Se il termine melting pot necessita, nel tennis, di una collocazione geografica, ebbene attualmente il luogo in questione non può che essere il Canada. Trascorsi pochi giorni dalla settimana in cui la nazione della foglia d’acero ha rinnovato l’ultracentenario appuntamento con il proprio Open sull’asse Montreal-Toronto, proviamo ad analizzare la situazione di un movimento che non ha ancora piantato la bandierina su uno slam al singolare ma sente ormai prossima la sua prima volta.
IL PASSATO – In realtà, quando il Canada fa il suo debutto in Coppa Davis una vera e propria bandiera ancora non ce l’ha. Nel 1913 infatti, sul palazzo del parlamento a Ottawa sventola la Union Jack inglese mentre il team di Robert Powell e Bernard Schwengers batte proprio in Inghilterra sia il Sudafrica che il Belgio prima di arrendersi ai più blasonati Stati Uniti. Questa volta, però, il buongiorno non si vede dal mattino perché a tale positivo esordio il Canada fa seguire una sequela di risultati negativi che si interromperà solo quando il mondo è completamente cambiato, dopo due conflitti planetari. Fino al 1966, infatti, i nordamericani collezionano sconfitte con tutti gli avversari tranne Cuba e Messico. Eppure, per un decennio tra le due guerre, hanno potuto schierare Jack Wright, il primo tennista canadese di un certo rilievo, capace di vincere qualche incontro agli US Championships. Sfumata l’occasione di battere l’australiano Gerald Patterson nel 1925 (era avanti due set a zero), due anni dopo Wright ottiene una vittoria importante sul giapponese Takeichi Harada, già n°7 del mondo secondo l’autorevole Wallis Myers del Daily Telegraph, ma tutto questo non aiuta più di tanto la causa nazionale in quanto la squadra non riuscirà a vincere due incontri consecutivi fino al 1953 e, più in generale, dovrà attender addirittura il 1970 per far segnare il primo successo di una certa importanza, ovvero il 3-2 ottenuto sulla terra del Canoe Club di Winnipeg ai danni della Nuova Zelanda.
In quella occasione il contributo più importante viene da Mike Belkin, uno che è stato anche n°7 tra i dilettanti e nel 1968 ha raggiunto i quarti nell’ultima edizione degli Australian Championships, che diverranno open nella stagione successiva. L’exploit non invertirà la rotta della nazionale che adesso è rappresentata dalla Maple Leaf (foglia d’acero, è così che viene chiamata la caratteristica bandiera canadese) ma subirà ben otto sconfitte consecutive ad opera del Messico. Il 1990 è l’anno della svolta. In gennaio, la coppia formata da Grant Connell e Glenn Michibata raggiunge la finale nel doppio maschile agli Australian Open; i due sono anche grandi protagonisti nella tripletta che promuove il team di Davis nel World Group e giocheranno insieme ben 16 finali nel circuito, vincendone però solo un quarto. Singolaristi con best-ranking nei 100 (48 Michibata, 67 Connell), Glenn e Grant sciolgono la coppia alla fine del ’92 e a beneficiare maggiormente del divorzio sarà Connell che, in coppia con Galbraith, giocherà due finali consecutive a Wimbledon (93/94) perdendole entrambe contro i Woodies. Il 29 novembre 1993, Grant Connell conquista la leadership nel ranking di doppio e la terrà per 17 settimane; prima di lui, nessun canadese era stato così in alto in classifica.
Nel frattempo, però, il Canada è di nuovo nei guai in Davis Cup. Mantenuto il World Group nel ’91 dopo un complicato spareggio con Cuba, nelle due stagioni successive arrivano altrettante retrocessioni e si dovrà attendere il 1995 per risalire in G1. Oltre all’esperto Connell, la squadra capitanata da Louis Cayer può contare sull’apporto di due giovani che faranno la storia del tennis canadese: Lareau e Nestor.
