di Fabio Colangelo (articolo in partnership con Tennis Italiano)
Nel ricco e fitto calendario dell’Atp, sembra aver trovato posto negli ultimi anni un appuntamento al quale a turno si presentano tutti i migliori giocatori. La data è variabile, ma solitamente il periodo preferito è quello post Us Open. Non stiamo parlando di un Atp 500 o di un masters 1000, ma delle lamentele dei top players riguardo al calendario, a loro dire troppo lungo e vincolante. In principio fu Safin a schierarsi apertamente contro la durata della stagione, che dopo il Master lascia ai giocatori “solo” 5-6 settimane di riposo prima della stagione australiana. L’anno scorso ci pensò Roddick a sollevare il problema, mentre quest’anno sull’argomento è intervenuto addirittura Nadal (spalleggiato da Djokovic).
Cerchiamo ora di capire di che cosa si lamentano i giocatori e cosa vorrebbero ottenere dall Atp, visto che tutti i migliori appoggiano più o meno apertamente la posizione del numero 1. L’ultimo torneo della stagione è il Masters 1000 di Bercy, solitamente collocato nella seconda settimana di novembre, dopo il quale i giocatori non impegnati al Master (o in finale di Coppa Davis) hanno quasi due mesi per ricaricare le pile e prepararsi alla stagione successiva. Chi partecipa alle World Tour Finals (i migliori, quelli che riempono gli stadi, attirano gli sponsor) invece hanno solo dicembre per riposare e allenarsi. Nadal lamenta anche l’obbligo (se non si vuole incorrere in uno 0 in classifica) di giocare tutti i tornei 1000 (escluso Monte-Carlo) e almeno due 500, cosa che impedisce ai giocatori di potersi prendere una pausa nell’arco della stagione.
Più riposo prima dell’Australia, e meno tornei obbligatori è quello che chiedono i top players. Osservando il calendario dell Wta (master conclusivo a fine ottobre), ci si chiede come l’Atp non riesca ad accontentare i giocatori che sono il traino del movimento. Dov’è il problema, direte voi? Basterebbe comprimere qualcosa, diminuire gli obblighi, e Rafa e compagnia sarebbero contenti. Il problema però è molto più complesso. Nel calendario attuale, gli unici periodi “morti” sono quelli tra gli Australian Open e Indian Wells e quello che separa lo Us Open a Shangai. Nel primo caso vediamo però che praticamente ogni settimana sono programmati tre tornei (Europa, Usa e Sud America), escludendo quindi qualsiasi tipo di intervento, mentre la trasferta asiatica (che pochi giocatori amano) è troppo importante per l’Atp per diversi aspetti. L’unica settimana che si potrebbe realmente “guadagnare” sarebbe quella successiva agli Us Open che vede due tornei (Bucharest e Metz) che per location e superficie potrebbero essere posizionati diversamente nel calendario, permettendo di anticipare il tour asiatico.
Non sarebbe neanche cosi facile diminuire il numero dei tornei obbligatori. Difficilmente organizzatori e sponsor sarebbero disposti ad investire certe cifre senza avere la certezza di poter contare su tutti i migliori. E guai a toccare i portafogli… Il problema quindi sembra di difficile soluzione. I continui viaggi e cambi di condizioni di gioco, cause della stanchezza dei giocatori a fine stagione, sono dovuti a quegli interessi economici che impediscono di trovare la giusta soluzione a un problema effettivamente reale. Però nessuno rinuncerà mai a determinate garanzie, e solo uno si chiama Federer (l’unico che può permettersi di decidere quando e dove giocare). La domanda pertanto è: a chi toccherà l’anno prossimo?
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