L’antico, talvolta abusato, adagio secondo cui “una rondine non fa primavera” ben si associa alle dinamiche crudeli della stagione tennistica dove un exploit nelle prime settimane dell’anno non è necessariamente segno di una grande annata in divenire. Anzi, è un dato di fatto ormai quasi acclarato che le settimane di avvicinamento a Melbourne vivano entro uno statuto proprio nel quale i rapporti di forza sono ancora indolenziti dalla pre-season o inevitabilmente condizionati da un focus spostato già al primo slam stagionale. In questo contesto eleggere nuovi talenti venuti fuori da un boom di gennaio è un esercizio pericoloso, ma il buon risultato di Daniil Medvedev a Chennai – fermato solo in finale dal coriaceo Bautista Agut – non dovrebbe avere di questi sciagurati crismi.
L’exploit di Daniil Medvedev, difatti, non è del tutto un exploit, con il classe ’96 russo che alla conclusione di un 2016 molto solido e passato sotto traccia si era guadagnato la top-100 a furia di buoni risultati Challenger e la prima imposizione di categoria a Saint Remy in autunno. È quindi da consolidato n.99 delle classifiche mondiali che il moscovita-nizzardo ha messo assieme la serie di buone partite che l’hanno portato a giocarsi il titolo contro Bautista. Prima finale a livello ATP per Medvedev dopo, al massimo, i quarti di finale raggiunti a Mosca lo scorso autunno, ma non certo da miracolato. Un’annata di buoni challenger e sparute apparizioni ATP oltre alla sfiorata qualificazione a Wimbledon parlano di un tennista magari non baciato dalle muse del talento più puro, ma di sicura capacità e applicazione.
Come racconta in un’intervista rilasciata al periodico russo online sport-express.ru, Medvedev vive ormai stabilmente in costa Azzurra da anni (lui parla di Nizza, la sua scheda ATP di Antibes ma non è una differenza poi così significativa) dove la famiglia si è spostata in blocco per raggiungere la sorella trasferitasi lì anni prima per lavoro. Nessuno studio da campione, apparentemente dunque, dietro la scelta del moscovita, che però – nella stessa intervista – ammette che “avevamo capito che in Russia sarebbe stato difficile costruire una carriera tennistica”. Di certo vivere e allenarsi sul Mediterraneo permette a Medvedev piccoli “lussi” come poter lavorare più mesi dell’anno outdoor e avere accesso a una varietà di superfici che la federazione russa – pure per motivi banalmente logistici e climatici – non gli potrebbe concedere con facilità. Nonostante la varietà, in ogni caso, Medvedev è un tennista russo fin dentro al midollo: esplosivo, amante degli scambi brevi, dotato di un servizio potente e fastidiosissimo e caratterialmente non estraneo anche a casi, per così dire, diplomatici.
Il più recente riguarda la sfida di play-off di Coppa Davis tra Russia e Kazakhstan che poi avrebbe riportato la nazionale che fu di Safin e Kafelnikov nel World Group; la federazione russa aveva chiamato Medvedev a prendere le armi, ma era arrivato il rifiuto del ragazzo, ovviamente accusato dai media di scarso attaccamento alla maglia e di bieco cinismo oltre che di sentimenti anti-nazionali per via della residenza in Francia. Nella medesima intervista citata poc’anzi, Medvedev risponde che in effetti il tema della residenza in Russia è centrale per la questione, ma solo per un pasticciaccio brutto di documenti bloccati in consolato e l’impossibilità concreta di uscire dai confini dell’Unione Europea.
Di ben altro peso, anche a livello regolamentare, il caso che ha visto Medvedev scontrarsi con un giudice di sedia durante il challenger di Savannah in primavera. I fatti, noti, riguardano il match di secondo turno del torneo suddetto: Medvedev è contrapposto a Donald Young e su una chiamata del giudice di sedia in favore dell’americano Medvedev va su tutte le furie e accusa di simpatie reciproche avversario e arbitro, il sottinteso è dato dal fatto che siano entrambi afro-americani. Arrivano poi le scuse in seguito a un colloquio con il supervisor, ma non bastano per evitare al giovane moscovita la sconfitta a tavolino e l’accusa strisciante di razzismo. Anche su questo tema Medvedev si giustifica come può, riducendolo a un episodio di rabbia e all’impulsività di frasi dette senza pensare quando ancora l’adrenalina può più che la razionalità e – anche dando fede al fatto che il razzismo non c’entri – l’auspicio è che possa limitare queste sfuriate al minimo per il bene della sua carriera in uno sport che non ammette facilmente comportamenti del genere.
Tornando al piano del gioco, lo aspetta ora l’esordio per la prima volta in uno slam dei grandi prima del quale ha, cautamente, annullato la sua partecipazione al challenger di Canberra. È ora di guardare un po’ più lontano e di spingere sul pedale dell’ambizione, le carte in tavola potrebbero esserci e per l’ennesimo evocato erede di Safin le luci stanno già iniziando a brillare.
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