Tra gli anni ’80 e ’90 il tennis femminile proponeva un panorama di campionesse davvero affascinante: Martina Navratilova, Chris Evert, Steffi Graf, Gabriela Sabatini, Monica Seles. Queste, quando leggevano sul tabellone il loro nome associato a quello di Sandra Cecchini sapevano bene che giocare contro l’azzurra avrebbe significato lottare ogni 15 per avere la meglio contro una delle avversarie più tenaci e impegnative del circuito tennistico. Sandra Cecchini aveva un rovescio in back molto insidioso e poteva restare in campo più di 3 ore, mantenendo un livello alto. Grazie a queste qualità, un braccio talentuoso, unito ad un’ottima preparazione atletica, Sandra ha vinto nella sua lunga carriera ben 14 tornei nel singolare e 11 in doppio, confermandosi tra le prime in Italia come numero di titoli vinti nel circuito WTA. Tra le sue vittorie, si annovera tra tutte, quella del 1986 contro Chris Evert in Fed Cup a Praga in 3 set. Restare per 10 anni tra le prime 20 del mondo (e ai vertici del tennis italiano) rappresenta un’altra gemma della carriera di Sandra.
Sandra, che differenze ci sono tra il tennis di oggi e quello degli anni ‘80/’90? E c’è ancora spazio per quel tipo di tennis?
“Le differenze risiedono principalmente nei materiali, infatti il tennis femminile di oggi è molto più potente rispetto a quello dei miei tempi quando si utilizzavano racchette di legno… Poi pensa alle corde, noi avevamo un tipo di budello e uno di sintetico, oggi ci sono 10mila tipi racchette modificate con bilanciamento personalizzato. Ti ricordi Steffi Graf ad esempio? Era così forte fisicamente che oggigiorno non c’è nessuna come lei, con quella potenza unita all’elasticità. Oggi son tutte ragazzone di 190cm ma già ai miei tempi alcune tiravamo forte, se Steffi riprendesse a giocare oggi tornerebbe tra le prime 10. Lei era già modernissima, quando tirava il diritto in salto ti arrivavano dei missili.”
A 12 anni vai a Latina al centro Federale, che ricordi hai di quel periodo? Eri giovanissima.
“La prima settimana fu tutto molto bello, ero eccitata da questa nuova esperienza, avevo entusiasmo, però poi non ti nascondo che per parecchi mesi la sera piangevo e una volta, dopo 2 mesi, chiamai mio padre per farmi venire a prendere, volevo andarmene. Per fortuna papà lavorava in quel momento e mi rispose che sarebbe venuto il sabato, per cui ebbi il tempo di ripensarci: fu l’amore per il tennis a farmi superare la crisi. Non avevo ancora una idea chiara di cosa fosse il professionismo e di come fosse la vita da giramondo dei ‘pro’, ma avevo il bisogno, la necessità vitale di correre, di competere, di divertirmi e provare emozioni attraverso una racchetta, una pallina e uno spazio dove muovermi.”
I tuoi genitori erano degli sportivi?
“I miei non erano degli sportivi praticanti, a casa si guardava solo il calcio e il mio entrare nel mondo del tennis è stata una casualità. Pensa che io non conoscevo nemmeno i grandi del passato, non avevo mai sentito parlare di Pietrangeli e Panatta, lo conoscevo solo di fama. Una spiccata passione per lo sport mi a contraddistinta sin da piccola: a 3 anni ho messo gli sci, a 8 ho giocato a calcio, poi atletica e poi a 10 anni ho preso in mano la mia prima racchetta.”
Torniamo a Latina, al centro federale nei primi anni ’80.
“Questi anni sono stati molto difficili, il rapporto con il mio allenatore, il maestro Massimo di Domenico, è stato per molti versi conflittuale. Lui era eccessivamente severo e poco comprensivo con noi ragazzine adolescenti lontane da casa e dalle proprie famiglie. Questa ferrea disciplina associata ad una poca sensibilità e a un clima poco sereno in campo hanno avuto su di me una conseguenza negativa. Invece di reagire mi sono chiusa tra paure e incertezze.”
