Di Andrea Martina
Quello che teoricamente era ricordato come lo Slam delle sorprese, nei fatti al maschile, si è sviluppato con un copione già scritto al momento del sorteggio. Non ricorderemo quest’edizione degli Australian Open per un Baghdatis o un Gonzalez in finale, un Wawrinka trionfante oppure per una giovane finale come successo nel 2008, l’anno del Djokovic-Tsonga.
Tutto si è sviluppato senza troppi sussulti e anche i giovani padroni di casa, attesi al grande salto e spesso coinvolti in eliminazioni eccellenti, sono stati rimandati all’anno prossimo.
L’Australia ricorderà lo Slam 2016 soprattutto per l’addio al tennis giocato del suo ultimo numero 1, Lleyton Hewitt, che adesso si occuperà della squadra di Coppa Davis assumendo anche un ruolo di “padre nobile” per i giovani talenti che sta sfornando la scuola australiana.
Proprio questa scuola, caduta in piena crisi dopo la parabola discendente di Hewitt, è oggi tra le più chiacchierate del mondo per qualità e quantità delle giovani promesse portate nel circuito dei più grandi. Dal quarto di finale di Wimbledon raggiunto da Bernard Tomic nel 2011 ad oggi, l’Australia ha iniziato a guardare oltre Hewitt e a rendersi conto di avere un patrimonio che, in prospettiva, potrebbe avere un impatto molto importante.
I tre assi di questo boom sono senz’altro Tomic, Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis, ma se vediamo i top 15 australiani (tutti nei primi 300) ci rendiamo conto che 11 di loro sono degli under 25 e, chiaramente, in ascesa. Dal panorama “junior”, poi, abbiamo solo conferme con De Minaur, classe 1999 e numero 2 del ranking, e Olivier Anderson, nato nel 1998 e ultimo vincitore dell’Australian Open Junior.
Una crescita continua che però non ha avuto conferme nello Slam di casa, soprattutto se viene fatto un paragone con l’edizione del 2015. Quest’anno, tra derby e teste di serie, gli australiani si sono ritrovati con un tabellone molto duro ed il solo Tomic è riuscito a raggiungere un ottavo di finale, guadagnato peraltro a discapito del connazionale Millman.
Concentrandoci proprio sui 3 “assi” di questa nuova generazione, ed escludendo temporaneamente Kokkinakis perché assente (operazione ad una spalla), appare curioso vedere come Tomic e Kyrgios siano stati eliminati dagli stessi avversari dello scorso anno a parti invertite: Berdych e Murray.
Parliamo di tennisti di un livello altissimo, che da anni occupano le prime posizioni del mondo, ma se Tomic e Kyrgios sono chiamati al salto di qualità è proprio in queste occasioni che devono essere capaci di far saltare il banco. Ma vediamo i casi separatamente.
Tomic ha raggiunto per la terza volta gli ottavi di finali nello Slam di casa e sia con Berdych ieri che con Murray oggi non ha racimolato neanche un set. Ancora troppa sembra essere la differenza tra lui e i top 10: per quanto il suo tennis sia pulito e brillante sembra ancora essere fine a se stesso, continuano ad esserci evidenti gap da colmare soprattutto nella reattività in risposta e negli spostamenti; l’unico passo avanti che si è visto in questi 5 anni tra i professionisti è stato un suo migliore rendimento nei tornei minori che lo ha portato ad entrare nei primi 20 del mondo ad inizio stagione. Più che un problema relativo al tennis a Tomic sembra mancare la mentalità del campione e un esempio molto chiaro lo abbiamo avuto nel secondo turno con Bolelli, un match praticamente già vinto che ha rischiato di arrivare al quinto set: il tennista azzurro, visibilmente infortunato (giocava da fermo e serviva prime a 150 km/h), era riuscito a mandare fuori giri il suo avversario con l’unica arma che aveva in quel momento, il dritto, e dall’altra parte Tomic era andato in confusione totale per poi riuscire a venirne a capo con il suo efficace servizio. Con Murray, invece, nessuna novità o strategia che potesse impensierire il numero 2 del mondo, ma semplicemente una serie di colpi confusi sparati contro uno dei migliori ribattitori del circuito. Per quanto il ranking possa in questo momento non essere un problema (è comunque tra i primi 20), Tomic dovrà anche iniziare ad “uscire” dalla sua amata Australia e misurarsi nei Master 1000, territorio fondamentale per la caccia ai primi 10 posti del mondo, dove per il momento non ha fatto pervenire grandi risultati.
Discorso praticamente analogo può essere fatto per Nick Kyrgios, con la sola premessa di parlare di un tennista più giovane di 3 anni e forse con ancora più talento rispetto a Tomic. Anche lui è passato dal boom di Wimbledon (quarti di finale nel 2014 ed eliminazione di Nadal) e si è fatto largo agli Australian Open ancora grazie ad un quarto di finale, 2015: in quell’occasione aveva sfruttato l’eliminazione di Federer nel suo spot e un Seppi timido negli ottavi (8/6 al quinto). Perdere con Murray non è certo una colpa, ma quella prestazione aveva acceso senz’altro i riflettori su di lui per quest’anno. Il terzo turno con Berdych poteva essere la consacrazione e invece è stata una bocciatura: ancora troppo forte il ceco che oltre a giocare un’ottima partita ha disinnescato il carattere esuberante del giovane Nick, ancora troppo attaccato al ruolo di “intrattenitore” e poco a quello di tennista.
Nonostante questo dalla sua Nick ha tutto il tempo, dal momento che a 20 anni può vantare già due quarti di finale ad uno Slam e un best ranking al 25esimo posto. Paradossalmente ogni torneo potrebbe essere quello buono per la consacrazione, ma anche nel suo caso bisogna porsi un punto interrogativo sul suo tennis: da Wimbledon 2014 in poi l’evoluzione è stata minima, l’efficacia dei colpi è disarmante così come sono le sue amnesie nel corso dei match. Considerando il tennis algido e robotico grazie al quale Djokovic si sta imponendo sul circuito, quello di Kyrgios è sicuramente una benedizione, ma il rischio di diventare uno Tsonga 2.0 (con tutto il rispetto per Jo-jo) è dietro l’angolo.
Andando nelle retrovie sarà curioso vedere come rientrerà Kokkinakis (la federazione punta su di lui già da quando era un bambino) dopo l’infortunio e se il duo Groth/Millman possa togliersi qualche bella soddisfazione in singolare. Inoltre quest’anno l’Australian Open ha visto una nuova leva di casa, l’ennesima, affacciarsi al grande pubblico: Omar Jasika, classe 1997, capace di vincere contro Marchenko il suo primo match da professionista e regalarsi un secondo turno contro Tsonga.
Con Hewitt, invece, finisce una bella storia che è servita soprattutto a traghettare gli australiani negli anni 2000, orfani ormai del grande Pat Cash. Proprio “Rusty” è stato l’ultimo vincitore australiano di uno Slam e adesso affiancherà questo movimento pieno di potenzialità ma ancora orfano della sua cattiveria e determinazione.
Dal giugno 2006 l’Australia non ha un suo rappresentante nella top 10 e quest’ultimo Slam sembra tanto essere la quiete prima della tempesta.
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