Nelle due settimane di uno slam possono capitare pomeriggi dove chi sta vivendo la prima grande annata della sua vita deve arrendersi a chi ha disatteso tutte le aspettative sulla propria stagione. Alexander Zverev vince nel “concerto d’apertura” a Nadal-Djokovic, lo fa facendo valere esperienza e perché no la classifica, in barba a chi troppo spesso si giustifica dicendo che il ranking non conti più nulla. Nelle quasi tre ore e mezza di gioco sono emerse le paure di entrambi i protagonisti, da qui è scaturito un match non particolarmente bello ma dal livello medio alto e deciso su quei pochi punti che fanno la differenza. Dovendo ricorrere ai punteggi della boxe, il primo set è l’unico chiaramente a favore di un contendente. In avvio Zverev è particolarmente solido ed intrappola l’avversario sulla diagonale del rovescio, dove incredibile ma vero può ancora avere margini di crescita. I campi di direzione e di ritmo sono mal calibrati in un avvio dove Alcaraz è visibilmente nervoso, tanto da scomporsi e cacciare un paio di urli che non appartengono al suo starter pack.
Per Alcaraz vale la regola Martina Trevisan: è sempre un quarto di finale ma è tutto diverso. Da New York a Parigi lo spagnolo ha alzato vertiginosamente il proprio livello e negli ultimi mesi si è preso gli scalpi più prestigiosi del circuito. Il team ha approcciato l’anno con cautela ma il filone Miami, Barcellona e Madrid, con la sola interruzione di Montecarlo, ha fatto emergere ambizioni più grandi. La rinuncia agli Internazionali BNL d’Italia ha messo le carte in tavola una volta per tutte e ha svelato l’obiettivo Roland Garros. L’ascesa del tennista classe 2003 è stata innaturale, senza battute d’arresto, quasi a voler smentire le attenuanti ai passi falsi di tutta l’ex Next Gen. Il primo grande bivio è stato fatale e non lo ridimensiona, anche perché in una giornata per lui opaca è stato ad un punto dal portare la sfida al quinto set. A fermarlo non uno qualunque, ma il numero tre del mondo, uno che sull’ostacolo slam ci ha sbattuto tante volte la testa.
Nell’approccio alla partita è naturalmente facilitato e ben motivato Zverev, che d’altronde dopo aver perso uno slam con due set di vantaggio in finale può avere paura di poco. I fantasmi lì vede nei momenti decisivi e gradualmente sembra fare sempre più fatica a gestirli. Se nel secondo set risolve un importante ultimo game, tenendo freddezza dopo due genialate di Alcaraz e non soffrendo il tifo a favore dell’iberico. Nel terzo set quando cede il game di battuta decisivo e nel quarto, quando nel decimo gioco serve ma non chiude per il match, Zverev cala evidentemente come percentuali ed accusa i colpi dello spagnolo che una volta svuotato della pressione ha saputo alzare il suo rendimento quando si è trattato di sopravvivere. Alla fine si rifà, tira fuori dal cilindro due prime nei momenti più importanti del tie-break e si prende la vittoria, vendicando quella finale di Madrid dove in condizioni a lui favorevoli si era arreso sugli strascichi delle polemiche per il poco riposo. La stretta di mano non ci insegna niente di nuovo. Alcaraz può perdere, ma ha un rendimento medio sempre più alto, sempre meno blackout e presto imparerà a gestire queste pressioni. I suoi avversari per tutta la carriera sarà comunque fenomeni di eguale caratura, in questo caso è stato un Alexander Zverev che in un anno pessimo fa finalmente valere l’esperienza ed i tanto decantati 25 anni.
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