Nato a Montreal il 27 aprile 1973, dall’inizio del ’96 Sebastien Lareau trova nello statunitense Alex O’Brien il compagno di doppio ideale e al secondo torneo insieme i due raggiungono la finale degli Australian Open, battuti da Edberg e Korda. Dopo aver perso due finali importanti contro Woodbridge/Woodforde (il Masters ad Hartford e di nuovo a Melbourne), Lareau e O’Brien non si danno per vinti e il lungo inseguimento viene coronato con la vittoria agli US Open 1999: è il primo di sedici (finora) major finiti nella bacheca del tennis canadese ma Sebastien non si ferma lì e nel 2000, insieme a Daniel Nestor, conquista la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Sydney. Purtroppo, il giorno dopo il trionfo il Canada è in lutto per la morte di Pierre Trudeau, che fu primo ministro del paese per oltre tre lustri dal 1968 al 1984.
Aperta la strada dal connazionale, Nestor ne amplifica la portata e, nel corso di una carriera lunghissima che lo porterà a giocare fino ai 46 anni, diventerà il tennista più titolato della nazione. Nato a Belgrado come Danijel Nestorovic nel 1972, si trasferisce in Canada all’età di 4 anni e modifica nome e cognome. Anche se sarà il doppio a regalargli gioie, record e quattrini, il mancino tutto servizio e volee si ritaglia più di un momento di gloria anche in singolare. Come la vittoria al quinto set sull’allora numero 1 del mondo Stefan Edberg in un Canada-Svezia di Davis giocato al Pacific National Agrodome di Vancouver all’inizio del ’92; appena 19enne e debuttante nella competizione, Daniel ripaga la fiducia riposta in lui dal capitano Lamarche e arriva anche a condurre 2-1 su Gustafsson nel quinto e decisivo match prima di cedere 6-4 al quinto e veder sfumare così la clamorosa impresa di eliminare la fortissima squadra scandinava.
Sempre in Davis, sul rapidissimo Taraflex del Corral at Stampede Park di Calgary, nel 2003 Nestor vince un’altra maratona contro il brasiliano Kuerten ma ormai, a quel tempo, da solo Daniel gioca solo per la nazionale mentre in doppio è all’inizio di una carriera che, per brevità, riassumeremo nei suoi numeri più significativi: 108 settimane da n°1 della specialità, 151 finali nel circuito (91-60), 17 negli slam (8-9), 9 nel misto (4-5), 6 al Masters (4-2) e 47 nei Masters 1000 (28-19), 1062 incontri vinti. I suoi compagni di viaggio più importanti sono stati Mark Knowles, Nenad Zimonjic e Max Mirnyi; insieme ai gemelli Bryan condivide il primato di aver vinto almeno una volta tutti i “big titles” comprese le Olimpiadi. Insomma, su Nestor si potrebbe scrivere un libro. Con lui, ritiratosi alla fine del 2018 dopo aver affrontato quattro generazioni di avversari, si chiude il passato del Canada al maschile.
Quello al femminile invece inizia in pratica con Jill Hetherington. Nata a Brampton, sulle rive dell’Ontario, Jill ha portato il Canada in una finale slam per la prima volta in assoluto: accadde nel 1988 a Flushing Meadows in coppia con la statunitense Patty Fendick ma Gigi Fernandez e Robin White le negarono la gioia del titolo. Nello slam successivo le due ci riprovarono e riuscirono a portarsi avanti di un set al cospetto delle (quasi) invincibili Navratilova/Shriver ma alla lunga furono sconfitte. Vincitrice di 14 titoli in doppio e 1 in singolare (sempre nell’88 a Wellington, travolgendo in finale la Adams con un doppio 6-1), la Hetherington ebbe una terza occasione di iscriversi all’esclusivo “slammer club” al Roland Garros del 1995, quando giocò la finale del torneo di misto insieme al sudafricano John-Laffnie de Jager. Anche quella volta, però, venne respinta a un passo dal trionfo stavolta per mano di Larissa Savchenko e Todd Woodbridge.
