Estratto dal libro ‘1976, Storia di un trionfo’ (ed. Ultra Sport, acquistabile QUI) di Alessandro Nizegorodcew e Lucio Biancatelli
Ma chi è Gigi Oliviero? E come si è ritrovato a Santiago del Cile al seguito della nazionale azzurra di Coppa Davis? Una famiglia di artisti, creativi, alla continua ricerca del bello e dell’innovazione. Nino Oliviero, padre di Gigi, è stato uno dei musicisti italiani più noti negli Stati Uniti, candidato all’Oscar nel 1964 con il famosissimo brano “More” per la colonna sonora originale del film ‘Mondo Cane’, nonché autore di numerose canzoni napoletane di successo. Gigi, ispirato dalla figura paterna, cresce e respira fin da ragazzo l’atmosfera del mondo dello spettacolo: è regista di film e documentari oltre ad essere diplomato in pianoforte al Conservatorio di Napoli. Esperto di riprese subacquee, si è specializzato negli anni anche nel settore del turismo, collaborando a lungo con la RAI. Negli anni ’70, dal nulla, racchette e palline entrano prepotentemente nella sua vita.
“Il mio rapporto col tennis è nato per puro caso – racconta Oliviero – grazie al mio amico Tonino Rasicci, all’epoca direttore della Scuola maestri della Federazione Italiana Tennis. Tonino mi propose di girare una sorta di enciclopedia tennistica che fosse in grado di raccontare e spiegare la disciplina tramite immagini. La prima puntata, dedicata al diritto, fu girata in 16 millimetri e distribuita in Super 8, che era l’unico formato utilizzabile, all’epoca, per riprodurre i video in casa”. È il 1976, Oliviero ha 30 anni, e il destino vuole che proprio in quel periodo stia per capitare un’occasione unica per il mondo del tennis italiano: la finale di Coppa Davis a Santiago del Cile. La RAI non avrebbe mandato le proprie telecamere “così decidemmo di sfruttare questa imperdibile opportunità e recarci in Sudamerica. Le spese da affrontare, tra viaggio, vitto, alloggio e attrezzature, erano davvero elevatissime e alla fine fui solo io a partire”. Oliviero porta con sé la fidata (ma pesantissima) cinepresa Arriflex, con tanto di cavalletto, e solamente 1.000 metri di pellicola. “In pratica avremmo avuto la possibilità di girare immagini per un totale di un’ora e mezzo. Il mio compito era particolarmente arduo, ma allo stesso tempo ricco di adrenalina, poiché non potevo sprecare un singolo minuto di pellicola. Ricordo che rimasi venti minuti per decidere se riprendere o meno un giardiniere che stava lavorando nei pressi dei campi di allenamento”.
Dopo 24 ore di viaggio è finalmente l’ora di atterrare a Santiago del Cile. L’impatto con la popolazione, soggiogata ormai da 3 anni di dittatura del generale Augusto Pinochet, fu traumatico. “Il tassista che mi portò dall’aeroporto all’albergo, appena saputo che ero un giornalista italiano, iniziò a raccontarmi dei massacri perpetrati verso il popolo cileno, della situazione drammatica che stavano vivendo dal 1973, pregandomi poi di raccontare tutto ma solamente una volta tornato in Italia. Se avessi parlato prima, mi spiegò, lo avrebbero fatto sparire. Nei suoi occhi leggevo il terrore più puro”. Santiago del Cile accoglie la squadra azzurra e i giornalisti al seguito come nulla fosse, cercando, anzi, di far apparire la città per ciò che non era: sicura, tranquilla, serena. “Vivevamo nel quartiere più bello, serviti e riveriti, ma tutti noi cogliemmo il momento disperato di Santiago e il grido d’aiuto, soffocato, del popolo cileno”. Oliviero segue i giocatori, Belardinelli, Pietrangeli e le relative compagne in ogni momento della giornata, dalla colazione sino agli allenamenti, passando per i simpatici siparietti nella piscina dell’hotel che, essendo periodo natalizio, vede troneggiare un abete finemente addobbato a festa. Ma la curiosità è tanta e una sera, chiacchierando con alcuni giovani del luogo, Oliviero decide di lasciare l’albergo per cena. “Ero riuscito, non so come, a ‘rimorchiare’ una ragazza cilena di una bellezza incredibile, un vero capolavoro. Mi passò a prendere la sera, insieme alla madre e alla sorella minore, con un’automobile lussuosissima. Mi dissero di portare un mio amico per non lasciar sola l’altra ragazza e, dopo una conta tesissima, la riffa fu vinta da uno spagnolo. Non mi pareva vero, sembrava tutto così semplice”. Pochi istanti dopo essere saliti in macchina la ragazza si rivolge a Oliviero: ‘Adesso andiamo a casa così ti presento mio papà’. “E io che volevo solamente andare a cena fuori, mi ritrovai quasi promesso sposo. La casa di questa famiglia era in quella che potremmo definire la ‘Santiago bene’ e il padre, amante della musica napoletana, si innamorò di me quando scoprì che alcuni dei suoi dischi preferiti erano di mio padre. Poco dopo accompagnò noi quattro ragazzi in un locale dicendoci che sarebbe tornato a prenderci alle 2, dato che alle 2.30 sarebbe scattato il coprifuoco”.
Mentre Mario Giobbe urla in radiocronaca ‘Momenti di emozione a Santiago, l’Italia ha vinto la Coppa Davis!’, Oliviero si precipita in campo per riprendere le immagini del trionfo, noncurante di aver lasciato la sua macchina fotografica Laica ed altri oggetti sulle tribune. “I cileni sono simili ai miei concittadini napoletani. Pensai: e adesso che ci ritrovo? Mi catapultai ugualmente in campo, perché non sarò il miglior ‘cinematografaro’ del mondo, ma di sicuro sono uno vero. Scavalcavo le reti, mi precipitavo ovunque vi fosse una scena importante da riprendere, per fermarmi dovevano spararmi con una 44 magnum”. Sulle immagini dei festeggiamenti si perdono le note di ‘Je M’en Fu’, altro brano di Nino Oliviero tratto dalla colonna sonora di ‘Mondo Cane’, e scorrono i titoli di coda. Gli occhi di Gigi sono emozionati ed emozionanti, lo sguardo è vivo e allo stesso tempo assorto, come se per alcuni istanti fosse tornato lì, all’Estadio Nacional, ad inseguire i giocatori, a “rubare” momenti di vita e di storia a quei quattro grandissimi campioni. “Sicuramente non è stato il lavoro più importante della mia carriera – chiosa Oliviero – ma questo film rappresenta un momento indimenticabile, un pezzo di cuore, che porterò con me per sempre”.
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