Di Alberto Cambieri
Non dev’essere facile essere Yaroslava Shvedova: talento cristallino, tennis completo, capacità di adattarsi con estrema capacità a tutte le superfici ma mai oltre una comunque dignitosa 25esima piazza del ranking. E non parliamo di una giocatrice che ha costruito la sua fama e la sua classifica sfruttando i tornei minori e che quindi non è mai riuscita a fare il salto di qualità nei tornei che contano davvero; al contrario, la tennista classe 1987 nata a Mosca ma che da anni difende i colori della nazionale kazaka, è una giocatrice che è stata in grado in passato di raggiungere risultati decisamente importanti anche in palcoscenici prestigiosissimi ma, più che una giocatrice di vertice, è rimasta una tennista in grado di insidiare spesso e volentieri le migliori ma non di portare a casa con continuità vittorie sulla carta più scontate e facili contro avversarie non certo di primo livello e nettamente inferiori a lei per quanto riguarda il bagaglio tecnico e le ambizioni.
Si mise in mostra, senza che troppi se l’aspettassero a determinati livelli, nel 2007 grazie ad una sorprendente vittoria nell’ormai defunto torneo WTA di Bangalore: le vittorie su Tanasugarn, Mirza e la nostra Santangelo le permisero di portare a casa il primo trofeo in carriera a livello WTA. Non si trattava di uno Slam, ma pensare che il titolo più prestigioso vinto in singolare da allora è quello conquistato ieri in terra thailandese nel 125K di Hua Hin, torneo di categoria inferiore rispetto ai ‘normali’ WTA International, fa un certo effetto. In più di 8 anni si è spinta in una finale in singolare del circuito WTA solo ad inizio 2015 nel non trascendentale torneo di Bogotà, nel quale si è dovuta inchinare nell’ultimo atto contro la modesta Teliana Pereira. Dato ancor più sorprendente, da Barcellona 2010 (torneo nel quale si arrese alla futura vincitrice Schiavone, di lì a poco trionfatrice anche al Roland Garros) fino a Florianopolis 2014 (sconfitta al penultimo atto da una rampante Muguruza), la tennista di Mosca non è stata in grado di spingersi in semifinale in nessun evento WTA a cui ha preso parte in tutto quel lasso di tempo, fermandosi in parecchie occasioni ai quarti ma più spesso venendo eliminata ai primi turni. Quest’ultimo in particolare è un dato che fa impressione, contando soprattutto la caratura della giocatrice: dotata di due fondamentali potenti, di un servizio ottimo dal quale riesce a ottenere parecchi punti diretti variando con agio velocità e direzioni, un solido gioco a rete affinato negli anni grazie alle parecchie vittorie e ai tantissimi piazzamenti ottenuti in doppio con partners diverse (King e Dellacqua su tutte) e capace di adattarsi senza eccessivi problemi ad ogni superficie, negli anni ha senza dubbio raccolto più delusioni che gioie e portato a casa molto meno di quanto avrebbe potuto a causa di diversi infortuni (specialmente al ginocchio), di una psiche spesso troppo fragile per il tennis e di una pericolosa ed evidente mancanza di continuità anche all’interno della stessa partita. Questa mancanza di continuità può essere facilmente spiegata analizzando i punteggi di certe sue partite (ad esempio, quest’anno in ben due occasioni si è imposta al termine del match dopo aver subito un netto 6-0 nel primo parziale, contro Lisicki a Brisbane e Kovinic a Pechino) ma soprattutto analizzando le sue performance a livello Slam. La kazaka è stata per ben due volte capace di raggiungere i quarti di finale al Roland Garros: nel 2010 sconfisse Errani e Radwanska prima di arrendersi, non senza lottare, ad un’ottima Jankovic, mentre nel 2012 partì dalle qualificazioni, a causa di molti problemi fisici che segnarono in modo negativo il suo 2011 e che la costrinsero ai box per svariati mesi, prima di eliminare Suarez Navarro al terzo turno e la campionessa uscente Li Na agli ottavi in rimonta, dando del filo da torcere nei quarti ad una Kvitova comunque mai davvero a suo agio sul rosso di Parigi. Importanti piazzamenti sono stati raggiunti anche a Wimbledon con gli ottavi del 2012, torneo nel corso del quale al terzo turno rifilò l’arcinoto golden set ad un’impotente Sara Errani nel primo parziale prima di imporsi per 60 64. Perse poi 75 al terzo contro la futura vincitrice Serena Williams, e nel 2014, quando fu la Lisicki a stopparla per 64 nella manche decisiva. Qualche terzo turno qua e là, ma anche parecchi primi e secondi turni (senza contare la cocente sconfitta dopo svariati match point a favore al turno decisivo di qualificazione agli Us Open di quest’anno contro la non trascendentale croata Tereza Mrdeza) raccontano di una giocatrice in grado di raggiungere picchi notevoli ma anche protagonista di lunghi periodi di crisi di gioco e risultati: quando non è supportata dalla giusta cattiveria e convinzione nei propri mezzi, da spauracchio per tutte diventa facilmente arrendevole prima come atteggiamento che come gioco.
Quest’anno ha faticato tantissimo a trovare la forma e risultati quantomeno sufficienti per assicurarsi un posto tra le prime 100 a fine stagione: tuttavia, nonostante qualche sconfitta imprevista e performance ancora troppo altalenanti, grazie al successo in Thailandia è risalita fino alla posizione numero 66 del ranking. Questa settimana inoltre risulta iscritta in un altro torneo da 125K della stagione a Taipei, dove è presente ai nastri di partenza con la testa di serie numero 2 alle spalle della giapponese Doi. Le vittorie a Hua Hin contro Buayam, Liu, Duan, Wang e la rampante Osaka non rappresentano risultati clamorosi, specialmente se confrontati con molte delle sue vittorie prestigiose ottenute in passato come quelle su Ivanovic, Jankovic (agli Us Open nel 2009), Radwanska (Roland Garros 2010) e Wozniacki, ma possono essere di buon auspicio per questo suo ultimo impegno stagionale e per l’inizio della prossima annata, dove proverà finalmente a trovare il modo di giocare con maggior continuità anche in singolare e di ottenere, perché no, anche la vittoria in tornei più prestigiosi, evento che sarebbe senza dubbio alla sua portata.