Sono passati tanti anni ma poco è cambiato se pensiamo alle scene a cui assistiamo nei tornei under. Ci chiediamo quando in Italia avremo una cultura sportiva all’altezza. Penso che queste esperienze possano essere messe a frutto adesso che sei coach.
“Esatto.”
Come definiresti la Sandra Cecchini tennista?
“Avevo un buon rovescio ad una mano, giocavo con paura il diritto, ero fisicamente in forma, leggevo bene le situazioni in campo e sapevo utilizzare le palle corte. Mi hanno definito ‘terraiola’, ma ho vinto molte partite sul cemento e adoravo giocare sul veloce indoor. Ho sempre avuto un buon gioco di gambe.”
Quindi, possiamo dire che il colpo da migliorare sarebbe stato il diritto, non come biomeccanica del gesto quanto come sicurezza nell’esecuzione?
“Bravo, mi mancava quella sicurezza che invece avevo nel rovescio, ma era uno stato d’animo di fondo e fu un vero handicap nella mia carriera… maledetta paura…”
Tattica. E’ vero che partecipavi ai tornei senza coach? E come preparavi le partite?
“Pochissime volte ero accompagnata dal mio coach, principalmente per motivi economici. Nei tornei però io rimanevo lì a guardarmi la partita, sia negli slam sia nei tornei minori. Conoscevo bene le mie avversarie, il loro modo di giocare, quindi decidevo la tattica durante le partite, valutando i punti deboli dell’avversaria, ma tenendo alta la concentrazione su me stessa e sulle mie sensazioni.”
Capitolo allenatori/coach.
“Ritengo che nel tennis ci siano molti allenatori seri, competenti e professionalmente preparati, mentre altri non sembrano appartenere alla categoria. Un ruolo importante è quello del genitore che deve sempre sostenere il figlio senza sovrapporsi al ruolo dell’allenatore. La fiducia di entrambi è fondamentale.”
Che cosa è successo al Roland Garros contro Monica Seles quando stavi vincendo 6-3 2-1 30-15?
“Quella è stata una delle migliori partite della mia carriera, una di quelle che ricordo con più piacere anche se alla fine persi. Per un’ora e mezza ho dominato la Seles giocando dei back di rovescio ad 1cm dalla riga e l’ho messa in seria difficoltà. Sul 6-3 2-1 30-15 mi è uscito un rovescio di un nonnulla e l’inerzia del match si è spostata dalla sua parte. Poi la Seles ha risposto in modo sempre più energico senza errori, senza lasciarmi la possibilità di reagire, non ho avuto la forza mentale di rientrare nel match e ho perso. Ricorderò questa partita per tutta la vita come una performance di un’ora e mezza di quasi perfezione, che poche volte mi è capitata in carriera. Ricorderò sempre questo match comunque come se avessi vinto, come anche quello con Steffi Graf (perso 6-4 al terzo) a Berlino, per l’intensità messa in atto.”
Preparazione atletica: molti sostengono che 30 anni fa ci si allenava di meno, è vero?
“Non sono affatto d’accordo che ci si allenasse di meno! Se vuoi ottenere risultati devi allenarti seriamente e con impegno. Facevo atletica tutti i giorni, allenamento aerobico, resistenza, velocità, sviluppavo la forza, e questo cinque giorni a settimana. Ricordo sessioni davvero molto dure anche a Latina con le altre azzurre.”
A proposito, come era la giornata tipo a Latina, nel centro federale?
“La mattina si andava a scuola, poi alle 14:30 passava il pulmino che ci portava al circolo (al Nascosa) e tornavamo intorno alle 19:30. Si cenava, si studiava e poi tutte a nanna. L’allenamento era molto completo, si toccavano tutti i punti del training, si lavorava su tutti gli aspetti.”
Sandra, secondo te per un atleta che non ha gli studi (quindi è libero la mattina) come va organizzato l’allenamento ideale?
