmente sul circuito Challenger sperando di consolidare una classifica che permetta l’ingresso diretto senza passare per le quali. Anche lui ha una enormità di “zeri” da riempire nella classifica ATP che conteggia i migliori 18 risultati dell’ultimo anno. Nei primi mesi la classifica può solo migliorare.
Matteo Berrettini, 20 anni (1996), 433 ATP (best ranking 431)
Gli ultimi due Challenger della stagione passata, Brescia ed Andria hanno portato alla ribalta un ragazzo romano di cui da tempo si diceva un gran bene ma pareva sempre frenato da una serie di infortuni a catena. Risolti questi problemi ora Matteo Berrettini, allievo di coach Santopadre, sembra pronto a volare. Nelle ultime uscite del 2016 appunto ha veramente fatto una magnifica impressione, a suo agio come pochi sulle superfici iperveloci dei due tornei e ci ha fatto vedere lo schema servizio-diritto davvero devastante da giocatore vero. Direi da top player. Eppure di strada ce ne è da fare, eccome, in particolar modo sul piano della tenuta fisica e sulla prevenzione agli infortuni. Di servizio e diritto abbiamo già detto, ma c’è da aggiungere che ad Andria il ragazzo, giunto a sorpresa in finale, ha mostrato anche tantissima attitudine mentale alla sofferenza su un campo da tennis: vero che poteva giocare da outsider senza troppa pressione addosso ma ha tirato fuori ace e vincenti contro giocatori esperti nei momenti decisivi dei match. E questo è decisamente un buon segnale. Ha battuto già Chiudinelli e Robredo dominando il gioco nelle sue prime esperienze nel circuito Challenger. A livello umano Matteo è un ragazzo molto tranquillo con una grande passione per questo sport che condivide con la famiglia e in particolar modo con il fratello Jacopo che si sta affacciando a livello Futures. Tutto l’ambiente ne parla davvero bene, nella scorsa stagione ha praticamente ricominciato a giocare e prender punti a settembre, per cui ha margini di crescita in classifica enormi, con una programmazione mirata può arrivare tranquillo entro i 200 ATP. Ovvio che si dovrà monitorare continuamente il suo stato di salute per evitare ricadute: il problema al ginocchio sinistro, al piatto tibiale, finisce con l’interessare anche la cartilagine e quindi è fondamentale fare una prevenzione accurata per evitare ricadute. Di buono c’è che il suo coach personale Vincenzo Santopadre e la direzione tecnica del progetto FIT over 18 gestita da Rianna concertano insieme gli obiettivi e hanno unità d’intenti. E questo è fondamentale per trovare la giusta alchimia nella costruzione di un campione, per cui la preparazione invernale è stata fatta con l’obiettivo di migliorare tutti i fondamentali ma in particolare rovescio, con un lavoro fisico importante anche sul piano della resistenza. Ora Matteo rientra in un 25mila dollari in Svizzera, sarà importante vedere come reagirà sul piano mentale ora che qualche pressione gli è arrivata vista la visibilità che ha avuto dopo il finale di stagione scorsa entusiasmante, e i primi feedback sono positivi perché è al secondo turno dove se la gioca con il francese Boltz. Come dicevamo prima il ragazzo è davvero tranquillo ed emotivamente solido, ma è pur sempre giovanissimo: dopo la sua vittoria ad Andria contro Chiudinelli annullando 4 match point e dimostrando una tenuta mentale stratosferica (rivedetevi quel match perché lo svizzero lottava su ogni palla e utilizzava ogni metodo lecito per provare a stoppare l’aggressività dell’azzurro e di contro Matteo teneva l’intensità agonistica al massimo livello) ho scritto sul magazine del torneo “chissà se Matteo avrà dormito stanotte”. Lo incontro nella player lounge il giorno dopo e mi sorride: “non ho chiuso occhio”. Mi piace molto perché è un ragazzo molto genuino. E fortissimo.
