I primi due set e mezzo della finale hanno visto Nadal giocare contro un muro; quello stesso muro che Rafa ha rappresentato per i suoi avversari (Roger Federer in primis) per 15 anni. Sembrava quasi di vedere qualche vecchio Federer vs Nadal con lo spagnolo, però, travestito (per esigenza) da Roger e Medvedev nel ruolo dello spagnolo.
Nonostante un match tatticamente impeccabile di Nadal, che ha mischiato le carte come (forse) mai fatto in carriera, Medvedev si è portato due set a zero a suon di passanti decisivi (come sopra, Federer vs Nadal a ruoli invertiti). Nel terzo, però, avanti 0-40 sul servizio di Rafa, Medvedev ha commesso un peccato tutto tranne che veniale. Credere, consciamente o inconsciamente è irrilevante, di aver vinto. Due game pessimi. Linfa vitale per un campione come Rafa, che una volta impattato sul 3-3 nel terzo ha trovato energie che, forse, nemmeno pensava di avere.
Ed è qui che Nadal ha vinto contro se stesso anche in un secondo modo: sconfiggendo quel fisico da trentacinquenne pieno di acciacchi, che nei match precedenti era stato costretto a prendersi pause (lunghe con Shapovalov, più brevi contro Berrettini) pur di ritrovarsi e vincere. In finale Nadal ha ritrovato anche il proprio fisico da gladiatore, impossibile da scalfire anche dopo 5 ore di battaglia, per sfiancare un avversario di 10 anni più giovane.
Nel quinto set Rafa, comprensibilmente stanco (meno del suo avversario) ha tirato fuori tutti i colpi (almeno una volta) che lo hanno consacrato al gotha del tennis. Tutti, nessuno escluso.
Nadal ha vinto gli Australian Open, Slam numero 21, sconfiggendo tutto e tutti. Andando oltre i propri limiti, come sempre.
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