“Dovendo generalizzare e semplificare se hai un atleta che non va a scuola puoi fare del lavoro tecnico la mattina, di intensa attività di sviluppo e perfezionamento dei gesti tecnici, mentre il pomeriggio puoi lavorare sugli aspetti atletici, finendo poi magari con lavori più leggeri, ad esempio sul servizio. Io credo che, oggi come ieri, una preparazione atletica ottimale e personalizzata sia indispensabile: ad esempio nei mesi come novembre o dicembre, o comunque quando puoi ‘caricare’, devi veramente spingere al massimo per costituire le basi di un anno di attività di tornei. E’ importante stare sempre al top fisicamente, sia nel circuito maggiore sia in quelli giovanili.
Oltretutto è fondamentale preparare bene i ragazzini, soprattutto quelli più giovani, sul piano della coordinazione e dell’equilibrio perché fino a 30/40 anni fa esisteva una multidisciplinarità naturale, in pratica i bambini giocavano in strada, facevano mille attività fisiche, a scuola si faceva ginnastica che diventava movimento di base. I bambini di oggi vivono attaccati al computer, allo smartphone e al divano.”
Il tuo scopritore è stato Paolo Cortesi vero?
“Sì, è scomparso un anno fa ed è sempre nel mio cuore. E’ stata una persona meravigliosa. Mi vide giocare una volta casualmente con un mio amico e notò immediatamente la mia attitudine e chiese a mio papà di portarmi al circolo tennis di Cervia. Cominciai così, semplicemente per caso.”
A proposito di racchette, tu con quale giocavi?
“Inizialmente con la Maxima deluxe in legno, per poi passare alla Prince Graphite 90 e finire con la Babolat che tuttora uso.”
I tuoi genitori vedendo la tua bravura e passione credevano che saresti potuta diventare una campionessa di tale livello? E tu stessa ci credevi?
“Forse i miei genitori ci speravano quando sono stata convocata al Centro Federale di Latina. Sono andata via di casa a 12 anni, non pensando a dove sarei arrivata. Quando ho cominciato a vincere qualche partita importante, ho iniziato a crederci. Andando via da giovanissima non ho avuto la classica adolescenza tradizionale. I miei genitori mi hanno sempre sostenuta in quello che volevo fare, forse ho sofferto la loro lontananza e mi sono un po’ chiusa in me stessa. Ciò mi ha reso vulnerabile, ma anche grintosa e battagliera.”
Il 1983 è l’anno della prima escalation. Vinci a Taranto e Caserta. Nel 1984 vinci Rio e Taranto. Nello stesso anno fai anche le Olimpiadi a Los Angeles, ne hai fatte 3, che ricordo hai?
“Sì nel 1984 vinco Rio su terra ed in effetti è stato un anno ottimo, con buoni risultati. L’Olimpiade di Los Angeles invece la ricordo con poco entusiasmo perché il tennis era sport dimostrativo. Il top è stato a Seul nel 1988, lì in effetti provai davvero l’emozione di vivere i Giochi Olimpici, conobbi Bernardi e Lucchetta, i fenomeni della pallavolo, e Massimo Mauro che da juventina era uno dei miei idoli. Fu bellissimo.“
Nel 1985 vinci il torneo su terra di Barcellona, fai quarti al Roland Garros perdendo solo da Martina Navratilova, ma l’anno fondamentale è il 1987 quando vinci Bastad e Little Rock, altro torneo sul cemento. In quel periodo affronti tre volte Steffi Graf andando in due occasioni vicina alla vittoria. Che ricordo hai di quelle stagioni e di quelle sfide?
“I miei anni migliori sono stati quelli sul piano dei risultati, dal 1983 al 1996, a marzo del 1988 sono diventata numero 15 del mondo che resta il mio best ranking. Per 10 anni consecutivi sono stata nelle prime 20 del mondo, quindi in realtà è un best ranking impreziosito da questa longevità e continuità di risultati.”
Qualche rimpianto di non essere salita ancor di più in classifica ce l’hai?
