di Remo Borgatti
Il tentativo di capire se sia corretto parlare di crisi (irreversibile, secondo alcuni) del doppio, analizzandone l’evoluzione (o involuzione) attraverso gli albi d’oro dei tornei dello Slam e comparandoli con gli stessi relativi al singolare, non ha dato i frutti sperati.
Abbiamo visto che, in campo maschile, dal dopoguerra fino a metà circa degli Anni Settanta quasi tutti i singolaristi giocavano con eccellenti risultati anche in doppio e viceversa. Poi, questa tendenza è venuta rapidamente meno fino alla situazione attuale in cui pochi frequentatori del circuito di singolare si avventurano in doppio e praticamente nessun doppista di valore ha una classifica in singolare.
Perché?
C’è chi sostiene che, per questioni di sponsor, soldi e fama, il doppio non attiri i migliori tennisti in circolazione, che riservano così le loro attenzioni al singolare. Un tempo, almeno fino al primo decennio dell’Era Open, i montepremi dei tornei erano piuttosto ridotti e dunque conveniva a tutti cercare di raggranellare qualche centinaio di dollari in più giocando anche il doppio.
E’ anche vero che, fino al 1974 compreso, tre dei quattro maggior tornei si disputavano sull’erba e la propensione offensiva dei tennisti rendeva gli stessi maggiormente predisposti al doppio. Non che, già a quel tempo, mancassero gli specialisti: Hewitt-McMillan e Gottfried-Ramirez, tanto per fare quattro nomi, spesso battevano le coppie formate dai migliori singolaristi dell’epoca.
L’evoluzione delle superfici, dei materiali e della preparazione fisica ha successivamente decretato la divisione netta tra i due circuiti, salvo qualche eccezione. John McEnroe è stato l’ultimo a diventare numero uno in entrambe le specialità e da allora sono trascorsi quasi trent’anni. Altri numeri uno che hanno ottenuto qualche risultato in doppio sono stati Edberg, Wilander, Rafter e Hewitt così come si contano sulle dita di una mano i doppisti in grado di ben figurare anche in singolare (Bjorkman, i Woodies, Mirny: tutti numeri uno di specialità e top-20 in singolare)
Del resto, se il serve-and-volley è diventato merce rara e chi lo pratica va incontro di sovente a severe lezioni, come si può pretendere che un doppista si ritagli uno spazio anche in singolare? Qualcuno ci prova con una certa continuità (Llodra, Isner, Querrey, Feliciano Lopez) ma i risultati rimangono modesti.
Lo scenario cambia radicalmente in campo femminile.
Qui, dal 1950 a oggi, è cambiato ben poco anche se una certa tendenza alla specializzazione non manca. Fino a Martina Navratilova, tutte le più grandi giocatrici vincevano sia in singolare che in doppio: da Maureen Connolly a Margaret Smith Court, da Billie Jean King a Evonne Goolagong, Da Virginia Wade a Rosie Casals, da Chris Evert alla stessa Navratilova e ancora Steffi Graf, Arantxa Sanchez, Martina Hingis, Lindsay Davenport e le Williams, che sono tuttora le numero uno mondiali.
Non sono mancate nemmeno qui le eccezioni. Tracy Austin, Monica Seles, Jennifer Capriati e Justine Henin non hanno quasi mai giocato il doppio, così come alcune tra le migliori specialiste hanno dominato la scena senza eccellere in singolare (Shriver e, soprattutto, la coppia Gigi Fernandez-Zvereva).
Attualmente, insieme a tenniste che praticano solo il doppio (Cara Black, Liezel Huber, Rennae Stubbs, Lisa Raymond) ce ne sono molte altre che vincono in entrambe le specialità: oltre alle sorelle Williams, la nostra Pennetta e l’argentina Dulko, Samantha Stosur, Nadia Petrova, Maria Josè Martinez Sanchez, qualche anno fa Dementieva e Kuznetsova e la lista potrebbe allungarsi.
Allora, perché questa differenza tra uomini e donne? Cosa spinge le ragazze ad impegnarsi anche in doppio e gli uomini a disertarlo per lasciarlo agli specialisti di settore? Nei tornei dello Slam, una risposta può essere la diversa lunghezza dei match (tre set su cinque e due set su tre, con maggiore dispendio fisico da parte dei maschi) ma non credo sia solo questo il motivo. Forse è dovuto alla tipologia di gioco applicata al doppio. In campo maschile infatti è più importante essere buoni giocatori di volo per affrontare il doppio, requisito non indispensabile invece nel femminile. Non è un caso che le uniche vere attaccanti dell’Era Open siano state la Navratilova e Jana Novotna.
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