In realtà, prima della Hetherington, il Canada ebbe la sua prima top-10 mondiale nella giovanissima Carling Bassett, che raggiunse i quarti agli Australian Open 1983 quando aveva compiuto da poco sedici anni e l’anno dopo ottenne il suo miglior risultato slam con la semifinale agli US Open. Divisa tra la carriera di tennista e quella di modella, Carling lavorò anche per la famosa agenzia fondata da Eileen Ford e il 4 marzo 1985 raggiunse il suo best ranking al n°8 ma nel 1988 decise di abbandonare il tennis per dedicarsi completamente al marito (il doppista americano Robert Seguso) e alla famiglia. In realtà, si seppe solo più tardi che, oltre a lottare con le avversarie, la Bassett dovette convivere per diversi anni con la bulimia, vinta solo dopo il definitivo ancorché prematuro ritiro dalle competizioni.
Un’altra malattia, forse ancor più grave, è quella che ha dovuto debellare “Hurricane” Helen Kelesi, finalista a Roma nel 1988 (sconfitta da Gabriela Sabatini) una settimana dopo aver trionfato a Taranto. Due volte nei quarti al Roland Garros (nello stesso anno e in quello successivo, al termine del quale raggiunse il suo best-ranking al n°13 WTA), fu costretta ad interrompere la carriera nel 1995 a causa di un tumore al cervello che la mise in pericolo di vita. Sconfitta la malattia dopo numerosi interventi, Helen si è dedicata all’insegnamento delle giovani leve.
Era già canadese, nel 1995, Patricia Hy – coniugata Boulais, nata in Cambogia ma rappresentante di Hong Kong fino a tutto il 1987 – quando sconfisse una dietro l’altra Sviglerova, Wiesner, Capriati e Sukova e conquistò i quarti di finale agli US Open, battuta da Monica Seles. In quegli anni il team canadese di Fed Cup scese piuttosto repentinamente dal World Group al G1 e quando, finalmente, tornò al WG2 (2006) i volti delle protagoniste biancorosse erano cambiati. Tanto per restare in tema di mescolanze geografiche, la nuova stellina canadese è nata a Montreal da genitori polacchi; si tratta di Aleksandra Wozniak. La prima nativa del Quebec a vincere un titolo WTA (accadde a Stanford e fu l’unico della sua carriera) ebbe un ottimo rendimento nella maggiore competizione a squadre femminile, vincendo 40 dei 52 incontri sostenuti.
La Wozniak fece parte della squadra che tornò tra le prime 8 del mondo battendo nel 2014 sia la Serbia che la Slovacchia; insieme a lei c’erano, oltre a Sharon Fichman (campionessa juniores in doppio sia agli Australian Open che al Roland Garros nel 2006, insieme alla Pavlyuchenkova), le due giocatrici che, sia pur ancora in attività, si sono già meritate un posto nell’olimpo del tennis femminile canadese. Ma di loro parleremo nel prossimo capitolo.
IL PRESENTE – Perché, pur con differenti prospettive, sia Eugenie Bouchard che Gabriela Dabrowski rappresentano il ponte ideale che unisce il passato al presente e, forse, quest’ultimo al futuro. Anche se negli ultimi tempi si è fatta apprezzare più per la sua attività sui social che per i risultati ottenuti sul campo di gioco, “Genie” resta tuttora la prima e unica canadese ad aver giocato una finale slam. Accadde a Wimbledon (dove due anni prima aveva conquistato il titolo juniores) nella sua stagione migliore, il 2014, in cui arrivò anche in semifinale a Melbourne e Parigi oltre a far registrare la miglior classifica mai raggiunta da una giocatrice del suo paese, ovvero il quinto posto. Purtroppo, nel 2015 l’infortunio agli addominali e una caduta negli spogliatoi a New York rappresentano tegole che si aggiungono alle frequenti sconfitte e al conseguente scivolamento nei bassifondi della graduatoria. Quella che poteva sembrare una pausa fisiologica dovuta alla giovane età – e successiva agli eccellenti risultati conseguiti nell’anno precedente – si trasforma ben presto in un trend negativo dal quale la 25enne di Montreal non si è ancora ripresa.
