Lo stress per la ricerca di una casa, e tutti gli annessi e connessi che ne conseguono, mi hanno portato a vedere la possibilità di spendere due giorni in terra bresciana, in corrispondenza del challenger di fine anno, in maniera del tutto ottimistica. Vedere tennis, passare del tempo con gli amici, scrivere due cose: cosa c’è di meglio al mondo? Boh, magari, ecco, per poterlo fare, avere indicazioni più chiare su dove trovare dei taxi, se si eccettua la stazione centrale (risultato finale, ho trovato un taxi solo in stazione centrale), oppure una camera pronta anche qualche minuto prima del check-in. Insomma, minuzie, se paragonate a quello che può accadere nella vita di tutti i giorni, per cui, salito sulla prima vettura libera per raggiungere il Centro San Filippo, per il secondo anno proscenio, per una settimana, del circuito secondario dell’ATP, mi separano pochi chilometri da quello che sarà il fulcro dell’intera giornata. Luca Fiorino, valido collaboratore di SpazioTennis e sempre a suo agio in questi palcoscenici, mi riferisce di raggiungerlo al campo 1, non appena arrivato, per vedere l’incontro tra Dudi Sela e Roberto Marcora.
Memore dello scorso anno, in cui il campo secondario si trovava in un altro centro sportivo, distante a tal punto che il trasporto era possibile soltanto via automobile, l’idea di “andare al campo 1” mi ha trasmesso la sensazione che buona parte delle disponibilità pensate per questa mini-trasferta sarebbero state devolute all’associazione dei taxisti bresciani, ma, per mia fortuna, e non solo mia, il seconda campo destinato alla kermesse era stato posizionato in prossimità dello stesso centro, dalla parte opposta rispetto al campo da calcio in rigorosa erba sintetica e prossimo a quello principale dove i calciatori del Brescia sono usi allenarsi. Per permettere un regolare afflusso a uno stuolo di curiosi, dal momento che il campo 1, così come gli altri campi destinati agli allenamenti – ma chiaramente in questo caso non vi è nulla di anomalo – è una tensostruttura come ce ne sono svariate in tutti i circoli del Nord Italia, era stata creata una tribuna inglobata con qualche artifizio che permetteva a una ventina di fortunati, coach compresi, di avere un posto a sedere. Nonostante qualche impedimento, la visuale era più che passabile. Dopo le sensazioni dei primi giorni, che registravano manti di estrema rapidità, era per me curioso notare come i primi giochi dell’incontro che inaugurava la mia presenza in terra bresciana erano tutt’altro che veloci, sia come punteggio sia come numero di scambi all’interno dei punti.
Sela è un giocatore noto, dimostra il perché ha avuto un passato abbastanza glorioso, si muove molto bene, e a onor del vero, dalla difficoltà che mostra Marcora nei primi giochi, nel tentativo di mantenere il servizio, eravamo portati a credere (e a scommettere, se fossimo dediti) che il primo ad agevolarsi di un break sarebbe stato l’israeliano, ed invece un improvviso innalzamento di gioco dell’azzurro (e di prime palle in campo) ha permesso a quest’ultimo di incamerare la prima frazione. La rottura di Sela, ben aiutata dall’ottimo gioco espresso dal lombardo, sembrava destinata a perdurare, fino a quando una chiamata, forse non errata ma tardiva, del giudice di sedia (una copia ben riuscita di Piergiorgio Favino, a dire il vero, tanto che un selfie a fine partita ci sarebbe potuto stare) faceva infuriare Dudi – che mostrava un registro vocale clamorosamente basso e inatteso – il quale decideva che, se una reazione doveva esserci, quello era il momento giusto. Giungevano così cinque giochi consecutivi da parte di Sela, che equivalevano al pareggio nel computo dei set, ma non significavano un cambio dell’inerzia all’interno dell’incontro, con Marcora che tornava a dominare, a dettare il gioco, sfuggendo agli scambi prolungati che inevitabilmente avrebbero favorito il suo più esperto avversario. Riacciuffato sul 3-3, Roberto tornava ad avere palle break nell’ottavo gioco, e se le prime due non erano preludi al break, lo diveniva la terza. Per gli amanti delle belle storie, c’è da sottolineare il fatto che prima di questo, decisivo, punto il padre di Marcora, guardando il figlio, si è lasciato sfuggire due semplici parole, tra le poche dette durante il match “Dai ora!”. Cinque punti consecutivi e partita in archivio, per un secondo turno molto importante per un tennista che nel 2016 vorrà tastare con maggiore accuratezza i campi veloci.
L’incontro durava quasi due ore e per la superficie è quasi un miracolo anche se “Sul campo centrale è un’altra cosa.” Già, ed è così, poiché, dopo un veloce pasto in un ristorante convenzionato nei pressi del centro sportivo, in cui si palesavano nel tavolo a fianco Caruso, Volante e Virgili – gli ultimi due protagonisti di un doppio giocato sul campo principale e durato tre quarti d’ora, per dire – nel pomeriggio avrò le mie conferme, nelle lunghe ore passate all’interno della Sala Stampa, sita “sopra” il campo principale, che, pur essendo la stessa dello scorso anno, mi sembrava più spaziosa. Considerazione abbastanza inutile, ma che sentivo il desiderio di condividere. Ad onore del vero, mentre Berrer e Nedovyesov si scambiavano mazzate in campo, i primi minuti li ho dedicati ad alcune ricerche relative alle Finals che un collega/amico, Federico Mariani, mi sollecitava direttamente da Londra. Sosteneva che gli giungessero direttamente da Gianni Clerici: curiosa situazione, che mi portava ad agire, e al tempo stesso a pormi interrogativi inesplicabili. “Abbiamo attivato anche Greg Sharko”. Livello troppo altro, mi viene quasi voglia di abbandonare, ma non posso e porto a termine il compito, ma poi si passa a seguire Brescia.
