La rinascita degli over 30: cresce l’età media dei top 100


La carta d’identità di un tennista è sempre stata una faccenda importante, soprattutto se si parla dell’anno di nascita. Con questo problema ci convivono tutti i professionisti e con il passare degli anni il campo aveva dato dei verdetti molto chiari con un numero: 30 anni. Passata quest’età è meglio iniziare a dosare le forze, prepararsi a salutare il circuito e dedicarsi ad altra attività.
Ma è ancora un numero valido per il tennis moderno? Basta guardare le classifiche per rendersi conto di un dato molto curioso: negli ultimi 10 anni tra migliori 100 del ranking ATP c’è stato un aumento impressionante di presenze “over 30” passando dai 7 tennisti del settembre 2006 ai 33 di questa settimana dove, tra l’altro, ci sono addirittura anche 3 “over 35”.
Inoltre questo è anche l’anno di alcuni record di longevità e, senza scomodare la leggenda Ken Rosewall (capace di chiudere il 1978 nei primi 50 del mondo a 44 anni compiuti), possiamo citare la vittoria di Ivo Karlovic, 37 anni, nell’Atp di Newport (un risultato simile non accadeva dal 1979) e il primo torneo ATP vinto da Paolo Lorenzi a Kitzbuhel che, con i suoi 34 anni e 7 mesi al momento della vittoria, è stato il tennista più vecchio a raggiungere la sua prima affermazione.
Ma questo tipo di fenomeno è molto più sistematico e non riguarda solo ed esclusivamente ATP 250 o tennisti anomali alla Karlovic.
TENNIS DI VERTICE. Nei primi 20 del mondo abbiamo ben 6 tennisti over 30: Wawrinka, Federer, Berdych, Tsonga, Ferrer e Karlovic. Prendendo i casi singolarmente possiamo dire che l’età sta influendo in maniera relativa: Wawrinka ha appena vinto il suo terzo torneo dello Slam facendo coincidere il suo miglior tennis proprio in queste ultime stagioni; Federer, nonostante un numero mostruoso di partite giocate in carriera, fino allo scorso anno riusciva a raggiungere le finali Slam e solo un Djokovic stellare gli ha impedito di scrivere altri record; Berdych e Tsonga seppur in calo continuano comunque a ben figurare nei tornei dello Slam e a non perdere il treno dei posti migliori e in passato altri tennisti con una carriera simile arrivati a quel punto avevano già appeso la racchetta al chiodo o navigavano nelle retrovie della classifica; Ferrer è quello che sta faticando più di tutti dopo una carriera esemplare e durissima, ma non dobbiamo dimenticare che è riuscito a diventare numero 3 del mondo e a raggiungere la finale al Roland Garros a 31 anni.
Oltre a questo, è interessante anche la statistica relativa agli ultimi quattro tornei Slam: ai quarti di finale l’età media è oscillata tra i 28 e i 30 anni. Un intervallo di tempo che, con buona probabilità, può essere considerato il periodo di massima maturazione nel tennis moderno maschile.
ROMPERE GLI SCHEMI. Si parla spesso di un tennis che sta andando verso una direzione monotona, con le giovani promesse che hanno un’impostazione di gioco simile e le superfici rese sempre meno differenti tra di loro. In questo contesto resistono ancora alcuni interpreti della vecchia scuola come ad esempio Feliciano Lopez e Nicolas Mahut, entrambi capaci di raggiungere il best ranking dopo aver compiuto i trent’anni. Ad aiutare il 12esimo posto raggiunto dallo spagnolo c’è sicuramente un mix che vede il suo tennis d’altri tempi (brillante e poco dispendioso dal punto di vista fisico) e la sua esperienza che gli ha permesso di portare a casa match in passato persi per via di continui black-out mentali. Per Mahut, invece, c’è stata una vera e propria scalata grazie alla sua capacità di interpretare al meglio il tennis sul veloce costruendo lì la sua scalata:  4 Atp su 4 vinti sull’erba e tutti dopo i 30. Per quanto riguarda Karlovic siamo, appunto, di fronte ad una vera e propria anomalia: per quanto possa essere problematico muovere più di 100 chili distribuiti su 2 metri e 11 in un campo da tennis, la capacità con cui riesce a servire è sufficiente per vincere una partita. E con un tennis basato su 1-2 colpi il gigante croato può andare avanti anche oltre i 40 anni e continuare a vincere tornei.
