Vinci, la racchetta della discordia

Vinci Ferro
di Fabio Ferro

Quando un professionista ha bisogno di provare nuove attrezzature, come la racchetta, spesso assistiamo a tentativi di camuffamento, per non svelare immediatamente quale sarà la scelta definitiva e, soprattutto, per non mostrare ciò che non ha soddisfatto il tennista ed evitare danni d’immagine ad altri prodotti.

Ma ciò che è capitato a Roberta Vinci non è una scelta che si vede tutti i giorni. Difficilmente, infatti, vediamo un tennista tornare ad un attrezzo già adoperato in passato, soprattutto se è trascorso quasi un anno dal cambio di racchetta, vuoi per motivi fisiologici, vuoi per necessità del marketing.

Facciamo un passo indietro e torniamo al momento d’oro della coppia di doppio femminile Errani-Vinci. Le due giocatrici italiane erano già sponsorizzate da Nike, per l’abbigliamento, che le vestiva in maniera identica a rimarcare la loro identità di squadra. Le due italiane, infatti, adoperavano solo scarpe differenti, Roberta usava il modello della linea Federer, mentre Sara quello sponsorizzato da Rafa Nadal. Roberta, però, differentemente da Sara, che giocava da anni con la Babolat Pure Drive, aveva un contratto Head che le forniva le Extreme, telai sponsorizzati anche da alcuni uomini come Gasquet e Youzhny. La Head Extreme è stata, per la tarantina, il telaio della sua maturazione tennistica, quello con il quale ha vinto i titoli di doppio e di singolare, quello che l’ha portata nel tennis che conta. Nonostante la manifesta simbiosi che la Vinci aveva mostrato con la sua racchetta Head, probabilmente per motivi legati agli sponsor, all’inizio del 2015 la tarantina aveva optato, anche lei, per un attrezzo Babolat, sempre Pure Drive come la sua amica e compagna Sara Errani. Di lì a poco, però, ci fu la comunicazione di scioglimento per la coppia e del fatto che non avrebbero fatto più squadra nei tornei del circuito.

Vinci dritto pirma e dopo
L’inizio del 2015 per Roberta non è stato entusiasmante, né per il livello di tennis espresso, né per i risultati. Qualcosa non andava ed era evidente che la Vinci fosse impacciata nel suo tennis, fatto di tagli, di sensibilità e di facilità di esecuzione. Fino a Wimbledon Roberta ancora adoperava la Pure Drive, ma all’inizio della stagione sul cemento americano, durante il WTA Premier di Toronto, si è presentata in campo con un telaio totalmente dipinto di nero, per nascondere le fattezze, ma soprattutto la marca. Improvvisamente, il gioco della tarantina ha ripreso a rendere, a dare fastidio alle avversarie e a consentirle piazzamenti decorosi nei tornei, fino all’exploit durante gli US Open, con la finale a sorpresa e il capolavoro contro Serena Williams. Partita dopo partita, ad ulteriore conferma, qualche strato di vernice nera è venuto via dalla racchetta e si intravedevano tratti gialli e neri.

Molti appassionati, ormai, riconoscono le racchette dalle forme e sanno benissimo che spesso, anche davanti a colorazioni identiche alle racchette da negozio, può esserci qualcosa di profondamente diverso, il cosiddetto “paintjob”. Non è un mistero che i professionisti non vogliano separarsi da racchette che ormai sentono come il prolungamento della propria mano e gli esempi, credeteci, fioccano. Sta di fatto che la racchetta nera nelle mani di Roberta Vinci fosse tremendamente identica alle Head Extreme che aveva utilizzato fino al 2014.

È un “segreto di Pulcinella” lo sanno tutti e nessuno si scandalizza più di tanto, ma è cosa ben diversa che un marchio come Head, subito dopo la finale contro Flavia Pennetta, rivendichi la paternità del telaio utilizzato da Roberta Vinci, affidandosi ad un messaggio sulla pagina Facebook ufficiale, scrivendo “Congratulations Roberta Vinci on a phenomenal tournament with a HEAD racquet”.

Uno schiaffo, anche molto pesante, che ferisce la casa francese, ma che fa gioire gli appassionati per l’azione populista che Head ha intrapreso. È la prima volta che un marchio di tale portata tenti di sbugiardare ciò che il marketing, e i contratti, impongono. Un comportamento che non siamo abituati a vedere tra i colossi che comandano il mercato delle racchette e dei materiali per il tennis. Se la finale ha avuto una enorme eco e molti degli spettatori non sono tennisti, né sanno cosa differisca tra una Head ed una Babolat, gli appassionati hanno subito notato l’uscita pubblica di Head Tennis, riaccendendo la polemica sul paintjob e sulla necessità di chiarezza di informazione sui materiali usati dai professionisti.

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Famosissima è la causa che una signora americana ha vinto nei confronti di Wilson, per aver comprato una racchetta con dicitura “endorsed by Roger Federer”, per poi scoprire che, in realtà, il campione svizzero adoperasse qualcosa di estremamente più pesante. Questa notizia ha fatto il giro del mondo, ma era un caso isolato e molto particolare perché, di fatto, l’unico giocatore in attività ad avere il proprio nome sulla serigrafia della racchetta che utilizza, è solo Roger Federer, prima di lui solo Andy Roddick, almeno negli ultimi 20 anni. Di diverso, soprattutto, vi è che i due telai in questione erano entrambi Wilson e non si configurava nessuna diatriba tra marchi.

Al momento Babolat non ha preso posizione sulla questione, né ha risposto all’attacco mediatico lanciato da Head, ma la prima pietra è stata lanciata e ha colpito il bersaglio, almeno nell’orgoglio.

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