Personalmente penso che la situazione del tennis maschile italiano sia più rosea di quello che si pensi. Abbiamo alcuni ragazzi a ridosso dei primi cento, ed alcuni giovanissimi a ridosso dei primi duecento. Ma al di là del ranking quello che mi fa essere ottimista sono alcune sensazioni che colgo sul circuito Futures o che ho riscontrato quando sono stato ospite presso il centro federale di Tirrenia per alcuni allenamenti collegiali. Sensazioni che, prese nel loro complesso, testimoniano una nuova filosofia dei ragazzi italiani.
Il primo aspetto che mi piace sottolineare è che molti nostri giovani ci credono. Nel senso che realmente pensano di poter diventare dei professionisti ed hanno chiaro il percorso che devono fare. Non si pensi che tutto ciò sia scontato. Apro una piccola parentesi. Chiunque ha immediatamente chiaro in testa quale sia il percorso che si debba fare se, per esempio, si vuole diventare medico. Scuole superiori, università, specializzazione, eventuale master, esame di stato e così via. Ha anche una discreta idea delle materie che dovrà studiare e dei tempi che occorreranno. Nel tennis non è così. O meglio, tanti pensano di conoscere quale sia il percorso e cosa si debba ‘studiare’ ma poi nella realtà o hanno errate informazioni o si perdono in vicoli ciechi. È vero che non esiste una vera e propria ricetta per diventare dei professionisti, ma è assolutamente vero che esiste un percorso tecnico e agonistico che non può essere evitato.
Per intenderci: non si diventa un giocatore giocando solo tornei open, o giocando pochi Futures all’anno e solo se sono vicini a casa. Riguardo poi agli aspetti tecnici e quelli legati alla condizione fisica, possiamo dire che colpire bene la palla o essere veloci e resistenti per poter giocare un match, sono ormai requisiti che hanno la quasi totalità dei giocatori di un certo livello. Certo, spesso si possono limare alcuni particolari, ma la vera differenza, ad un certo livello, la si fa conoscendo il gioco. Che cosa fare, per quanto tempo farlo e soprattutto quando farlo sono i pilastri su cui costruire una prestazione. Navigando su internet sembra che il tennis sia diventato un gioco per circensi data la varietà e la fantasia di certi esercizi. Ma sono poche le informazioni circa l’importanza di ‘muovere’ il servizio o di variare la parabola o la profondità e pesantezza di un dritto, così come la rotazione, ed ancora altri aspetti. Ancor meno sulla continuità e consistenza della prestazione. Mentre è proprio la consistenza del proprio gioco, la continuità, la capacità di adattamento, e, cosa più importante di tutte, la capacità di interpretare il gioco moderno con le proprie caratteristiche ciò che fa di un tennista un potenziale professionista. Accanto a tutto questo c’è la necessità di rimanere indenni da infortuni ed essere veloci a recuperare. Ecco l’importanza di una preparazione fisica sempre più mirata e soggettiva. Oggi si parla di allenamento funzionale, si conoscono e si attuano diverse forme di prevenzione e di recupero, sia fisico che energetico. Senza parlare dell’allenamento mentale che ha un ruolo ormai determinante nella prestazione di un tennista.
Tornando quindi a quanto ho affermato all’inizio, cioè che sono tanti i ragazzi italiani che ci credono, questi sono ragazzi seri che cercano di mettere in pratica tutto ciò che può servire a realizzare il proprio progetto. Sono ragazzi che studiano. Spesso sono in giro da soli, e mi piace parlare con loro. È un ottimo termometro per verificare quanto sono focalizzati sull’obiettivo finale.
Uno di questi è sicuramente Andrea Vavassori che incontro qui a Sharm El Sheikh dove ha fatto finale di singolare e due finali di doppio.
Andrea, insieme a Donati, Napolitano, Sonego e a Camilla Rosatello fa parte di quel gruppo di ragazzi piemontesi nati nel 1995 che costituisce una parte importante del futuro del tennis italiano. Probabilmente hanno avuto un buon tecnico di macroarea quando erano più giovani. A parte gli scherzi chiariamo subito che mentre Donati e Napolitano hanno fatto spesso esperienze insieme fin dall’eta più giovane e hanno lavorato spesso insieme, Lorenzo e Andrea sono cresciuti in situazioni diverse: Lorenzo con il suo maestro di sempre, Gipo Arbino, e Andrea con suo papà che ha fatto il maestro per anni al TC Monviso e ora dirige la scuola tennis di Pinerolo.