LA LUNGA GAVETTA DEI CHALLENGER. Quest’anno è toccato a Paolo Lorenzi scrivere una pagina storica del libro degli outsider. Il tennista azzurro sta continuando a stupire anno dopo anno grazie alla sua sontuosa scalata del ranking: dopo una breve comparsata nel 2009 tra i primi 100 fatta esclusivamente grazie ai Challenger, c’è voluto più di un anno e mezzo per ritornare nella classifica che conta quando ormai tutti pronosticavano una carriera che a breve si sarebbe conclusa. Ma dal 2012 Lorenzi ha praticamente iniziato una seconda giovinezza giocando quasi esclusivamente tornei ATP e salendo sempre di più in classifica al punto da essere convocato in Coppa Davis, raggiungere i primi 50 del mondo, vincere il suo primo torneo ATP e diventare il numero 1 d’Italia. Quando la sua carriera finirà la FIT dovrebbe, per legge, imporre una sua gigantografia all’ingresso di ogni scuola tennis.
Ma non finisce qui perché lo scorso anno toccò al dominicano Estrella Burgos, altro capolavoro del tennis, togliersi la soddisfazione di vincere il suo primo titolo ATP a Quito dopo aver compiuto 34 anni e, soprattutto, dopo aver praticamente accarezzato l’idea del ritiro quando alla soglia dei 30 era ancora impantanato tra challenger, futures e infortuni in Sud America.  E quest’anno, sempre a Quito, Estrella ha anche concesso anche il bis.
Sempre dai Challenger vengono Jaziri (classe 1984) e Robert (1980) che sono ad un passo dall’entrare nei primi 50 del mondo e Dustin Brown (1984) che potrebbe rientrare tranquillamente nella categoria dei tennisti anomali per via del suo tennis schizofrenico, ma non spiegherebbe del tutto la portata della sua impresa: in giro per l’Europa a caccia di Challenger a bordo di un camper per poi ritrovarsi ad Halle a battere Nadal e a concedere il bis addirittura sul centrale di Wimbledon.
Pare proprio che questa famosa soglia limite si sia già spostata dai 30 ai 35 anni e un ruolo particolarmente importante nell’allungare la carriera dei neo-trentenni è da imputare alla riforma del calendario ATP del 2009: riduzione del numero di settimane di tennis giocato, classifica che prende solo i migliori 18 risultati con alcuni obblighi di partecipazione per le teste di serie nei tornei più importanti, bye al primo turno nei tabelloni per le teste di serie che permettono ai tennisti (abituati a giocare almeno fino al sabato) di avere un paio di giorni in più per recuperare le fatiche del torneo precedente ed essere pronti per il successivo. Altro aspetto da non trascurare è la programmazione maniacale:  della tecnologia utilizzata sempre di più a supporto delle preparazioni atletiche fino alla scelta dei tornei da giocare decisa già a dicembre, con il costante affiancamento di un vero e proprio team lungo tutta la stagione.
Tra top player, vecchia scuola e tanta gavetta emerge comunque un aspetto comune: il ricambio generazionale tanto atteso più che essere “in ritardo” si sta praticamente spostando più avanti nel tempo. Le difficoltà precedentemente incontrate da Raonic, Dimitrov o Tomic e che adesso riguardano Kyrgios, Thiem, Coric e Zvererv sono legate ad un modo di giocare che è profondamente cambiato. L’esuberanza e il talento sembrano non essere più sufficienti per emergere se prima alla base non c’è un solido lavoro atletico e mentale (molto delicato nel passaggio junior-pro) su cui costruire il proprio tennis.

Leggi anche:

    None Found