Nonostante un ruolino di marcia degno di un campionissimo, il campione scozzese non riesce a raccogliere i favori del grande pubblico, che lo relega a gregario dei primissimi. Nonostante ciò, Andy continua a inanellare risultati in una stagione che potrebbe essere la migliore della sua carriera.
Trentuno titoli in carriera, senza contare le 16 finali in tornei Atp, forse non bastano a consacrare un tennista come campione. Nemmeno se tre dei trentuno allori sono di rango reale e nemmeno se due dei tre sono stati meritati sul campo più eclettico e cinico di tutti, l’erba di Wimbledon. Eppure Andy Murray è un personaggio molto positivo per il tennis mondiale e per tutto il movimento. Il ragazzone di Dumblane ha dato prova, soprattutto negli ultimi 3 anni, di poter competere con chiunque, senza contare che è stato l’unico ad aver battuto Novak Djokovic in una finale Slam dal 2011. Nonostante le vittorie e i successi, il grande pubblico sembra gradire meno la sua immagine che quella di altri campioni e campionissimi, che al momento, esprimono meno gioco e fanno meno risultati.
Molti dimenticano i sacrifici e il lavoro che Murray è stato capace di sopportare, sempre in silenzio e sempre a testa bassa. Il 2014 era cominciato in sordina per Andy Murray, che aveva ancora risentimenti alla schiena e non riusciva più a garantire gli stessi risultati della stagione 2013, la migliore della sua carriera. Il 15 settembre 2014 la classifica di Sir Andy Murray era la n. 12, con pessimi risultati dovuti ad acciacchi più mentali che fisici e ancora riecheggia quella frase pronunciata a Wimbledon, mentre perdeva dal suo amico Dimitrov, “cinque minuti prima, cinque fottutissimi minuti prima”. Cosa avrà voluto dire, non lo sapremo mai, ma era chiaro a tutti che la psiche di Andy era al limite e che occorreva trovare una soluzione al più presto. La soluzione al problema, poi, ha preso la forma di un coach chiacchierato e criticato, non in assoluto, ma nel caso specifico. Amelie Mauresmo, una scelta che di banale non ha nulla, anzi, ma un coach donna e dal rovescio monomane non sembrava una scelta così furba. Non sembrava, ma lo è stata. Fin dalla prima partita di Andy, sotto la nuova guida, il diritto ha cominciato ad essere colpo offensivo e di manovra. Non lo era stato nemmeno sotto la guida di Ivan Lendl, al quale, però vanno dati i più grandi meriti del campione che oggi è Murray.
Molti altri dimenticano che Andy, in versione Cenerentola, si è rimboccato le maniche proprio quel 15 settembre 2014, quando decise che avrebbe giocato 5 tornei consecutivi tra Atp 250 e 500, regalandoci due finali di rara bellezza e intensità contro lo stesso avversario, Tommy Robredo, e meritandosi un doppio dito medio alzato, ironicamente, al termine del tie-Break del terzo set. È impossibile che quelle due finali non abbiano esaltato, come è impossibile e illogico che Murray non abbia suscitato emozione quando dal n.12 è balzato al n.6 durante il Master di Londra. Proprio nella sua Londra è arrivato devastato dal finale di stagione, giocando scarico e senza forze, ma avrebbe dato la vita anche solo per esserci. È inconcepibile che gli appassionati non riescano ad apprezzare un campione di siffatta levatura, uno che è riuscito a far scendere una lacrima anche a Ivan Lendl, dopo il successo di Wimbledon, e già solo per questo il ragazzo ha qualcosa di speciale.
Forse è il suo carattere a non ispirare, quel carattere fumantino che lo porta spessissimo a dire una parola di troppo, che lo porta a parlarsi addosso durante i match, che poco ha a che fare con la faccia pulita di un ragazzo dall’educazione fuori dal comune e dalla riservatezza rigorosamente british. O forse sono le 6 finali Slam perse? Ma ne ha comunque vinte due, più la medaglia olimpica, non può essere una questione di risultati, sono invidiabilissimi almeno per tutto il mondo in attività tennistica, tranne Federer Nadal e Djokovic. Anzi, Djokovic e Federer potrebbero invidiargli la Medaglia d’Oro Olimpica. Anche dal punto di vista della vita privata è invidiabile, una bellissima promessa sposa, simpatica e naturale come pochissime altre nel circuito.
Forse gli appassionati ne fanno una questione di tipologia di gioco, perché Murray è accusato, al pari di Djokovic e di Nadal, di essere monotono e di offrire poco spettacolo. Ma tra i tre citati, è sicuramente quello con più “mano”. Testimonianza ne sono le, poche a dire il vero, palle corte giocate, sempre precisissime, ma soprattutto i lob millimetrici con i quali viene fuori dalle situazioni di svantaggio con l’avversario a rete. Anche a rete Murray se la cava davvero bene, mostrando grande sicurezza e chiudendo punti facili. L’ultima ipotesi possibile è la classifica, perché lo scozzese è l’unico degli, ormai, ex Fab Four a non essere stato n.1 e ciò potrebbe delegittimare la sua immagine di campione agli occhi dei più.
Proprio sulla questione classifica, il 2015 può offrire la vera legittimazione di Andy Murray a campionissimo. Infatti, considerando che lo scozzese è già secondo nella Race, con 2500 punti circa e 1000 in più rispetto a Roger Federer, che difende ben 7500 punti da Montecarlo in poi. Oltretutto, Murray ha un ritardo di soli 2000 punti da Novak Djokovic, che ne difende 8500 fino a fine stagione ed ha sicuramente titoli più consistenti da riguadagnare rispetto agli Atp 250 e 500 che lo scozzese ha vinto nel finale di stagione. Ciò che si prevede, essendo la Race la vera proiezione di classifica, è un cambiamento nelle primissime posizioni, dalla prima alla quarta sono tutte in gioco, soprattutto se si considera gli scontri eventuali tra Federer e Murray come teste di serie 2 e 3 dei tabelloni Slam, mentre Djokovi, da n.1, avrà Nishikori. Qualcuno inneggiava al cambiamento, eccolo!
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