Stefanos Tsitsipas, ‘tennista di ghiaccio’


Per raccontarvi Stefanos Tsitsipas, cominciamo da una metafora cinematografica.
Immaginate un duello. Già, un duello. Di quelli che si vedono nei film western. Due contendenti, due pistole, ci si gioca la supremazia in fatto di gioco, donne, denaro o chissà mai, fatto sta che le dialettica non è bastata, la questione va risolta con il ferro, vivere o morire, dominare o rovinosamente soccombere. Tutti avete nelle vostre menti una scena del genere, il villaggio radunato intorno ai duellanti, piazzati l’uno di fronte all’altro in mezzo ad una piazza quasi sempre polverosa, madidi di sudore, immersi nella consapevolezza che un solo gesto potrebbe determinare la fine o un nuovo inizio e che dalla loro prontezza di riflessi e velocità dipenderà il loro futuro. A questo punto generalmente i registi indugiano sui due protagonisti della tenzone ed è quasi sempre la stessa storia. Uno dei due suda più dell’altro, muove nervosamente la mano alla ricerca del calcio della pistola, sbatte le palpebre più spesso, sembra in preda ad un tremore isterico, i suoi occhi sono solitamente quelli che esprimono più cattiveria, come se questa foga e rabbia tradita dallo sguardo potesse far pensare allo spettatore che questa volta non vincerà il più calmo, non si imporrà il pistolero dallo sguardo fermo, fisso sull’obiettivo, dalla mano rilassata ma reattiva, dalla fronte appena corrucciata e lucida di sudore, come se questo duello potesse essere finalmente l’occasione di una rivincita per tutti coloro che di fronte ad un combattimento non controllano le loro emozioni ed affrontano la battaglia lottando in primis contro se stessi mostrando ansia, paura, nervosismo, voglia di sopravvivere, insomma essendo umani.
Ma non ci sarà nessuna rivincita per gli “umani”, in questo modo non si vince. Il nostro pistolero “di ghiaccio” con un movimento repentino del polso che fa partire nel momento giusto, dopo un’attenta osservazione del suo avversario, lascia come sempre tutti di stucco, disarma con un colpo della sua arma il malcapitato che gli sta di fronte lasciandolo a mangiare la polvere mentre si prende l’ovazione, i complimenti e l’ammirazione di tutti i presenti. Succede una, due, dieci, cento volte. Così nasce il mito del pistolero di ghiaccio, colui che affronta tutte le situazioni con lo stesso sguardo, con la stessa fermezza, con la stessa voglia e convinzione di essere il migliore, così cresce nei suoi avversari la paura di affrontarlo.
La sua fama di “freddo” lo precede, la sua capacità di lasciare le emozioni fuori dall’arena del combattimento gli permette tante volte di vincere ancora prima di battersi, così è il più amato dal pubblico e il più odiato dai suoi avversari. Stefanos Tsitsipas potrebbe essere il tennista di ghiaccio. Se è vero che un incontro di tennis può essere facilmente accostato ad un duello e che in questo particolare combattimento conta la gestione delle emozioni, oltre ad un innato talento e a spiccate doti fisiche, allora il paragone regge, eccome.
Giocare contro il greco è snervante. Ti riscaldi, prepari il match nel migliore dei modi, credi di aver fatto tutto ciò che è nelle tue possibilità per far sì che la miglior versione di te si presenti all’ingresso in campo, quando ti accorgi che lui sta facendo sempre, sempre, qualcosa in più di te. È difficile, se non impossibile, trovare qualcuno che prepari i match meglio di lui. Fino ad un attimo prima di scendere sul terreno di gioco Stefanos sta in campo, con Apostolos, padre/allenatore/guida, a scaldarsi, provare giocate, studiare schemi, ripetere più che può il suo piano di gioco, mentre in te che hai preparato la partita come sempre si insinua un’ansia crescente. La sua capacità di rendere ogni match unico, ogni avversario speciale, è la sua arma vincente. Apostolos studia, osserva, valuta, pianifica, Stefanos esegue, con abnegazione e attitudine che non penseremmo proprie di un ragazzo appena diciottenne. E così, in campo, l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una macchina da guerra, un predestinato, un sicuro campione, una maschera di sicurezza e forza che fin dal primo punto infierisce sulle mancanze o sulle debolezze dell’avversario, capace di trovare la risposta giusta in ogni situazione di gioco, attaccare al momento giusto, mettere pressione, prendersi il punto anche a rete, aumentare le percentuali al servizio e alla risposta nei momenti decisivi, ma stringere anche i denti, soffrire, se serve. Tutto per l’obiettivo, tutto per vincere, tutto senza mai (o quasi) tradire un minimo di tensione, nervosismo, ansia, una vera e propria maschera, roba appunto da film.
Tsitsipas è una perla rara, coniugare in un ragazzo così giovane la maturità di un veterano, l’umiltà, la voglia di migliorarsi, di lavorare, di superare ogni giorno se stesso e i propri limiti non è facile, ci vuole un team di livello ma anche tantissimo aiuto da parte degli Dei del nostro sport che in lui sono riusciti a creare un piccolo capolavoro, ancora non del tutto compiuto ma pur sempre, anche al momento, un’opera d’arte. Cosa o chi possa fermare questo ragazzo greco, che porta sulle spalle il peso di una nazione tennistacamente da sempre povera è un mistero.
Irrobustendosi fisicamente potrà sicuramente munire i suoi colpi di ancora più pesantezza, rendere il suo rovescio ad una mano un’arma ancora più letale, ottenere ancora più punti solo con il servizio e il dritto, permettersi di giocare a qualsiasi livello nel modo che gli è più congeniale (cioè in costante pressione non disdegnando la ricerca della rete) e soprattutto di vincere, anche a livelli di eccellenza. Tutto sembra pronto per la sua esplosione, in qualche anno potrebbe consacrarsi frequentando i piani alti del ranking ATP, cosa che è ampiamente nelle sue possibilità, l’unica incognita, sembra strano dirlo, potrebbe essere caratteriale.
Il rapposto col padre, cosi fondamentale nella sua crescita tennistica, ma così “ingombrante”, quasi un’ombra anche fuori dal campo, potrebbe non aiutarlo tantissimo. Stefanos sorride e parla molto poco, a volte sembra avvolto da un alone di tristezza che svanisce solo quando fa il suo ingresso in un campo da tennis, luogo che sembra per lui un vero e proprio “rifugio”, l’habitat naturale in cui esprimersi e lasciarsi andare, una vera via di fuga in cui però sa incantare ed eccellere, e questo potrebbe essere un’arma a doppio taglio nel caso la vita (facendo tutti gli scongiuri del caso) lo mettesse davanti ad una difficoltà quale un lungo stop.
In ogni caso è davvero un giocatore impressionante, raramente si vedono ragazzi della sua età così concentrati sull’obiettivo, sempre assolutamente sul pezzo. Un episodio per chiudere, Challenger di Manerbio, Stefanos gioca un match di 4 ore contro il Brasiliano Fabiano de Paula: partita persa dopo oltre 3 ore per 75 al terzo, al termine della partita, con grandissima serenità (tra l’altro insieme al fratello più giovane, altro buon prospetto), inizia a lavorare atleticamente, scatti e navette per oltre mezz’ora. Della serie, niente e nessuno mi fermerà.
In bocca al lupo, tennista di ghiaccio.

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