Andrea ama giocare sulle superfici veloci. “Fin da piccolo passavo la domenica sul campo privato che avevo dai miei nonni. Era un campo in sintetico. Mio padre, da giocatore, era stato un esponente del serve and volley, quindi il mio destino era segnato“. Andrea è dotato di un ottimo servizio, che sa usare variando velocità e spin. Cerca spesso la rete sia col dritto, che è potente, sia col rovescio, che gioca a una mano, dove preferisce spesso la rotazione in slice. Forse questo è un po’ il suo punto debole perché non si fida a giocarlo più spesso in top o piatto. Ma mi confida che sta lavorando in questo senso. “Ho iniziato a giocare sui campi del TC Monviso dove mio padre lavorava con altri maestri. Poi cinque anni ci siamo spostati a Pinerolo dove mio padre dirige la scuola tennis. Ho finito le superiori e da un paio d’anni mi dedico completamente al tennis. Fin da piccolo ero tra i migliori della mia regione ed ho partecipato a tutte le manifestazioni organizzate dalla FIT. Mi è sempre piaciuto tantissimo giocare le gare a squadre. Ma non ho mai giocato più di tre, quattro volte alla settimana. Solo negli ultimi anni ho intensificato gli allenamenti con anche doppie sedute giornaliere. La mia carriera da junior non è stata esaltante nel senso che non ho conseguito grandi risultati. Per vari motivi, la crescita, l’impegno scolastico cui ho sempre tenuto molto, la difficoltà di viaggiare per tornei dato che l’impegno economico sarebbe stato troppo oneroso, non mi hanno permesso di mettermi in luce. Ma la mia passione e il mio impegno non sono mai mancati. Sono sempre stato molto serio. Anche il mio approccio al mondo professionistico è stato graduale. Ho dapprima cercato di avere il livello. Per questo motivo ho giocato molti open in regione. Solo quando ho cominciato ad avere il livello giusto mio padre mi ha spinto a giocare i primi future. Una cosa che mi ha dato fiducia è stato giocare e vincere alcuni tornei di doppio. Battere, seppur in doppio, alcuni giocatori più quotati di me è stata una bella iniezione di fiducia. Tra tutte sicuramente la più importante è stata la vittoria al torneo internazionale under 18 di Salsomaggiore. Mi piace giocare il doppio. È assolutamente un ottimo allenamento per il mio tennis e ho anche grandi soddisfazioni“.
Abbiamo poi parlato dell’approccio al mondo Futures. “Diciamo che non è stato facile. Il primo anno, due anni fa, ho superato le quali per sei volte ma non sono mai riuscito ad andare a punti. Poi ho conquistato il primo punto battendo un giocatore forte e mi sono sbloccato. Quest’anno ho fatto un buon salto in avanti. Ho anche giocato a livello Challenger dove ho superato le quali da una parte e dall’altra ho perso 76 al terzo in main draw disputando un ottima partita. Sono contento perché mi sembra di essere a livello di giocatori che hanno la classifica più alta della mia. Mi manca ancora l’abitudine a giocare certi match che si risolvono su pochi punti“.
Qui a Sharm ho visto giocare Andrea alcune partite e l’impressione è che sia dotato di una buona presenza agonistica nel senso che è sempre presente nel match ed ha chiaro quello che deve fare. Ha una buona identità di gioco e una sufficiente gestione delle emozioni. Un altro aspetto importante, sono i buoni rapporti con la Federazione: “Lo scorso inverno, in virtù dei risultati dell’anno precedente, sono stato convocato a Tirrenia per alcuni allenamenti. Ho iniziato quindi questo rapporto, soprattutto con Palumbo e Rianna, e mi trovo molto bene. La Federazione mi è stata vicina anche assegnandomi una WC al Challenger di Recanati e in generale mi ha seguito tutto l’anno. Adesso torno a casa e vado a Tirrenia per preparare gli ultimi Challenger della stagione che si giocano in Italia. Sicuramente questo nuovo progetto della Federazione che cura più da vicino gli over 18 è di fondamentale importanza per tutti noi. Personalmente penso che arrivare a Tirrenia a venti anni piuttosto che in età più giovane sia molto diverso. Si apprezza sicuramente di più non solo la struttura ma anche le competenze, che sono importanti. Penso e spero di essere presente spesso questo inverno a Tirrenia“.
Non solo tornei internazionali, ma anche competizioni a squadre. “Gioco per Pistoia, insieme a Gaio col quale abbiamo giocato qualche doppio, compreso il Challenger a Recanati. Siamo un bel gruppo. Quest’anno siamo saliti in A1 e quindi l’anno prossimo speriamo di giocare per piazzamenti importanti. Il mio sogno è giocare la Coppa Davis, quindi la gara a squadre ha un fascino del tutto particolare. E vorrei ringraziare il mio team che è formato da mio padre, il preparatore atletico Massimo Libardoni, il mental coach Gianfranco Santiglia, il responsabile delle attrezzature Paolo Moro e il mio fisioterapista Gabriele Scaglia“.