“Mi sarebbe piaciuto entrare nella top ten anche se in quel periodo c’erano giocatrici di livello molto alto. Ricordo alcune vittorie con la Sabatini, Sanchez, Huber e Tauziat tutte tra le prime 10 del mondo.”
L’ultimo tuo torneo vinto è stato nel 1992 a Parigi ‘Clarins’ ma nel frattempo avevi trionfato in molti tornei di doppio in coppia con l’argentina Patricia Tarabini, raggiungendo anche il best ranking nella specialità al numero 11. Che ricordo hai di lei? E Vi sentite ancora?
“Stupendo il rapporto con lei. Patricia era solare, un po’ ‘pazzerella’. Abbiamo giocato insieme 10 anni, in campo io davo ‘solidità’ e lei faceva i numeri.”
Sandra, mi racconti una partita svolta della tua carriera?
“La partita che mi ha dato davvero la carica fu quella con Chris Evert nella Fed Cup a Praga. Vinsi quell’incontro e lei era la numero 2 del mondo, e non era una cosa di tutti i giorni. Presi davvero molta fiducia. Tra l’altro avevo perso il primo set, quindi fu ancora più bello vincere in rimonta. Era il 1986.”
La tua ultima partita di singolare nel circuito professionistico fu nel 1998 a Flushing Meadows, una scelta o un caso?
“Guarda, quell’anno mi ruppi il perone, giocando a calcio, sono stata operata e sono rimasta ferma tre mesi. Ero ancora 50 o 60 del mondo, mi accorsi che l’ambiente stava cambiando, forse non avevo più gli stimoli e le motivazioni per continuare ad allenarmi. Nel corso degli anni me ne sono pentita: ero integra fisicamente, stavo bene, l’amore per il tennis non era scemato, avrei potuto continuare nel doppio divertendomi ancora.”
Quando un atleta di alto livello come te smette l’attività agonistica spesso soffre della mancanza di quella stessa tensione o adrenalina che a volte ha detestato durante la carriera, a te è successo?
“Ti dico la verità, io quando ho staccato, ho avuto un attimo di rigetto. I due anni successivi al termine della mia carriera, quindi nel 1999 e nel 2000, ho giocato a calcio. Ho completamente appeso la racchetta al chiodo.”
Ma ti ricordi cosa hai fatto esattamente il giorno dopo la decisione di ritirarti?
“Sai che non me lo ricordo?”
Poi dal sito ITF Senior risulta che sei tornata in attività con 17 vittorie in altrettanti incontri!
“Sì, è vero, sono rientrata per divertirmi nel circuito senior.”
Cosa ricordi delle tue compagne azzurre dell’epoca?
“Comincerei dal rapporto con Raffaella Reggi. I giornali non sempre hanno raccontato la verità, qualche volta creando dualismo. In realtà noi due eravamo e siamo ottime amiche.”
La Reggi ha avuto il suo best ranking al numero 13 e si è ritirata a 25 anni per qualche problema fisico, in particolare le articolazioni dell’anca erano consumate. Tra le campionesse dell’epoca c’era anche Laura Garrone, vincitrice di due titoli slam (Us Open e Roland Garros) da junior nel 1995, e capace di arrivare al numero 30 del mondo. E’ lei la tua migliore amica?
“Sì. Questa amicizia è nata dopo Latina e tuttora siamo molte legate.”
Chi ti dava più fastidio come gioco delle tue avversarie italiane?
“Soffrivo le italiane in genere. Sentivo molto le partite con le azzurre, ma non per eccessiva competitività ma perché ero meno ‘cattiva’ in campo.”
Non c’era quindi rivalità tra voi. Si gioiva dei successi delle proprie compagne.
“Sì! Almeno da parte mia era così! Mai avuto invidia per il successo delle colleghe!”
E anche da parte delle altre ragazze nei tuoi confronti?
“Non lo so, spero di sì.“
Delle 4 aree che riteniamo fondamentali nello sport, cioè tecnica, tattica, atletica e mentale, dammi le tue percentuali di importanza nel tennis moderno professionistico.
