“Andrea Vavassori è la dimostrazione che per diventare campioni contano la persona, la famiglia, il lavoro, i valori, l’attitudine e sognare… giorno dopo giorno”. Ricevo questo messaggio, su Instagram, subito dopo la qualificazione ottenuta da ‘Wave’ per il tabellone principale di Wimbledon. A scrivermi è Simone La Pira, uno dei primi maestri (e amici) di Vavassori al Monviso Sporting Club. “Lavorare e rispettare se stessi e gli altri – aggiunge Simone – permette di superare tutti gli ostacoli”.
Avevo già deciso di scrivere un pezzo su Andrea, ma questo messaggio mi ha spinto a mettermi subito all’opera. Perché l’ultimo concetto, quello del rispettare se stessi e gli altri, è il punto cardine di Vavassori essere umano. Parliamo di una persona tanto educata quanto dedita al lavoro e appassionata; mai sentirete qualcuno lamentarsi di Andrea, assolutamente mai. Non si può non volergli bene. Potete chiedere a chiunque nel circuito.
È stato un onore per me, e non esagero, seguire i suoi match di qualificazione al Roland Garros. Era il suo primo Slam. All’esordio aveva superato il francese Hoang in tre set, con tutto il pubblico contro, e con il solo Davide (padre e allenatore) dalla parte di Andrea. Il tutto al rientro dopo un problema al gomito non di poco conto. Doveva essere il primo Slam in singolare e bisognava recuperare, lavorando, soffrendo, allenandosi e facendo tanta terapia. Prima del secondo turno Davide (a proposito, leggetevi il pezzo che ha scritto per Spazio Tennis) mi disse: “vedrai che tutti quelli che hanno tifato per Hoang oggi faranno il tifo per noi”. Ero un po’ scettico, anche perché il match si sarebbe giocato su uno dei campi più piccoli del Roland Garros, e invece aveva ragione lui. Un gruppo di francesi era lì, a tifare Wave.
Non si può non volergli bene. In quel match con Nino Serdarusic, perso 10-8 (da 6-8) al super tiebreak del terzo set, erano presenti sugli spalti Lorenzo Sonego e Gipo Arbino, Giulio Zeppieri e Giuseppe Fischetti. “Non sai quanto mi dispiace, mi viene quasi da piangere”, mi ha detto Peppe a fine match. Perché non si può non voler bene a Wave. “Forse potevo fare un serve and volley sull’8-6 – mi ha detto il giorno dopo Andrea – ma analizzando il match non posso rammaricarmi di nulla. Il mio avversario è stato più bravo e ha meritato”. Sempre lucido, Vavassori, sempre pronto a capire come e dove migliorarsi. Doppista di potenza e talento, singolarista atipico, tennista e persona di classe pura.
Eh si, perché poi c’è il tennis. Essere una brava persona è fondamentale, ma bisogna anche giocare bene. E il tennis di Vavassori, seppur molto rischioso, è uno spettacolo.
La conversazione parigina era proseguita così:
“Wave, secondo me puoi fare davvero bene nelle qualificazioni di Wimbledon. Hai mai giocato su erba?”
“No, mai”.
“Per me puoi fare comunque un grande torneo, hai le caratteristiche perfette per far impazzire tutti”.
E in effetti sono impazziti, nell’ordine: Klahn, Menezes e Kolar, che a Parigi aveva lottato alla pari con Tsitsipas al secondo turno del main draw.
Wave gioca un tennis difficile. E il lavoro per limare i dettagli, per migliorare giorno dopo giorno, sono forse ancor di più. Servizio, volée, slice di rovescio, drittoni, rovesci piatti in corsa. Tutti colpi migliorati allenamento dopo allenamento. Gli anni, appena compiuti, sono 27, ma ha tanto tennis ancor da farci vedere. Dal campo di Tetti Neirotti voluto dal nonno (che è venuto mancare pochi giorni fa), dove tutto è iniziato, a Wimbledon, il tempio del tennis. Andrea Vavassori non ha mai smesso di sognare e il sogno è divenuto realtà.
Se ne avete la possibilità, seguitelo; che sia dal vivo, in streaming, in tv. In uno Slam, in un ATP o in un challenger. In singolare o in doppio. Non ve ne pentirete.
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