Se, per paradosso, Ashleigh Barty avesse vinto il torneo di Birmingham nel 2007 e, con quella vittoria, avesse raggiunto la vetta del ranking WTA, sarebbe stata la prima australiana a diventare n°1 del mondo in singolare. Lunedì, invece, è diventata la seconda, dopo Evonne Goolagong, che lo fu per un paio di settimane nel 1976 ma le venne comunicato solo a dicembre di ben 31 anni dopo, quando cioè gli statistici della stessa WTA ammisero di aver commesso un errore di trasferimento dei dati nella compilazione delle classifiche relative al mese di aprile di quell’anno e che, con il ricalcolo, Evonne era davanti a Chris Evert di 0,8 punti.
Nel tennis, e non solo, i numeri hanno un certo valore. Altrimenti non si spiegherebbe perché sia stato così importante, per rimanere ai fatti di casa nostra, che Fognini sia finalmente entrato in Top-10 e Berrettini in Top-20. Per questo motivo, sarebbe utile e doveroso che le fonti a cui attingere per le statistiche fossero quantomeno omogenee. Invece…
Invece l’ultimo caso in ordine di tempo risale alla scorsa settimana, quando l’ATP – dopo aver inserito la Laver Cup nel suo calendario – ha riportato e quindi ufficializzato i risultati delle due edizioni già giocate della manifestazione (2017 a Praga, 2018 a Chicago) sul proprio sito. Da ieri dunque, tanto per fare un esempio, Roger Federer si ritrova con 1216 vittorie nel circuito, ovvero 4 in più di quante ne avrebbe avute se l’ATP non avesse deciso di sposare la causa della suddetta competizione.
Fin qui, tutto bene (o quasi). Peccato che, dalla notte dei tempi, ovvero dall’alba dell’Era Open, non vi sia un solo organismo a presiedere le vicende organizzative del tennis mondiale. Infatti, come molti di voi sapranno, oltre all’Associazione dei Tennisti Professionisti, esiste anche l’ITF (International Tennis Federation) che è direttamente responsabile dei quattro tornei del Grand Slam, della Davis e della Fed Cup. E questo adesso, perché i meno giovani si ricorderanno certamente come – a cavallo tra i ’70 e gli ’80 – esistesse un circuito parallelo (sia pur ridotto nel numero di appuntamenti) a quello dell’ATP (che allora si chiamava Grand Prix), denominato WCT, inizialmente in antitesi poi in simbiosi, che a sua volta reclamava ufficialità.
In questo piccolo caos, in cui la difesa del territorio e delle rispettive posizioni da parte degli organismi interessati ha sempre avuto una rilevante importanza, non c’è mai stata una linea di condotta univoca nell’interpretazione dei numeri. L’episodio della Laver Cup è solo l’ultimo tassello (in ordine di tempo) di un mosaico che stenta assai a trovare la sua definitiva fisionomia. Accolta dagli addetti ai lavori con diffidenza e mille riserve, definita anzitempo una “baracconata” in cui i protagonisti erano chiamati a interpretare una parte e mostrare uno spirito di appartenenza alla maglia (europea o del resto del mondo) quantomeno forzato, la Laver Cup in soli due anni ha smentito quasi tutti i suoi detrattori e si è meritata l’ingresso nel tennis ufficiale. Certo, l’aspetto manageriale e l’influenza di Federer hanno avuto la loro importanza ma, se il torneo avesse fatto fiasco, adesso staremmo parlando d’altro.
Comunque, per tornare ai numeri, il revisionismo storico e statistico (come nel succitato caso della Goolagong) non è necessariamente un male. Lo diventa, tuttavia, quando le scelte non sono univoche. E quella della Laver Cup, almeno per ora, non lo è; l’ITF infatti, forse anche perché l’ATP non ha mai voluto legittimare in tal senso la Hopman Cup, sembra intenzionata a comportarsi allo stesso modo.
Già, la Hopman Cup. Schiacciata dall’enorme peso specifico della nuova ATP Cup, che si svolgerà in Australia in preparazione allo slam di Melbourne, la manifestazione che si è tenuta a Perth per 31 edizioni ha dovuto alzare bandiera bianca e non si disputerà più. Eppure le due Cup intitolate ai due grandi australiani (Hopman e Laver) non sono così diverse tra loro e di conseguenza, a nostro modesto parere, se valgono i risultati di una dovrebbero valere anche quelli dell’altra o viceversa. E chi, appellandosi a chissà quale concetto discriminatorio, le ritiene semplici esibizioni (magari affermando che non ci sono punti in palio) dovrebbe ricordare che anche il Masters (le attuali ATP Finals) inizialmente non assegnava punti così come non li assegnava la Grand Slam Cup (voluta dall’ITF) nel suo decennio di esistenza, dal 1990 al 1999.
Tornando indietro nel tempo, con questa logica, andrebbero riconsiderati anche alcuni tornei (in particolare negli anni Settanta e Ottanta) che tuttora “fanno” statistica come il Pepsi Cola Grand Slam di Boca Raton, al quale partecipavano quattro giocatori, o le finali di Dallas, che raccoglievano i migliori otto del circuito WCT ma erano a eliminazione diretta e si conquistava il trofeo vincendo appena 3 incontri.
Per finire, una doppia piccola provocazione. Alla lunga lista dei record detenuti da Roger Federer, manca ancora quello relativo al numero di vittorie ufficiali, tuttora appartenente a Jimmy Connors con 1274. Per raggiungere il mancino di Belleville, allo svizzero ne mancano ancora 58; una in più per superarlo. È abbastanza probabile che Federer possa riuscire nell’impresa senza ulteriori aggiustamenti statistici ma gli anni passano e non si sa per quanto ancora il campione di Basilea sarà in grado di sostenere i ritmi eccellenti delle ultime stagioni. E allora, ci chiediamo: se Roger dovesse arrivare a ridosso di Jimbo, magari a una manciata di vittorie dall’americano, ma non riuscisse a superarlo, siamo proprio sicuri che i suoi 14 successi in singolare alla Hopman Cup continuerebbero ad essere esibizioni? E se, al contrario, lo superasse di sole due o tre vittorie, cosa direbbero i tifosi di Connors (e magari di Nadal o Djokovic) di quelle 4 – per ora – vittorie ottenute in Laver Cup?
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