In sala l’irreprensibile Riccardo Bisti, ma anche Michael Braga, noto amante dei tennisti dell’Est Europa, che non gradisce, o quantomeno suppongo, la conclusione del match, in particolare quando l’ucraino di passaporto kazako, dopo essere arrivato molto vicino al match-point, ha cominciato a far trasparire come mai siano passati praticamente 4 mesi dall’ultima volta in cui ha stretto la mano vittoriosamente a fine incontro. Ai due mini-break che sanciscono la svolta nel tie break del terzo set, Oleksandr scaglia a terra violentemente la racchetta, come per sfogare la frustrazione di un momento-no, di certo il peggiore da quando è diventato un giocatore vero – e pensare che a Febbraio, nella vicina Bergamo, si era distinto con un grande torneo che lo aveva visto spingersi fino in finale – prima di lasciarsi andare a una costernata e ineluttabile rassegnazione, come se la sconfitta fosse ormai il normale corollario di ogni incontro. Piuttosto triste, a dire il vero, aggettivo che non si può invece applicare a Marco Chiudinelli, che nonostante paia essere subito in affanno fisicamente, annulla 6 set-point nel primo set e chiude vittoriosamente due tie break contro il bielorusso Egor Gerasimov, che era giunto a Brescia forte del successo di Bratislava e avrebbe sperato di mettere in cascina altri punti. Non aveva però fatto i conti con l’esperienza e il talento dell’elvetico che ha voluto ribadire quanto abbia ancora da dare a questo sport.
Mentre sul campo scorrevano queste immagini, in tribuna stampa, beh, è inutile dire che qualche diversivo ci ha accompagnato in maniera viva ed esilarante, come l’incontro che in quelle ore si disputava a Shrewsbury, Gran Bretagna, tra Bianca Turati e Alice Matteucci, con la prima vincitrice di una maratona durata oltre 4 ore, oppure un’intervista che Stefano Berlincioni poneva ad Alessandro Motti, in cui ho scoperto che il reggiano se dovesse scegliere un tennista, tra quelli con cui ha fatto coppia, per fare un’ipotetica carriera assieme, si orienterebbe in prima battuta verso l’australiano Peter Luczak. Resto basito, ma non capisco il perché della mia reazione, poiché non è che mi occupi di doppio, e magari ci può stare benissimo. Chi sono io, e quante vale il mio giudizio? Poco, però all’inizio del tie break del terzo set ero l’unico che si era speso per una vittoria della Turati, e questo è un chiaro messaggio ai miei compagni di cabina targati Spaziotennis, che, a dire il vero, sono stati perfetti quando hanno catturato un video che mi cattura in atteggiamenti di cui dovrei vergognarmi, per quanto sia sufficiente questo pezzo per una reazione tale.
Tra una chiacchierata e un ace, è proprio il caso di dirlo, giunge l’ora della cena, che Michele Galloppini ha organizzato in un ristorante giapponese sempre a Brescia, ma non saprei dirvi la zona, perché la Leonessa d’Italia non la conosco. Durante il viaggio, un altro collega/amico, Giulio Gasparin, decide di allietarci con della musica e la sua selezione regala come prima canzone quella dei Red Hot Chilli Pipers (non è un errore di battitura): peraltro tutto questo funge da sottofondo ad una supercazzola su Pia Cuk che il duo Gasparin&Galloppini mi rifila, a cui abbocco, perché sono un sognatore che ama credere, anche se non dovrei farlo. Alla cena partecipano buona parte dei già citati, oltre al direttore Alessandro Nizegorodcew (e vabbè, che la cena si faceva senza di lui?) e a Marco Caldara, che ci immortala in una foto memorabile. Durante la fase di nutrizione i discorsi scorrono veloci, il tennis è sempre centrale, mi ritrovo un po’ a sorpresa fan di Christoph Negritu, ma soprattutto lancio un’idea che vorrei rendere pubblica agli organizzatori di questo Challenger, ma in generale di tutti i tornei.
Perché invece di fare un quiz con risposte di dubbio interesse (tipo quante palline servono per riempire Piazza della Loggia), non proponete magari qualcosa di più centrato sul tennis, minore, per regalare così al vincitore la possibilità di scegliere a chi conferire una wild card? Poi questo deve essere sgamato e non dire Roger Federer (grazie), ma trovare un nome interessante (non so, tipo Marko Tepavac o Clay Thompson, magari Clay Thompson) che possa spostare l’interesse. Qui comprendo quanto le idee che approssimativamente elabori davanti ad un vassoio di sushi con della birra una volta espresse nero su bianco non siano così geniali come pensavi e desisto. Ma poi chi avrà avuto il coraggio di raggiungere questo punto dello scritto, tanto da sorbirsi questa strampalata teoria? Spero nessuno, anche perché la ruggine, nonostante io non sia Fiona Ferro (semi-cit.), si è accumulata in questi mesi di non scrittura e chissà che la patina non rimanga per sempre.
Rientro in camera, cerco di carpire qualche notizia del mondo, quello vero, non del tennis, di questi tempi non si sa mai, e provo a riprendere confidenza con la tastiera. Forse non tornerà mai, quella cosa che una volta c’era, ma è stato giusto provarci. Domani sveglia presto, si gioca noi e poi si va a vedere quelli che giocano sul serio. Non so, non so davvero, se si noterà la differenza. Di sicuro, tristemente lo ammetto, non nel pubblico.
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