“L’abnegazione è il vero miracolo da cui derivano tutti i cosiddetti miracoli”. Avessimo chiesto a Raplh Emerson, filosofo statunitense di metà ottocento, di dirci due parole su Paolino Lorenzi, ci avrebbe risposto sicuramente così.
Romano di nascita, ma da sempre residente a Siena, Paolo Lorenzi, oggi 34 anni, rappresenta la dimostrazione vivente che con la massima determinazione nessun traguardo è precluso. Non è “un” esempio, Paolo Lorenzi, ma L’Esempio.
Introdotto al tennis all’età di sette anni dal fratello maggiore Bruno, Paolino cresce nel mito di “Bum Bum” Becker e inizia la sua carriera da professionista nel 1999, al torneo Futures di Valdegno.
Il primo titolo arriva nel 2002 a Valpovo, in Croazia, anno in cui avviene anche l’esordio nel “purgatorio” dei Challenger, da allora il suo terreno di caccia preferito, la sua dimensione, lo spazio che lo vede ancora oggi assoluto protagonista.
Dopo tre anni di discreti risultati in tanti, tantissimi tornei minori, nel 2006 arriva la grande soddisfazione del primo accesso ad un main draw ATP. Ad Adelaide, un volonteroso Lorenzi deve, però, cedere in tre set ad un imberbe Andy Murray.
Come tutti i tennisti italiani anche Paolo Lorenzi matura tardi. È del 2007 il suo accesso nei primi 200 tennisti del mondo, il che gli consente di iniziare a giocare le qualificazioni dei tornei del circuito principale. Negli anni successivi continua ad alternare tornei minori (dove si fanno ossa e punti preziosi) alle qualificazioni in quelli maggiori. Vittorie e finali gli aprono, finalmente, le porte della top 100, permettendogli a fine 2009 di toccare la posizione n. 84 del ranking.
Il 2010 è ancora un anno di “prime volte”. Quella in uno Slam (agli Open di Australia, dove esce al primo turno per mano del cipriota Marcos Baghdatis), quella in un Master 1000 (Indian Wells) e quella della convocazione con gli azzurri di Davis (dove debutta contro i Paesi Bassi, a risultato acquisito, guadagnando il quarto punto per i ragazzi di Corrado Barazzutti).
Seppur sottotraccia, Lorenzi è una fantastica realtà. Lottatore indomabile e passionale, lui è sempre li, con il suo calendario ragionato, a remare su e giù per campi di posti difficilmente rintracciabili sulle cartine geografiche. Ma c’è. C’è sempre, Paolo.
Unico e inimitabile in un panorama, quello azzurro, che propone agli occhi di tutto il mondo la classe di Fognini, l’intelligenza tattica di Seppi e i colpi al fulmicotone di Bolelli. Il nostro eroe non si segnala per una qualità in particolare, ma non si diventa n. 49 del mondo (2013) senza motivo.
Un tennis solido, fatto di sostanza e di corsa, senza fronzoli e virtuosisimi. Con questo tennis, il suo tennis, Paolo Lorenzi conquista anche la sua prima finale in un ATP 250 (a San Paolo, dove viene sconfitto in tre set dall’argentino Federico Del Bonis) nonché l’accesso ad un secondo turno Slam (nel 2014 a Flushing Meadows), bissando l’impresa nel gennaio di quest’anno agli Australian Open.
Il 2015 di Paolino è stata una meravigliosa cavalcata, che ha toccato il picco nella parte finale della stagione. Ben quattro i Challenger vinti: il primo a maggio, sul duro (superficie sulla quale ha dichiarato di sentirsi molto a suo agio, oltre che sulla amata terra battuta) di Eskisehir, in Turchia, dove in finale ha avuto la meglio sullo spagnolo Inigo Cervantes (7-6 7-6); poi, nel mese di maggio, si è aggiudicato (senza perdere nemmeno un set nell’arco dell’intera settimana) il torneo di Cortina, sconfiggendo all’ultimo atto il volpone argentino Maximo Gonzalez (6-3 7-5); infine la vittoriosa “campagna di Colombia”, dove in quindici giorni ha conquistato i tornei di Pereira (finale col padrone di casa Alejandro Gonzalez, vinta per 6-4 al terzo set) e di Medellin (dove ha beneficiato del ritiro nel secondo set del cileno Gonzalo Lama).
La sconfitta patita pochi giorni fa nella finale di Bogotà per mano di Struvay (6-3 4-6 6-4) non intacca di certo una stagione da sogno, che si concluderà alle ATP Challenger Finals di San Paolo (dove Lorenzi è alla seconda partecipazione) in programma dal 25 al 29 novembre.
Spesso troppo lontano dal tennis che conta e dal pubblico delle grandi occasioni, il Paolo “nazionale” è pronto a scrivere una nuova pagina della sua infinita storia, fatta di sacrifici e speranze, di sudore e fatica, ma anche di una impareggiabile voglia di tennis.
Manca solo l’ultimo, grande, passo. Ci vediamo a San Paolo, Paolino!
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