Come un uragano, uno di quelli americani ai quali da sempre gli specialisti di settore affibbiano nomi di persone. ‘Uragano Amanda’. Suona bene, no? Amanda Anisimova è agli ottavi di finale degli Australian Open per la seconda volta nella sua giovanissima carriera. La statunitense ha battuto l’ex numero 1 del mondo, Naomi Osaka, 4-6 6-3 7-6. Ora se la vedrà con l’attuale numero 1 del mondo, l’imbattibile (o quasi) Ashleigh Barty.
Con il successo sulla giapponese le vittorie consecutive di Anisimova sono diventate otto. Ha iniziato la stagione vincendo il Wta 250 di Melbourne e non si è più fermata. Lo zampino di Darren Cahill, che da poche settimane collabora con la ventenne del New Jersey, c’è e si vede. È innegabile, allo stesso modo, che lo storico coach di Simona Halep non possa aver fatto miracoli in così poco tempo. Cosa è successo allora?
Amanda Anisimova ne ha passate tante per essere una “ragazza del 2000”. Dalla morte del padre all’involuzione improvvisa di un gioco che tre anni fa sembrava davvero potesse farla decollare. Con Osaka è stata in campo due ore e diciotto minuti. È partita sotto nel punteggio, è rimasta attaccata al match, non ha mai mollato. Ha salvato due match point da veterana, lasciando increduli tutti coloro i quali (sottoscritto compreso) erano pronti ad attendere un doppio fallo. Una resa incondizionata per scappare via subito, il più velocemente possibile. Nossignore. Ha continuato a giocare e lo ha fatto alla grande, colpendo la palla con la ‘pulizia’ della fuoriclasse.
Ha vinto, Amanda. Nessuno farò drammi, ora, se dovesse arrivare una sconfitta con Barty. Il 2022 è appena cominciato e meglio di così era davvero impossibile.
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