di Francesca Di Lorenzo (con Daniele Sforza)
Per capire meglio la mia storia, bisogna tornare indietro all’inizio degli anni ’90. In questo periodo mio padre aveva ricevuto un’offerta di lavoro a Los Angeles, in California, e i miei genitori si erano trasferiti (mio fratello è nato lì). Poi, accettata un’altra offerta di lavoro a Pittsburgh, in Pennsylvania, si è spostato in questa città ed è qui che siamo nate io e le mie due sorelle. Arrivati gli anni 2000, precisamente nel 2004, abbiamo cambiato nuovamente casa, spostandoci 300 km più a ovest, a Columbus, sempre per questioni lavorative di mio padre che svolge la professione di gastroenterologo pediatrico.
Personalmente penso che la scelta di 30 anni fa di muoversi verso gli Stati Uniti sia stata davvero azzeccata, visto che adoro vivere qui. Non posso affermare con certezza che in Italia sarebbe stato peggio però non riesco a lamentarmi di tutto quello che ho costruito qui in America. In particolare, non posso dire che il sistema americano, prendendo in considerazione il caso specifico del tennis, sia migliore e anzi, sarei curiosa di provare i vari centri di formazione che ci sono in Italia e spero di avere quest’opportunità in futuro per vivere un’esperienza diversa.
Ricordo che ero ancora a Pittsburgh (avevo circa 6 anni) quando ho preso in mano la racchetta, in un campo vicino a casa nostra. Pian piano ho cominciato a giocare più spesso perché sfidavo i miei fratelli ed ero abbastanza competitiva, quindi potete immaginare quanto impegno ci mettessi. Mia madre portava tutti noi fratelli nelle varie location sportive e mi ha invitato a decidere il mio sport: ho scelto il tennis. Così, quando ci siamo spostati a Columbus, i miei genitori mi hanno affidato ad un allenatore e ho giocato il primo torneo soltanto ad 11 anni, un’età che è considerata “alta” tra i vari tennisti che poi sono diventati professionisti. Nel 2012 ho poi raggiunto la finale dell’Usta Girls’ 16s National Clay Court Championships, un torneo dove ero a malapena riuscita ad entrare, e qui ho capito che potevo davvero diventare una tennista professionista.
Sin da piccola il tennis mi è sempre piaciuto, ma ero più appassionata di sport di squadra come il calcio e il basket. Come dicevo, giocavo a tennis per divertirmi e perché volevo battere a tutti i costi mia sorella più grande, proprio per questo ho cominciato a giocare sempre più e ho cominciato ad apprezzare l’aspetto individuale che c’è alla base del tennis. Se vinci vivi la vittoria mentre se perdi devi convivere con la sconfitta. Crescendo, l’amore per il tennis è aumentato in modo esponenziale e chiunque mi conosca, soprattutto le ragazze della mia squadra al college, potrebbero dirlo facilmente. Adesso adoro l’aspetto individuale di esso, e il fatto che sia difficile sia mentalmente che fisicamente. Capisco i tennisti che dicono di non amare lo sport e di fare fatica a praticarlo, penso che per avere successo devi porti nella condizione di amare incondizionatamente tutti gli aspetti di esso visto quanto può essere difficile essere spesso soli e viaggiare così tanto. Viaggiare in questo modo può essere stressante ma è anche uno dei pro della vita del tennista, avere la possibilità di visitare luoghi fantastici in tutto il mondo e incontrare sempre persone nuove. Il contro è sicuramente il costo che ne deriva, è difficile trovare sponsor perciò di solito i soldi escono di tasca propria, dal momento che non guadagni davvero tanto fino a quando non raggiungi i top 150. Ulteriore vantaggio per noi tennisti americani è quello di, mentre si partecipa a competizioni di livello, poter ottenere un’ottima istruzione universitaria grazie al nostro talento sportivo.
Ho amato il college per tutte le situazioni di condivisione (essere in una squadra, avere dei supporter che prima di tutto sono amici, ecc.) che si creano, ho vissuto grandi esperienze, conoscendo persone importanti e creando nuove amicizie. Non ho avuto grandi difficoltà nello scegliere il college perché qualche anno fa non mi sentivo assolutamente pronta per vivere il tour ed ora invece sento di aver migliorato tantissimi aspetti, sia relativi al campo da gioco che non. Nonostante questo bisogna dire che la vita è piuttosto dura e complicata per l’atleta del college poiché tutto si basa sulla gestione del tempo. Essere in grado di bilanciare il tennis, la scuola e una vita sociale è sicuramente una sfida non semplice. Per questa ragione penso che l’esperienza del college sia assolutamente da fare e la consiglio a tutti, anche perché il livello sportivo si sta alzando sempre più.
Ho terminato i primi due anni di business alla Ohio State University e ho lasciato per il momento il college per dedicarmi esclusivamente al tennis. Sicuramente non appena la mia carriera sarà terminata tornerò qui per prendere la laurea in modo da poter avere la possibilità di trovare lavoro come agente sportiva.
Mi sono quindi spostata ancora una volta e ora mi sto allenando in Florida con Ann Grossman cercando di migliorare il mio gioco offensivo. Spesso si parla di una differenza tra l’essere allenati da una donna o un uomo ma io non sento davvero questo gap. Ho anche lavorato molto con uomini ed entrambi gli allenamenti sono risultati forti e intensi, ed è ciò di cui ho bisogno. L’unica differenza può essere relativa ad aver vissuto nel tour, come ha fatto Ann, per offrire maggiori consigli nelle situazioni comuni che si sviluppano.
I miglioramenti li ho visti già in questa prima parte di stagione dove sono tornata a vincere un torneo da $25.000, a Wesley Chapel, ed ho ottenuto il best ranking al n.257. Ho giocato meglio di partita in partita, contro tenniste di ottimo livello (Kalinina e Danilovic per fare due nomi) e mi sono sentita sempre meglio sulla terra, superficie che amo anche perché il mio tennista preferito è Nadal, mancino come me. Non penso sia il punto di svolta della stagione ma può rappresentare un’ottima base per costruirmi il proseguo della stagione.
Una stagione che potrà svilupparsi in molti modi visto che nella vita di un tennista non ci sono certezze ma che spero possa regalarmi tante soddisfazioni, magari anche in Italia. L’Italia è un paese che amo e conosco molto bene, almeno una volta l’anno torniamo con i miei genitori per passare le vacanze natalizie con la famiglia. È stupendo incontrarsi con i parenti ma è anche incredibile il mangiare, partendo dalla mozzarella a cui davvero non posso resistere. Il cibo in generale è molto meglio in Italia, dagli gnocchi alla ricotta e alle zeppole (solo per citarne alcuni). Mi piace l’idea che molti posti siano facilmente raggiungibili quando invece negli Stati Uniti bisogna guidare ovunque. I panorami sono incredibili anche quando si guida lungo la costa amalfitana. Posso raccontarvi di come ogni volta che vengo in Italia sia sempre quella vestita peggio (pantaloni della tuta e maglietta) perché tutte le persone si vestono sempre bene anche per uscire a fare una passeggiata.
Tra l’altro, ho la doppia cittadinanza e sto per ottenere il passaporto italiano quindi in futuro potrebbero cambiare tante cose. Per il momento continuerò a rappresentare e giocare per gli USA ma c’è una possibilità di rappresentare l’Italia e ci rifletterò, visto che sarebbe un’opportunità incredibile e un grandissimo onore vestire quei colori in Fed Cup.