Sta invece attraversando un ottimo momento Gabriela Dabrowski, la prima e unica donna ad aver vinto un major per il Canada. Di padre polacco (come Caruso Paskoski), Gabriela continua a giocare anche il singolare pur essendo una doppista di assoluto livello. “È con il doppio che ho realizzato i miei sogni, ovvero giocare i tornei più importanti e qualche volta vincerli” ha affermato la 27enne di Ottawa, campionessa nel Mixed Doubles sia al Roland Garros 2017 (torneo nel quale ha giocato anche le due finali successive, perdendole) che agli Australian Open 2018. Nel primo caso ha fatto coppia con Rohan Bopanna, nel secondo con Mate Pavic. Dopo aver cambiato diverse compagne, dalla primavera del 2017 ha iniziato a fare coppia (quasi) fissa con la cinese Yifan Xu e i risultati si sono visti fin dal primo torneo con l’inaspettata vittoria a Miami battendo in fila le teste di serie n°2 Makarova/Vesnina, n°4 Hlavackova/Peng e, in finale, le n°3 Mirza/Strycova. La ceca si sarebbe poi vendicata con gli interessi battendo Dabrowski/Xu a Pechino 2018, Madrid e – soprattutto – Wimbledon 2019.
Al momento in cui scriviamo, sono sei le giocatrici canadesi classificate nelle prime 300 del mondo; tre di queste, data la giovane età, le prenderemo in considerazione nel capitolo riservato al futuro. Le altre sono, oltre alla già citata Bouchard, Rebecca Marino e Francoise Abanda. La prima ha avuto un best-ranking di n°38 con una finale persa a Memphis nel 2013 quale miglior risultato e una carriera interrotta per quattro anni a causa dei ripetuti episodi di cyberbullismo di cui è stata fatta oggetto. Rientrata nel 2018 dalla porta di servizio, ha scalato la graduatoria frequentando il circuito ITF e adesso è n°172. Non ha invece fin qui mantenuto le promesse la Abanda, figlia di immigrati camerunensi che nel 2017, ventenne, superò le qualificazioni e vinse un match nel main-draw sia a Parigi che a Wimbledon e raggiunse la posizione n°111 in graduatoria; adesso è 224.
Tornando ai maschi, anche in questo caso il presente e il futuro si intrecciano in diversi protagonisti. Tuttavia, ancora oggi il miglior canadese in classifica è Milos Raonic. Quando vi è nato, nel 1990, l’attuale Podgorica si chiamava ancora Titograd e il Montenegro faceva parte della Jugoslavia. Da allora molto è cambiato sia per la città che per Milos, emigrato insieme ai genitori in Canada nel ’94, precisamente a Brampton, sulle rive dell’Ontario. L’attuale n°19 ATP è stato anche n°3 alla fine del 2016, anno in cui raggiunse la finale a Wimbledon a spese di Federer, per poi perdere con Murray. Collocabile nella categoria dei bombardieri, Raonic basa il suo gioco su servizio e dritto mentre ha nel rovescio e nella mobilità i suoi punti deboli. Poco assistito da un fisico che stenta a reggere le sollecitazioni (in particolare la schiena, motivo per cui anche qualche giorno fa ha dovuto ritirarsi proprio a Montreal), Raonic ha disputato in carriera 22 finali nel circuito perdendo le più importanti (oltre a Wimbledon, anche quelle dei 1000 di Montreal 2013, Bercy 2014 e Indian Wells 2016) ma vincendone tre consecutive a San Josè, dove nessuno nella storia ha fatto meglio di lui.
