Come ogni fine stagione che si rispetti, anche in casa ATP è tempo di bilanci. Fra le sorprese del 2015 c’è sicuramente Taro Daniel, il più occidentale dei giapponesi, che a coronamento di un continuo percorso di crescita ha chiuso il suo anno solare fra i primi cento giocatori del mondo (n.96).
La sua è una storia molto particolare. Taro nasce a New York, nel 1993. Papà Paul è americano, mamma Yasue, invece, giapponese. I suoi primi contatti con il mondo del tennis arrivano all’età di sette anni, nel dopo scuola di Saitama, per poi proseguire presso la Shinrin Longwood Tennis Academy di Nagoya City, città dove si trasferisce la sua famiglia prima del grande passo verso l’Europa. Il papà di Taro, infatti, è irremovibile quando decide che per migliorare il tennis di suo figlio (ma anche di sua figlia Kana, top 800 WTA) c’è bisogno di altro. L’aereo della famiglia Daniel, però, non è diretto verso gli States. Nossignore. Si atterra a Valencia, in Spagna, dove presso l’accademia Tenis Val (la stessa di David Ferrer e Sara Errani) matura la vena terraiola di Taro, così anomalo e così lontano da tutti i robot “made in Bollettieri”.
Divenuto professionista nel 2010, i primi anni sono quelli buoni per farsi le ossa nei Futures, dove si migliorano tecnica e mentalità prima del salto di categoria.
La prima semifinale Challenger arriva in patria, a Yokohama, nel 2012, mentre l’anno successivo, in quel di Yeongwol (Corea del Sud), l’americano Bradley Klahn gli nega la gioia del suo primo titolo, all’esito di una stagione che lo vede comunque chiudere numero 241 al mondo.
Con la classifica giusta e un pizzico di esperienza in più, il 2014 è l’anno in cui Taro si affaccia nel circuito maggiore: fuori al terzo turno di qualificazione per gli Open di Australia per mano di Thomaz Bellucci, ma anche quarti di finale nell’ATP 250 di Vina del Mar (passando dalle qualificazioni e superando prima Bellucci, poi Delbonis, prima dell’ostacolo Almagro), exploit che vale la prima convocazione in Coppa Davis per il match di World Group contro la Repubblica Ceca. Nello stesso anno arrivano anche la qualificazione per il 250 di Oeiras, la finale al Challenger di Siviglia, e infine, ma non per ordine di importanza, il primo match in uno Slam (US Open), dove cade al primo turno per mano del bombardiere canadese Milos Raonic.
Nel 2015, dopo le partecipazioni ai tornei di Casablanca e di Montpellier, è giunta finalmente la prima vittoria, al Challenger di Vercelli, ai danni del nostro Filippo Volandri, cui è seguita, nel mese di luglio, anche la cavalcata vincente di Furth, dove ha lasciato le briciole ad avversari come Rola, Zeballos e Montanes, non proprio gli ultimi arrivati in quanto a match sul mattone tritato. In mezzo, la seconda partecipazione ad un torneo dello Slam, gli Open di Francia (fuori al primo turno sotto i colpi del mancino spagnolo Fernando Verdasco), prima del capolavoro di fine settembre, il punto decisivo per il suo Giappone nello spareggio contro lo Colombia (3-0 secco ad Alejandro Falla). La sua prima, memorabile, vittoria in un incontro di Coppa Davis.
Dando uno sguardo ai risultati dell’ultima stagione non si può non accorgersi della lenta ma costante evoluzione del giovane giapponese. Un fenomeno curioso e affascinante allo stesso tempo. Grinta, coraggio e abnegazione, tipiche di un latino D.O.C., si fondono in un mix esplosivo con la rapidità di esecuzione e la capacità di leggere ogni sfida che connotano ogni asiatico, in ogni sport.
Dritto arrotato e con un buon rovescio bimane, Taro è forse ancora un po’ leggero fisicamente e con un servizio non all’altezza della sua statura (pochini i punti diretti con la battuta per essere 1,90). Ad ogni modo, a fare sensazione è la metodicità con cui alle buone prestazioni sono seguite le conferme. E sembrano destinate a non finire qui.
“È sbagliato fissarsi sulle idee e sulle cose”, ha risposto recentemente Daniel a chi gli chiedeva dei suoi obiettivi e dei propositi per il futuro. “Ora mi godo il momento e penso a lavorare duro, il tempo non manca di certo”.
Il 2016 è ormai alle porte e potrebbe essere l’anno giusto per la definitiva consacrazione. Non solo del giovane Samurai, ma anche per le speranze di una intera nazione pronta ad accogliere a braccia aperte l’alba di un nuovo Nishikori.
La strada è quella giusta.
Vamos, Taro!
Domo arigatou.
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