Gerald, non più l’altro Melzer


Scrollarsi di dosso un’etichetta stampata e cucita sulla propria identità senza volerlo non è mai semplice. Sia che si parli di stereotipi e luoghi comuni sia che si intenda il comunissimo “il fratello di”.
Nel tennis ci sono stati esempi lampanti di fratelli in grado di lasciare un’impronta nella storia della racchetta: basti pensare ai fratelli Mayer, entrambi top-10 sia in singolare che in doppio tra i gli anni ’70 ed ‘80, oppure ai gemelli Bryan, dominatori e recordman indiscussi del doppio per più di un decennio. Ma c’è da considerare anche la categoria di chi ci ha provato e non ci è riuscito. Il gap tennistico con “l’altro” era semplicemente troppo alto. C’è chi come Jamie Murray, che doveva essere all’inizio tra i due quello vincente, si è riciclato con ottimi risultati nel doppio, ma che resta con lo score in singolare di appena una partita giocata ( e persa!) nel circuito maggiore. Oppure chi come Marko Djokovic ha appeso la racchetta al chiodo a nemmeno 25 anni, chiudendo la carriera tra i pro con un modesto best ranking di numero 581.
Tra i due estremi c’è però chi sta nel mezzo, ossia chi vuole testimoniare, non arrendendosi, che nel tennis può dire la sua nonostante lo scomodo cognome ereditato. Togliersi l’etichetta appiccicata addosso e far valere le proprie capacità non è affatto semplice. Qualcuno ci sta provando però con tutte le sue forze. Stiamo parlando di Gerald Melzer.
Quando tuo fratello si chiama Jurgen, ex numero 8 al mondo e semifinalista al Roland Garros, non deve essere facile voler diventare da grande un giocatore di tennis. Gerald, nato nove anni dopo, ha deciso di voler scalare, armato soltanto di racchetta, due grandi montagne: dimostrare di essere all’altezza sia del tennis professionistico sia dell’ingombrante figura del fratello. Ma attenzione, guai a parlare di rivalità. I due sono uniti più che mai e se c’è stato un giocatore a cui ispirarsi per Gerald, quello è stato senza dubbio il fratello maggiore.
Il percorso di Melzer jr. non è stato per nulla agevole ed è cominciato dal basso. Quando Jurgen recuperava due set di svantaggio nei quarti di finale del Roland Garros a Novak Djokovic e si concedeva Rafa Nadal in una gloriosa semifinale Slam, Gerald era in Slovenia nel locale Futures a prenderle dal connazionale e numero 1282 al mondo Marc Rath. La gavetta nei tornei minori lo ha spinto per più di un anno a vagabondare in Africa per giocare tornei in Uganda, Burundi, Sudan e Rwanda alla ricerca di punti facili, tra miseria e righe di gesso storte. In molti a quell’epoca pensavano che quello fosse il livello del più piccolo dei Melzer: fare bella figura (neanche vincere) nei Futures del continente nero. Era un’opinione sbagliata.
Ciò che ha avuto grande importanza nella giovane carriera del viennese è stata la pazienza. Da buon appassionato di pesca com’è, Gerald sa che ha un’importanza maledetta il sapere aspettare. Perché forse catturare una carpa da 30 kg in un torrente della Carinzia non è come raggiungere la top-10, ma insegna senz’altro il valore che ha l’attesa.
Il duro lavoro aveva dato già i suoi primi frutti. A partire dal 2014 Gerald aveva lasciato l’Africa, passando a giocare costantemente i Challenger, vincendo il suo primo a Morelos ed entrando stabilmente nella top-200. Un altro gradino della scala superato ma gli mancava ancora qualcosa: un’iniezione di fiducia in grado di sbloccarlo definitivamente. Iniezione arrivata durante il week-end di Coppa Davis, in cui l’Austria fronteggiava in trasferta la Svezia, nel marzo del 2015. Con il forfait di Thiem e dello stesso Jurgen nel match decisivo, sul 2-2 è stato Gerald a consegnare all’Austria la vittoria ed una speranza di accedere di nuovo al World Group. Magari la vittoria su Lindell non sarà stata la più prestigiosa della carriera ma è stata fondamentale per dare certezze all’austriaco. Poco più di un mese dopo, passando dalle qualificazioni, ha ottenuto la prima semifinale a livello ATP. La sconfitta in tre lottati set contro Philipp Kohlschreiber non ha sminuito il valore del tennis giocato da Melzer, che per la prima volta ha fatto parlare di sé non soltanto per essere il fratellino di Jurgen.
Proprio il 2015 è stato anche l’anno in cui il destino ha voluto far affrontare per la prima volta in uno scontro diretto i due fratelli, nelle qualificazioni a Wimbledon. “Il più brutto giorno della mia vita. Spero non accada mai più di dover giocare l’uno contro l’altro”. Questa la dichiarazione di Jurgen dopo la sua vittoria.
L’obiettivo sfumato nel 2015 di Gerald di raggiungere la top-100 non l’ha per nulla demoralizzato. Forte di una nuova considerazione dei proprio mezzi e, come da lui stesso ammesso, di una condizione fisica ottimale, ha giocato un 2016 molto solido. Vincendo quattro Challenger, ottenendo il primo main draw in un torneo dello Slam (passando dalle qualificazioni al Roland Garros), raggiungendo per la prima volta la top-100 e giocando un’altra semifinale ATP a Kitzbühel. Nello stesso torneo austriaco nei quarti di finale il fato lo ha opposto di nuovo al fratello. Non è stata una vendetta contro Jurgen, il loro splendido rapporto è ancora saldo più che mai, ma la vittoria di Gerald è stata una rivincita contro tutti quelli che l’avevano bollato come “ il fratello scarso”, quello che era destinato a giocare i Futures in Burundi. Gerald è molto di più di Mini Melts, suo soprannome affibbiatogli da molti sin da ragazzino.
Occhiali da vista, fascia nei capelli e vistoso tatuaggio in stile giapponese al gomito, Gerald Melzer nel primo torneo del 2017, a Doha, ha impegnato seriamente il numero uno al mondo Andy Murray, mostrando alle massime potenzialità il suo tennis: grande potenza nei colpi, solidità da fondo e capacità di attaccare la rete. Ciò che inoltre si è notato è stata una grande voglia di restare attaccato al match e di crederci sempre. Mostrando un cuore ed una voglia di lottare impressionanti. Forse avrà imparato a non arrendersi nel corso degli anni, quando in giro per il mondo, in tornei dimenticati da Dio, gli dicevano che non aveva talento, che di suo fratello aveva soltanto lo stesso modo di impugnare la racchetta con la mano sinistra.
Gerald Melzer sul polso ha anche un altro tatuaggio: Bleib dir selbst immer treu. Mantieniti sempre fedele. Fedele nell’inseguire un sogno, fedele nonostante tutte le avversità, fedele nel coltivare le capacità che l’hanno portato a stracciare l’etichetta di raccomandato. Forse non raggiungerà mai l’ottavo posto del ranking mondiale, ma a 26 anni Gerald sembra aver trovato la sua strada, pronto a dimostrare sempre di più di non essere soltanto “il fratello di”.

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