di Sergio Pastena
La fine dell’anno per un appassionato di tennis non è un bel periodo: al di là della fisiologica sosta dicembrina, che rientra nella normalità dello sport, è proprio in quel periodo infatti che molti tennisti decidono di chiudere la propria carriera, e tra questi puntualmente c’è qualcuno che per un motivo o l’altro ti piaceva.
L’ultimo scorcio del 2009, ad esempio, mi ha visto sportivamente listato a lutto per l’addio del maghetto Santoro: in questi giorni nel 2010 sgranavo rosari aspettando l’ultima Sua apparizione agli Australian Open per deliziare noi comuni mortali. Ok, ok… magari ho un po’ enfatizzato, ma certo la cosa mi spiazzò: speravo di vedere il buon Fabrice farsi almeno un paio di anni di doppio prima di mollare. Quest’anno è toccata a Nicolas Kiefer: il lutto è minore, ne converrete, eppure mi dispiace. Mi dispiace perché Kiefer non era un tennista banale, per quanto lunatico ai limiti della psicanalisi. Partito in tromba, improvvisamente aveva sviluppato una vena imprevista da choker, termine che designa chi si ferma puntualmente a un metro dal traguardo. Ma andiamo con ordine.
Alto 1.83 per 80 chili di peso a regime, Kiefer aveva un dritto pesantissimo, e da un punto di vista estetico non è sempre un punto a favore se pensiamo a un Del Potro. Nel suo caso, però, la potenza si traduceva quasi interamente in forza perché il movimento era essenziale, elegante e fluido: Kiefer, in breve, riusciva a scaricare tutto sulla palla ed era anche bello da vedere. Non è cosa da poco se paragonato a fior di bombardieri che prima di impattare la palla ballano una macarena a mezz’aria disperdendo ovunque energia. Meno potente il rovescio, lato debole, ma il polso era di quelli buoni, almeno nelle giornate in modalità on.
Quello che si ricorderà di Kiefer, a parte il suo gioco, è la schizofrenia dei risultati: comincia a giocare seriamente nel circuito nel 1995, fresco diciottenne, e in due anni si trova nei 100. Il 1997 è un anno magico: prima giunge ai quarti di finale di Wimbledon, sbattendo fuori gente non da poco come Medvedev e Kafelnikov, poi nel giro di quindici giorni vince il suo primo torneo a Tolosa e fa finale a Singapore. Staziona nei primi 30 per un anno e poi, nel 1999, il salto di qualità: nell’ordine arriva in finale a Dubai, vince Tokyo, Halle e Tashkent e in mezzo ci infila una semifinale al Masters Series di Montreal. Finale a Vienna, entra nei 10, ad inizio 2000 replica i quarti di finale in Australia e subito dopo rivince Dubai. Numero 4 al mondo, 23 anni da compiere. A fine anno trionfa ad Hong Kong.
Ora, avessi chiesto all’epoca a qualche agenzia di scommesse a quanto mi quotavano l’eventualità che quella fosse l’ultima vittoria in singolare nel circuito maggiore di Kiefer, mi avrebbero riso in faccia… ma ora avrei un bel gruzzolo. Da quel momento, infatti, Kiefer ha collezionato dieci finali ed altrettante sconfitte combinando di tutto di più e raggiungendo anche una semifinale Slam, sempre in Australia, da numero 25 del mondo. Correva l’anno 2006 e Nicolas cercava, alla soglia dei 30, di riavvicinarsi ai primi 10: toccherà il numero 11 prima di rimediare un brutto infortunio e stare fermo un anno. Finito? Macchè. Torna facendo subito terzo turno a Wimbledon ed inizia un’inaspettata risalita, riuscendo persino a cogliere l’unica finale della sua carriera in un Masters Series, in Canada, grazie alla quale tocca il numero 20 in classifica. Quando la cambiale nel 2009 scade Kiefer si trova fuori dai 100… eppure quest’anno nel suo torneo di Halle non ha fatto da comparsa, sbattendo fuori Youzhny e arrendendosi a Beck in un match tiratissimo. Lo vidi, quell’incontro, e Kiefer non sembrava affatto in disarmo. Non immaginavo che potesse essere la sua penultima partita.
Auf wiedersehen, Nic.
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