Tralasciando i giovanissimi, che rivedremo tra qualche riga nella sezione dedicata al domani, gli altri canadesi presenti nel ranking sono Peter Polansky, Steven Diez e, soprattutto, Vasek Pospisil, scivolato oltre duecentesima posizione a causa di un infortunio e protagonista a Washington nel 2014 della prima (e finora unica) finale tutta canadese nel circuito maggiore, persa con Raonic. Figlio di esuli cecoslovacchi, si è iscritto alla storia di questo sport vincendo insieme a Jack Sock il doppio a Wimbledon nel 2014, al termine di una spettacolare finale chiusa 7-5 al quinto nei confronti dei gemelli Bryan.
IL FUTURO – Se non ora, quando? Domani! Eh sì, il domani del tennis, stando alle attuali indicazioni, parlerà la lingua poliglotta del Canada. Frutto di un lavoro attento e certosino portato avanti negli ultimi anni, il serbatoio canadese sembra poter sfornare campioni a ripetizione. Anche se l’esperienza insegna che non sempre la precocità è sinonimo di conferma, quando alla qualità si unisce la quantità è più probabile che arrivino i successi.
I giocatori che abbiamo trascurato di approfondire nel presente sono Felix Auger-Aliassime e Denis Shapovalov. Insieme ai successi ottenuti a livello juniores, nel 2015 Felix è diventato il più giovane tennista nella storia a qualificarsi per il main-draw di un torneo challenger: è successo a Drummondville, quando Auger-Aliassime aveva poco più di 14 anni e mezzo. Campione juniores a New York nel 2016, l’anno dopo ha iniziato a frequentare con assiduità il circuito minore alzando subito i trofei challenger di Lione e Siviglia. Il debutto ATP è avvenuto con la contrastata sconfitta per mano di Krajinovic al primo turno del 500 di Rotterdam 2018, torneo che avrebbe restituito a Roger Federer (con cui Felix condivide il giorno e il mese di nascita) la prima posizione mondiale. Chiusa la stagione con un bilancio di 6-10 e altri due challenger in bacheca, in quella attuale il figlio di Sam – originario del Togo – e di Marie Auger è letteralmente esploso facendo registrare un altro record piuttosto indicativo, ovvero il più giovane tennista di sempre finalista su tre diverse superfici: Rio de Janeiro (terra), Lione (duro) e Stoccarda (erba). Poco conta che le abbia perse, qui si respira aria di futuro numero 1 del mondo.
Lo stesso si diceva, un paio di anni fa, del biondo Shapovalov. Nato a Tel Aviv da genitori russi ma trasferitosi con la famiglia in Canada ancora neonato, Denis ha avuto nella madre la prima allenatrice e nelle semifinali dei tornei 1000 le pietre miliari che hanno scandito fin qui la sua ascesa in classifica. Con la prima, a Montreal 2017, è entrato di gran carriera nei primi 100; con la seconda, a Madrid 2018, è salito al n°29, mentre quest’anno, pur facendo registrare una flessione nella continuità dei risultati, ha toccato la ventesima piazza dopo la sconfitta con Federer sempre nelle semifinali a Miami. Da allora il ventenne con il rovescio al fulmicotone ha fatto registrare una flessione piuttosto importante con dieci sconfitte nelle ultime tredici partite disputate ma non si deve avere fretta perché il talento non manca e l’età (20 anni) è dalla sua parte.
Si è limitato invece a un solo titolo challenger il 25enne Filip Peliwo che, da juniores, mise a segno la doppietta Wimbledon-US Open nel 2012. Il Canada spera che non segua la stessa strada Liam Draxl, n°11 del ranking juniores e recente finalista in doppio a Wimbledon. Oltre a lui, nei primi 50 juniores del mondo c’è anche Taha Baadi, classe 2001 e nato in Marocco ma di nazionalità canadese.
