Con l’off season appena cominciata ci pensa Roger Federer ad infiammare il mese di triste crisi d’astinenza per gli appassionati della racchetta sparsi nel globo. La notizia è di quelle che catalizza l’attenzione di tutti: lo svizzero scioglie consensualmente il rapporto di partnership con Stefan Edberg e, per affiancare Luthi, sceglie Ivan Ljubicic da poco separatosi da Raonic, affidato ora in toto ai servigi di Riccardo Piatti.
C’è molta carne sulla griglia ed occorre, quindi, analizzare il tutto con calma e raziocinio. Innanzitutto l’interruzione del rapporto lavorativo tra Roger ed il campione svedese è una sorpresa solo ad un occhio poco attento. Anzi, doveva sorprendere maggiormente la presenza di Edberg sulla panchina del diciassette volte campione Slam anche nel 2015, prolungando su insistenza dello stesso Federer la collaborazione che in principio prevedeva l’impegno per il solo 2014. Edberg è socio di una società di asset management svedese – la Case – ed è questo il suo principale impiego dopo aver appeso la racchetta al chiodo. Ha i suoi affari a Londra lo svedese e si è prestato a tornare brevemente nel tour solo perché il richiedente ha su di lui un discreto ascendente oltreché – è lecito immaginare – un tutt’altro che modesto stipendio da offrire. Insomma, per dirla come fece Marlon Brando: un’offerta che non si può rifiutare! Un viaggio, quello compiuto da Federer ed Edberg, più che soddisfacente, sebbene privo di titoli Major, in cui il basilese ha mutato tecnicamente e tatticamente il suo tennis spingendosi sempre più avanti, senza freni inibitori, per sfruttare appieno ciò che ha (uno sconfinato talento) e mitigare ciò che invece non ha, o meglio non più (la resistenza ed il fisico di un venticinquenne). Un viaggio che trova ora epilogo tramite un post sul profilo Facebook di Federer in cui il trentaquattrenne non risparmia la solita ammirazione che sempre ha ammesso di nutrire nei confronti dell’ormai ex coach, sottolineando una volta di più di come è stato bello e fruttuoso poter lavorare col suo idolo d’infanzia, “it was a dream come true”, parola di Roger! Pare, dunque, solare che Federer abbia dovuto rinunciare a mastro Edberg controvoglia, o meglio per volere dello svedese.
Il volto nuovo: Ljubicic.
Più che la motivazione della scelta (Ljubicic è una persona intelligentissima, un ottimo tattico oltreché un fidato amico di Federer e tutto lo staff rossocrociato) è forse di maggiore interesse interrogarsi sulla scelta in sé. Roger, alla vigilia di una stagione che lo vedrà ad agosto soffiare su trentacinque candeline, dimostra una volta di più d’essere vivo, presente, voglioso di continuare il viaggio per scivolare via dal professionismo lottando ancora coi primi della classe, facendo parte dei primi della classe, in quella che sarà l’ultima fase di una carriera leggendaria. Avrebbe potuto affidarsi completamente alle cure di Severin Luthi, che siede al suo fianco dal 2008 e che resta l’head coach come direbbero oltreoceano, oltre che al suo ormai consolidato staff (Daniel Troxler e Pierre Paganini) e invece no: vuole ancora aggiungere qualche tassello ad un meccanismo che, se non è perfetto, è difficilmente perfettibile. La scelta di Ljubicic è una scelta dettata innanzitutto dal rapporto che lega i due, che i beneinformati indicano come di sincera amicizia e stima reciproca. Una base necessaria, quella della fiducia nel coach, per un campione per potersi confrontare ed iniziare un paritario rapporto lavorativo, elementi logici quasi banali che però a questi livelli sono tutt’altro che scontati. Un campione del calibro di Federer, infatti, deve prima riconoscere una sorta di merito a livello umano prima e professionale poi in chi lo “istruirà” sul campo per poter essere a disposizione al 100%. Un esempio semplice l’ha offerto lo stesso Edberg: quasi tutti i coach avuti da Federer lo hanno esortato ad un atteggiamento più offensivo, a scendere a rete prima e più spesso, ma c’è voluto il carisma e la personalità che l’elvetico riconosce ad Edberg per mettere in pratica quanto tutti hanno detto e pensato.
Impatto-Ljubo.
A ben vedere, è un esercizio pleonastico provare ad affermare sin da ora cosa darà Ljubicic, come interverrà, cosa cambierà e dove lavorerà maggiormente. Per la vicinanza professionale (e non) al nostro Paese, gli appassionati italiani hanno avuto il privilegio di poter ascoltare Ljubo in telecronaca e negli studi di Sky ed è stato estremamente facile intuirne la sagacia tattica e la lucidità nelle analisi. Chiaro, è molto facile parlarne in giacca e cravatta davanti al touch-screen, ma l’ultima stagione il croato ha guidato – in coabitazione col suo mentore Piatti – Milos Raonic, senza eccellenti risultati, maturando tuttavia quella prima esperienza diretta necessaria al suo nuovo lavoro. E’ una grande sfida ed un’occasione per Ivan all’alba della sua seconda vita professionale, è una nuova sfida per Roger al crepuscolo di una carriera da fantascienza. L’esito ovviamente è incerto, ma Federer ha mandato al circuito un nuovo squillo: mai fermo, mai sazio, mai domo.
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