“Al primo posto c’è sicuramente il fattore mentale, poi la preparazione atletica, la tecnica ed infine la tattica. Tante volte mi fanno delle domande tipo: tra uno con un talento formidabile e uno con tanta voglia e attitudine al sacrificio, chi ti prendi? Tutta la vita chi ha voglia di lavorare e sacrificarsi. Il talento è importante, è ovvio, ma senza quel qualcosa in più a livello di ‘fuoco interiore’ finisce che la tecnica resta fine a se stessa.”
Il tuo giocatore attuale preferito chi è?
“Roger Federer uguale tennis. Punto.”
E tra le femmine? Serena Williams?
“Assolutamente no. Mi piace tanto la spagnola Suarez Navarro, e la Halep.”
E’ eresia dire che la Suarez Navarro somiglia come gioco e impostazione alla Sandra Cecchini?
“Potrebbe essere.”
E degli azzurri, chi ti piace?
“Fabio Fognini un talento, dispiace vedere certi atteggiamenti in campo che si ripercuotono nei risultati, potrebbe stare tranquillamente tra i primi 10.”
Tra le donne italiane attuali?
“Tra le ragazze in attività mi piace Roberta Vinci”.
Tu hai conosciuto tanti luoghi, dove vivresti se non in Italia? E c’è un posto che ti è rimasto nel cuore?
“Gli Stati Uniti sono il top, la Florida in particolare. Mi sono innamorata della Florida quando giocavo, un bel clima, un’atmosfera magica, bellissima.”
Com’è attualmente la tua giornata tipo?
“In inverno lavoro a Cesena, seguo sia gli agonisti, sia la SAT e gli adulti.”
Perché la FIT non sfrutta personalità come la tua per migliorare la propria struttura?
“Io posso parlare per me. La disponibilità l’ho sempre data, mi piacerebbe allenare un gruppetto di ragazzine sotto l’egida della FIT.”
E una accademia tutta tua?
“Sarebbe bello ma non sono ancora riuscita a trovare la situazione giusta. Mi piacerebbe anche rientrare nel circuito.”
Hai sotto mano attualmente qualche ragazzo interessante?
“Si, qualcuno c’è ma siamo ancora agli inizi.”
Quale è la prima caratteristica che noti in un ragazzino?
“Quando metti la racchetta in mano ad un bambino per la prima volta guardi le doti coordinative. Guardo anche come si muove, come corre, in che maniera appoggia i piedi. Per cui direi che guardo la coordinazione occhio-mano e l’equilibrio per le gambe.”
Nel periodo storico in cui tu giocavi, cadde il muro di Berlino, avvicinando culturalmente in maniera definitiva oriente e occidente europei. Era il 1989. L’universo tennistico si è accorto che stava cambiando per sempre il mondo oppure no? E le colleghe dell’est erano differenti da noi occidentali quando giocavi tu?
“Direi che le ragazze dell’est che erano nel circuito, poche rispetto ad oggi, erano piuttosto provate da lunghi anni di sofferenze sotto le dittature dell’est, che però si trasformavano in campo grinta, determinazione e voglia di riscatto.”
Una curiosità: in internet gira la voce che tu abbia recitato in un film di Pupi Avati, ma è vero?
“Un film l’ho fatto, è vero, ma non era di Pupi Avati. Avevo 11 anni, il film è del 1976, s’intitolava ‘Albert e l’uomo nero’ e la mia scena era di una ragazzina che si arrampicava su un albero per rubare le pesche.”
Ci salutiamo con Sandra e ciò che resta nel nostro cuore è la pienezza di una conversazione che non è stata solo una intervista, ma anche uno scambio di opinioni e di racconti personali. La mitica campionessa di Cervia, la più titolata finora della storia del tennis italiano, è una donna solare, determinata, con le idee chiare. Le auguriamo di poter coronare la sua carriera allenando un tennista di alto livello. Sandra possiede quell’esperienza, quella professionalità e quell’umanità indispensabili per la formazione di un atleta. Grazie Sandra.