Se il settore maschile ha buone prospettive, quello femminile sta vivendo un momento magico. Abbiamo volutamente spostato qui Bianca Andreescu perché, pur essendo più che mai il presente dopo i numeri clamorosi fatti registrare in questo 2019 (ha scalato finora 138 posizioni – da 152 a 14 – ha vinto Indian Wells e Toronto e ha un record di 38-4), ha appena 19 anni; dotata di grande personalità e con un bagaglio tecnico di prim’ordine, la rumena di origine non sembra affatto una meteora e non è azzardato ipotizzarla nelle prime 10 alla fine della stagione.
Ma non c’è solo Bianca. Di due anni più giovane, Leylah Annie Fernandez è al secondo posto del ranking juniores dopo gli ottimi risultati fatti registrare agli Australian Open (finale persa contro Clara Tauson) e soprattutto al Roland Garros, dove ha vinto battendo la statunitense Navarro in finale. La mancina classe 2002 ha origini ecuadoriane e proprio a Toronto ha ricevuto una wild-card per il tabellone principale, dove però ha racimolato un solo game contro Marie Bouzkova.
I TORNEI – L’Open del Canada è il terzo torneo più antico del circuito, subito dopo Wimbledon e gli US Open. La prima edizione del singolare maschile risale infatti al 1881, undici anni prima del femminile. Disputato al Toronto Lawn Tennis Club prima sull’erba e poi (dal 1918) sulla terra verde, nel 1980 si convertì al duro e dalla stagione successiva assunse la caratteristica che lo rende tuttora unico nel circuito, ovvero l’alternanza della sede tra Toronto e Montreal. Il torneo maschile appartiene da sempre alla categoria attualmente riconducibile ai Masters 1000, così come quello femminile è un Premier Five. Gli uomini giocano a Toronto negli anni pari e a Montreal in quelli dispari, le donne il contrario. Nell’era open, nessun tennista di casa ha mai alzato il trofeo maschile mentre ci è riuscita la sola Faye Urban tra le donne (1969), quando però il torneo non era ancora frequentato dalle migliori del mondo.
Oltre agli Open, il Canada fino alla scorsa stagione ha ospitato un torneo femminile a Quebec City facente parte del circuito maggiore. Inaugurato nel 1993, si disputava sul sintetico indoor del complesso sportivo dell’università Laval e ha annoverato tra le sue campionesse vincitrici slam come Capriati, Sharapova, Bartoli e Davenport. Particolare curioso, nelle 26 edizioni disputate si sono registrate ben 25 vincitrici diverse: solo l’olandese Brenda Schultz è riuscita ad aggiudicarsi due titoli. Quest’anno verrà rimpiazzato dal torneo cinese di Zhengzhou, che in precedenza era un 125k.
Rimanendo in tema di tornei scomparsi, nei primi anni settanta il Canada ospitò diverse tappe del circuito Wct: si giocò a Montreal, Vancouver, Quebec e Toronto e vinsero a più riprese campioni del calibro di Laver, Newcombe, Ashe, Rosewall fino a Borg e Connors. Toronto ospitò anche tre edizioni dell’indoor che fece parte del Grand Prix nel 1985, 1986 e 1990 mentre a Montreal si giocarono, nel ’78 e ’80, due tornei femminili, il secondo dei quali vinto da Martina Navratilova.
Il Canada è presente nel circuito Challenger con cinque appuntamenti in calendario. Si sono già disputati i tornei di Drummondville, Winnipeg, Gatineau e Granby mentre proprio questa settimana si giocherà il 100.000$ di Vancouver, evento combinato al pari montepremi del circuito ITF femminile che ha collocato in calendario altri appuntamenti come Saskatoon, Gatineau, Granby (un W80 che ha visto tre canadesi in semifinale) e chiuderà in ottobre con i W60 di Saguenay e Toronto (due tappe consecutive).
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