Filippo Baldi, 21 anni (1996), 759 ATP (best ranking 716)
Ho deciso di terminare questa rassegna su alcuni dei talenti più interessanti con Filippo Baldi (ma ci saranno altre puntate sia sui più esperti come Gaio, Cecchinato, Giannessi, Caruso, sia sui giovanissimi come Pellegrino, Summaria, Moroni o Ocleppo ed anche altri di cui si parla meno ma che ci daranno grandi soddisfazioni come Di Nicola, Balzerani, Basso e molti ancora). Perché Baldi è in questo momento il talento inespresso sul piano dei risultati dei quattro moschettieri azzurri che da Junior hanno regalato emozioni e speranze al tennis italico. Eppure da Junior è stato numero 5 al mondo, certo non può aver disimparato a giocare a tennis. Mi è capitato di vederlo in due occasioni in questa stagione, la prima nelle quali del Challenger milanese all’Aspria dove è arrivato al turno finale di quali perdendo dal ceko Safranek e poi al Futures di Latina qualche mese più tardi dive ha fatto semi perdendo da Matteo Viola. Se a Milano pur vincendo due turni mi era sembrato troppo nervoso e ancora a caccia di una consapevolezza di sé in campo, a Latina l’ho trovato più maturo sul piano degli atteggiamenti e questo fa ben sperare. Era seguito fino ad un paio di mesi fa da Coach Simone Ercoli a Roma (Casal Palocco) e da un preparatore fisico di grandissima qualità come Max Ambrosetti. La scelta di allenarsi a Roma era stata dettata dalla grande stima per il team che lo seguiva ed anche dalla vicinanza con la sua fidanzata, la tennista Pro Nastassja Burnett. Filippo ha un gioco senz’altro offensivo, difende benissimo la rete, ha fondamentali eccellenti, fisicamente sta bene e con Coach Ercoli e Prep. Ambrosetti stava curando davvero tutti i particolari: il suo staff concordava nell’affermare che manca poco per il salto definitivo di Filippo tra i grandi, ed è soprattutto sul piano mentale che si gioca la sfida. Certo è che ancora Filippo ha qualche passaggio a vuoto durante i match e fatica a mantenere lucidità nelle scelte tattiche per tutta la durata degli incontri. Per quanto riguarda il discorso più propriamente tecnico Filippo ha “piedi e caviglie atomiche” (parole di Peppe Fischetti), e sta provando a rendere meno prevedibile il servizio cercando anche di proporsi di più verso la rete con un gioco maggiormente offensivo. Il finale di stagione 2016 di Filippo è stato ottimo, con un quarto di finale ad ottobre a Pula, poi la già citata semifinale a Latina con titolo in doppio in coppia con Peppe Fischetti (da notare come Filippo abbia voluto dare una bella chance ad un giocatore senza ranking come Peppe Fischetti, il quale è rimasto davvero contento di questa esperienza vissuta con l’amico e collega non solo per i risultati ma per le doti umane mostrate nell’occasione dal ragazzo milanese), e un’altra buona semifinale in un Future in Tunisia dove per altro ha vinto un ulteriore torneo di doppio. E’ vero che parliamo di livello Futures ma le vittorie aiutano a vincere, e potrebbero anche servire per stimolare ancora di più le già forti motivazioni del ragazzo. Ha numerosi “zeri” da riempire nel computo dei migliori 18 risultati dell’ultimo anno, e da scartare pochissimo (solo 2 punti per un quarto di finale in Azerbaijan nel febbraio scorso). Staremo a vedere al rientro, ma chi è stato numero 5 al mondo solo pochissimi anni fa ha tutte le carte in regola per migliorare un ranking che non gli rende onore. Da Dicembre 2016, ci ha confermato il padre Leonardo Baldi, Filippo si è trasferito a Palermo, alla corte di Coach Francesco Cinà seguito da Coach Francesco Aldi, dove ha svolto la preparazione invernale che si conclude la prossima settimana: è iscritto a 2 Futures in Tunisia dove entra direttamente in tabellone senza dubbio. Obiettivo 2017 a mio parere da trovare in una continuità di risultati, in un allenamento costante e convinto, e come ranking entrare nei 400 per provare almeno le quali in qualche Challenger. Il circuito Futures è una palude da cui bisogna uscire il prima possibile, sebbene sia una palestra importante che aiuta ad imparare il “mestiere” del tennista professionista che non è fatto solo di ace o palleggi ma anche di trasferte complicate, lunghe attese prima dei match in circoli improbabili sparsi per il mondo, poche comodità magari in bed & breakfast da 20 euro. Per Filippo, un po’ come per Gianluigi Quinzi, si è aggiunta la difficoltà di dover accettare una realtà complicata: dall’essere nell’elite del tennis, sebbene nella categoria Juniores, è dovuto passare ad essere uno dei tanti, e questo è stato devastante nel suo percorso e lo ha frenato. Troppo, nonostante sacrifici enormi suoi e della sua famiglia. A Milano ho avuto modo di parlare con il suo papà, Leonardo, il quale mi raccontava proprio del grandissimo impegno profuso da tutta la famiglia, a partire dalle centinaia di kilometri percorsi in macchina in giro per l’italia fin dai primi tempi dell’attività, finendo con le vacanze o le ferie utilizzate per gestire preparazioni o tornei. Ora Filippo è pronto per ripartire come si deve, togliendosi dalla mente tutte queste sovrastrutture e liberando il suo tennis migliore, qualunque esso sia.